La NATO in guerra: intervista al Generale Fabio Mini
DA LA FIONDA (Di Paolo Cornetti)
Il Generale di Corpo d’Armata dell’Esercito Italiano Fabio Mini ha comandato tutti i livelli di unità Bersaglieri e ricoperto incarichi dirigenziali presso gli Stati Maggiori dell’Esercito e della Difesa. È stato Direttore dell’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze (ISSMI) presso il Centro Alti Studi e ha prestato servizio negli Stati Uniti, in Cina e nei Balcani. È stato Capo di Stato Maggiore del Comando NATO del Sud Europa e comandante della missione internazionale in Kosovo.
Negli ultimi anni è stato diverse volte ospite in varie televisioni in qualità di opinionista e ha già scritto, pubblicato e curato numerosi libri sui temi della difesa e della geopolitica. Inoltre, collabora con le riviste Limes e Geopolitica.
Grazie alla disponibilità del Generale e della casa editrice Dedalo abbiamo avuto la possibilità di intervistarlo in merito al suo ultimo libro La NATO in guerra – dal patto di difesa alla frenesia bellica, parte della collana Orwell diretta da Luciano Canfora.
La Fionda: Nel Suo testo viene rimarcato spesso un divario tra la NATO in quanto organizzazione e il trattato costitutivo della NATO. Si può dire che la NATO ha tradito sé stessa? E quali sono, secondo Lei, i punti di maggiore divergenza tra ciò che la NATO è e ciò che dovrebbe essere negli intenti della sua carta fondamentale?
Generale Fabio Mini: La Nato ha effettivamente tradito sé stessa e tutti coloro che hanno servito nella Nato per decenni. O almeno tutti coloro che avevano conosciuto il Patto atlantico dalle sue origini e vissuto professionalmente la sua evoluzione. Ma non è la sola. La mia generazione, quella dei “lucky few” o dei “pochi fortunati” o la generazione silenziosa, comprende i nati tra il 1928 e il 1945. Pochi, per il calo delle nascite dovuto al sacrificio delle generazioni precedenti nella guerra mondiale, fortunati perché sopravvissuti alla guerra ne hanno visto la fine, constatato i danni e avviato la ricostruzione materiale e morale assaporando la prospettiva della pace. Questa generazione ha condiviso le intenzioni e le promesse solenni stabilite dalla Carta delle Nazioni Unite (firmata nel 1945 da 49 Stati), dal Trattato del Nord Atlantico (firmato nel 1949 da 12 Stati) e dei Trattati dell’Unione europea. La prima era l’impegno dei vincitori ad evitare “the scourge of war” il flagello della guerra (ed è questa l’unica volta che la parola guerra compare in tutta la Carta). Per il resto, la Carta è improntata alla sicurezza non solo militare, alla prevenzione dei conflitti e alla loro gestione prima di tutto politico-diplomatica. Lo stesso impegno è assunto nel Trattato atlantico che alla Carta fa espressamente e più volte riferimento. Il Trattato, nella sua chiarezza, non pronuncia mai la parola guerra e condanna e scoraggia la minaccia dell’uso della forza. La sola minaccia è già una violazione del trattato e la “resistenza” ad un attacco armato è autorizzata ma con dei limiti. La risposta deve essere tale e non un’anticipazione della guerra, l’attacco armato può essere contrastato con l’uso della forza difensiva per il tempo necessario alle Nazioni Unite d’intervenire per risolvere il conflitto per le vie negoziali e ristabilire la sicurezza internazionale. Questo è ciò che detta il Trattato ed è stato possibile garantire in Europa un certo livello di sicurezza grazie all’equilibrio di potenza vigente al livello globale tra i potenziali contendenti. La promessa dell’Unione europea, pur espressa con una serie di ambiguità, era quasi geniale: la libertà di movimento delle persone, delle merci e dei capitali avrebbe reso inutili le cause di tutte le guerre europee: le controversie territoriali. Ognuno di tali livelli si è dotato di una organizzazione alla quale affidare il rispetto dei trattati: Onu, Nato e Commissione. Tutte e tre hanno disatteso l’impegno fondamentale: evitare le guerre, gestire le crisi prima che diventino guerre. All’Onu il consiglio di sicurezza è stato monopolizzato dalle grandi potenze, nella Nato e nell’Europa le strutture burocratiche meramente esecutive hanno travolto i rispettivi trattati e da strumenti al servizio degli Stati membri hanno preteso di mettere gli Stati al loro servizio. La Nato, come organizzazione, aveva quindi il compito “regionale” di contribuire all’equilibrio e mantenere una forza sufficientemente pronta per resistere ad un attacco armato ma non tale da costituire minaccia dell’uso della forza nei confronti di nessuno. Nel trattato si parla di principi democratici e valori comuni ma non se ne fa una questione né ideologica né politica. Il Trattato sancisce lo scopo di vivere in pace con tutti i popoli e tutti i governi e doveva essere di manica larga perché tra i firmatari non erano tutti democratici e non tutti i membri brillavano per la difesa della libertà e della civiltà. I firmatari originali erano quasi tutti stati colonialisti che nel dopoguerra hanno intrapreso al di fuori dell’Europa le repressioni e le guerre nei confronti delle loro colonie. Con l’implosione dell’Unione sovietica, la Nato come organizzazione ha cercato prima di avallare l’unipolarismo americano e poi di allargarsi ad oriente. Siccome l’equilibrio nucleare strategico ancora funzionava, l’organizzazione ha assunto autonomamente il compito di usare la minaccia della forza e poi la forza stessa sia eseguendo gli ordini statunitensi sia cooptando le nazioni già sotto l’influenza sovietica. Un allargamento alla volta, il sistema degli equilibri è stato compromesso a livello regionale e convenzionale e la sicurezza invece di aumentare è diminuita. Ora è completamente sparita. L’Onu è in crisi di credibilità e autorevolezza mentre la Nato e l’Europa si preparano alla prossima guerra senza sapere né come affrontarla né se e come ci arriveranno. Al tradimento della Carta e dei Trattati si è aggiunto quello degli ideali della mia generazione.
La Fionda: Balcani, Afghanistan, Libia sono alcuni esempi recenti dei numerosi interventi della NATO e dei suoi paesi membri che sono stati più volte oggetto di critiche per essere stati intrapresi senza il parere favorevole di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU portando guerra, morte e distruzione. La maggior parte dei politici e dei commentatori atlantisti sono, a parole, i più grandi sostenitori del diritto internazionale e nel preambolo del Trattato costitutivo della NATO (North Atlantic Treaty) è scritto che “Gli Stati che aderiscono al presente Trattato riaffermano la loro fede negli scopi e nei principi dello Statuto delle Nazioni Unite”, ma qual è il reale rapporto dell’Alleanza Atlantica con lo stesso diritto internazionale? La NATO è davvero un’istituzione che è stata capace di garantirlo finora?
Generale Fabio Mini: Assolutamente no. Il rapporto della Nato con il rispetto della legge è sfacciatamente falso. Il diritto internazionale è stato stiracchiato a destra e sinistra sempre per coprire gli interessi degli Stati Uniti e di altri paesi. Il “successo” della Nato nel creare sempre maggiori instabilità regionali è stato grazie all’accondiscendenza dei paesi membri nei confronti delle mire statunitensi e britanniche. Il diritto internazionale è stato piegato e plasmato sugli interessi statunitensi. Ed essendo le risoluzioni delle Nazioni Unite una delle fonti del diritto internazionale, gli Stati Uniti si sono premurati di far valere le proprie opinioni e i propri interessi nell’ambito del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Hanno agito in vari modi a partire dal veto apposto alle proposte che non condividevano ma anche con la persuasione, il ricatto, la minaccia nei confronti degli altri membri del Consiglio di sicurezza. Il veto era comunque pericoloso poiché creava altri veti incrociati e le grandi potenze Usa, Russia e Cina preferivano riservarlo alle questioni che li riguardavano direttamente. Per il resto, bastava la minaccia di apporre il veto a convincere gli altri membri, in particolare quelli non permanenti, che la loro opposizione non risolveva nulla e anzi li esponeva alle sanzioni o alle rappresaglie dei forti. In questo ambiente di sottomissione forzata sono state adottate misure e risoluzioni completamente contrarie al diritto internazionale, ma da quel momento considerate legittime e legali. La Nato stessa come organizzazione non facente parte del Consiglio di sicurezza ha trovato il modo di stravolgere il diritto internazionale ignorando lo stesso Consiglio come nel caso della guerra contro la Serbia o ribaltandolo con le manovre sottobanco come nel caso dell’Afghanistan. L’operazione di assistenza militare all’Afghanistan, Isaf, dopo l’occupazione americana avvenuta con l’operazione Enduring Freedom, è stata letteralmente “scippata” all’Onu con semplici missive personali del segretario generale della Nato a quello dell’Onu. Il primo notificava l’assunzione del controllo di Isaf da parte della Nato e il secondo non rispondeva. Il primo annunciava l’allargamento di Isaf dalla sola Kabul a tutto il territorio e il secondo taceva, il primo unificava le operazioni Nato con Enduring Freedom e il secondo non obiettava. Nessuno obiettava. E questo è avvenuto negli ultimi trent’anni. Nessuno dei paesi membri dell’Onu e della Nato ha mai obiettato di fronte alle posizioni illegittime dei forti.
La Fionda: L’espansione a Est della NATO è sempre un tema controverso. Molti sostenitori di questa dottrina ritengono che i paesi inglobati abbiano scelto “liberamente” di far parte dell’organizzazione e ciò renderebbe automaticamente legittimo l’estendersi dei territori NATO ai confini con la Russia. È proprio così? Inoltre, è veramente solo “propaganda russa” dire che la Russia è stata circondata dalla NATO?
Generale Fabio Mini: È vero che nessuno ha obbligato i vari paesi ad entrare nella Nato. Lo hanno voluto loro stessi, ardentemente come lo vuole oggi l’Ucraina e sbaverebbero anche la Serbia e gli stessi oppositori iraniani se potessero arrivare alla Nato. I paesi dell’Est europeo hanno sempre avuto un rapporto difficile con l’Unione sovietica prima e con la Russia dopo. L’ingresso nella Nato per questi paesi era il modo per entrare nella sfera degli Stati Uniti visti come il polo della democrazia e della libertà. Era la loro polizza di assicurazione contro le eventuali minacce russe, il loro modo di vendicarsi della propria condizione di vassalli e di vivere in un ambiente sicuro. La Nato si è avvalsa della persuasione e dell’illusione offrendo loro delle condizioni vantaggiose per l’adesione: nessun paese ammesso rispettava i criteri stabiliti per l’ingresso né in termini politici né in quelli militari, eppure la Nato, su pressione della Gran Bretagna più che degli Stati Uniti, ha chiuso occhi e naso e li ha ammessi. Li ha illusi sulla protezione militare, sull’ombrello nucleare americano nel quale nessun paese europeo credeva più e ancora oggi ci si interroga se veramente gli Stati Uniti sarebbero disposti ad affrontare una guerra globale per le ragioni o i pretesti di un solo paese. Li ha illusi sul rispetto della loro sovranità, sottraendoli ad un egemone per assoggettarsi ad un altro. Per inglobare tali paesi, la Nato ha violato l’art. 10 del Trattato che vincola l’ammissione non solo ai parametri economici politici e militari ma soprattutto alla garanzia che il loro ingresso avrebbe contribuito alla sicurezza di tutta l’organizzazione. I vari paesi che coltivavano per molte ragioni anche comprensibili il contrasto con la Russia portavano nella Nato nuove e multiple forme di insicurezza. La Nato ne era consapevole e gli stessi esperti degli Usa nel 1997 avevano avvertito del rischio di destabilizzazione dell’intera cornice di sicurezza europea e transatlantica. La situazione infatti è peggiorata e le ragioni dei piccoli stati come quelli baltici hanno prevalso sull’interesse comune. In questo, gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo dominante appoggiando tutte le rivoluzioni fiorite e colorate e le destabilizzazioni di intere aree dall’est europeo all’Asia centrale, passando per la Serbia, la Georgia e l’Ucraina. Ma il cavallo di Troia per la penetrazione nella Nato è stata la Gran Bretagna con la sua viscerale opposizione a qualsiasi rapporto con la Russia. La Nato è molto fiera della sua acquisizione territoriale. I segretari generali e i comandanti supremi americani non mancano di osservare che la Nato in Europa tiene sotto la minaccia dei propri missili, aerei e carri armati tutto il confine con la Russia. Inoltre, i mari del nord e del sud, dall’Artico al Baltico e al Mar Nero sono mari interni alla Nato stessa: dalla Finlandia alla Turchia. La sindrome di accerchiamento di cui soffriva Stalin si è perciò trasformata in una pericolosa realtà. Se l’ostilità della Nato nei confronti della Russia non si attenua, l’accerchiamento sarà percepito come una minaccia esistenziale e la reazione potrebbe essere fatale per tutti, a partire dall’Europa.
La Fionda: Lei afferma che “Non è un caso che nei momenti critici della vita della NATO i più accesi bellicisti siano stati gli alti funzionari e i Segretari generali in particolare”. Questa affermazione appare molto realistica anche se confrontata con la storia attuale. Ma da Stoltenberg a Rutte è cambiato qualcosa? Qual è il ruolo del nuovo Segretario Generale e qual è il suo reale margine di manovra sull’Ucraina rispetto alla politica apparentemente più diplomatica di Trump e a quella attualmente più guerrafondaia dell’Unione Europea?
Generale Fabio Mini: Gli alti funzionari della Nato, civili e militari, e i Segretari Generali o i presidenti del Comitato Militare in particolare, da almeno 25 anni si preoccupano esclusivamente della conservazione e del rafforzamento dell’organizzazione. Lo scopo delle operazioni mascherato dalla difesa da presunte minacce militari è stato esplicitato in tutte le pianificazioni e negli ordini alle unità operative nella sua reale funzione: dimostrare la coesione della Nato. Non erano importanti la ragione o l’obiettivo e nemmeno i morti e i sacrifici, occorreva nascondere le fratture interne. E la cosa più facile era ricorrere allo strumento militare: perché il più pronto, il più visibile e il più sensibile alle crisi esterne e interne. A tale livello sono state ignorate le funzioni e prerogative politico/diplomatiche e ogni cosa è stata vista in termini militari. “Se hai un martello tutto ciò che vedi è un chiodo” diceva l’americano Abraham Maslow a proposito del militarismo del suo paese. Ma venivano anche ignorati i parametri prettamente militari: il nemico, l’ambiente operativo, l’obiettivo, la protezione, le forze, il rischio accettabile e il tempo. Incapace di affrontare le crisi con i mezzi politico-diplomatici la burocrazia Nato infarciva di retorica e propaganda le direttive e persino gli ordini di operazione parlando di esportazione della democrazia, supremazia dell’Occidente, guerra di civiltà, a qualunque costo (whatever it takes) e “per tutto il tempo necessario”. Con le guerre balcaniche degli anni ’90 i vertici della Nato, a partire dal Consiglio Atlantico, hanno scoperto il giocattolo militare e lo hanno sfruttato. Con i concetti strategici rivolti alla guerra e all’espansione le cosiddette operazioni di pace o di guerra umanitaria o di rassicurazione poggiano tutte sulla capacità militare d’intervenire. La stessa Ue con la sua “bussola” strategica ha fatto in modo che l’ago si bloccasse in una sola direzione: la guerra. Nell’ambito Nato più che negli Stati membri l’imperativo del “do something” (fate qualcosa) è stato rivolto soltanto alla parte militare. Stoltenberg e l’ammiraglio Bauer sono stati i più determinati nel chiudere le porte in faccia alle richieste russe. Entrambi, con la convinta partecipazione del Comandante supremo generale Cavoli, sono stati i più attivi nel fomentare la guerra in Ucraina. Stoltenberg aveva il vantaggio di essere un fedele servitore dell’amministrazione Biden e tutte le sue sparate belliciste unite a quelle della Commissione europea facevano il gioco di Washington paradossalmente a scapito della stessa Europa. Più incerta e randomica è la linea del successore Mark Rutte. All’inizio del mandato era sulla stessa lunghezza d’onda del suo predecessore e inginocchiato a Biden. Rimaneva in tale posizione anche per tutta la transizione da Biden a Trump e assieme all’Ammiraglio Bauer predicava la guerra di distruzione, la mobilitazione militare e industriale dei paesi, il grande “affare” dell’investimento in armi. Rutte vantava anche una conoscenza personale con Trump ed era sicuro di potergli far cambiare idea sull’Ucraina. Grazie alle azioni ondivaghe di Trump, Rutte continua a sostenere l’Ucraina ma comincia a mettere le mani avanti. Pochi giorni fa ha dichiarato che “comunque vada a finire la guerra, la Russia sarà ancora lì e non si potrà fare a meno di considerarla”. Sembrerebbe un passo avanti se non fosse che di questi politici e funzionari che dicono solo quello che i padroni desiderano sentire non ci si può fidare.
La Fionda: Da tempo ormai si sente parlare dell’imminente realizzazione delle Forze armate comuni europee, ma questo progetto è veramente realizzabile e auspicabile? Quale ruolo ha la NATO in questo progetto dell’Unione Europea?
Generale Fabio Mini: Sono stato un fautore sincero dell’esercito europeo. Ho sempre considerato con rimpianto il fallimento della Comunità europea di difesa (CED) voluto dalla Francia quando sembrava cosa fatta. Negli anni ’90 ho anche preso male e criticato la posizione degli Stati Uniti che non lasciavano spazio alcuno all’Europa. Con il NO alle tre D della Albright (duplicazione, disaccoppiamento, divisione di compiti), la Nato rimaneva la sola struttura responsabile della difesa collettiva e l’Europa poteva assumere qualche compito minore e “lavare i piatti sporchi”. Mi sembrava un insulto, ma in ambito Nato era l’esercito europeo ad essere quasi un insulto, un crimine di lesa maestà. L’esercito europeo è sempre possibile ma non con questo progetto di riarmo generalizzato fatto sui debiti e che si risolverà nello sperpero di denaro pubblico e nell’ impoverimento dell’intera Europa. Il cruccio non è soltanto economico. Oggi sento i vertici dell’Europa e delle Nazioni europee parlare di chiusura della Nato e di costituzione di una Nato parallela fatta di “volenterosi” per fare la guerra contro la Russia, di riarmo europeo in vista di quella guerra che si pensa possa avvenire nel giro di 4-5 anni, di ombrello nucleare francese, di corpi di spedizione in Finlandia, sommergibili nucleari britannici, portaerei nucleari italiane, missili e droni tedeschi e carri armati polacchi. Vedo con molta preoccupazione il fatto che tutti questi strumenti siano affidati a funzionari oggettivamente irresponsabili e incapaci di pensare e pianificare alternative meno disastrose. Chi dovrebbe decidere quale guerra e per chi dovranno combattere i nostri figli e nipoti? Rutte, Von der Leyen, Macron, Starmer, Merz, Duda, Kaja Kallas, Kubilius? E chi ci indica il nemico e ci fornisce gli strumenti per combatterlo? Trump e Netanyahu? Vediamo in questi giorni come si sviluppano le politiche dei mestatori di guerra del cosiddetto Occidente “civilizzato” che beneficiano del silenzio o del timido accenno di critica degli impotenti. E spero che a questi presunti leader vengano negate tutte le leve sulle forze militari, così come ai capi militari sia impedito di cullarsi sulla prospettiva di una guerra futura tecnologica, robotizzata, a distanza, come un videogame ignorando la realtà di quelle che si stanno combattendo: guerre e massacri, senza limiti, senza scrupoli, senza dignità, senza regole, senza vergogna. La mia generazione di pochi fortunati, sempre più pochi e silenziosi, sta assistendo alla genesi di un’altra guerra mondiale con il rammarico di non aver fatto abbastanza per evitarla.
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