479 Avanti Cristo: dopo oltre 10 anni di combattimenti e uno sforzo titanico in termini di uomini, mezzi e risorse, Atene esce vincitrice dalla guerra contro l’Impero persiano e pone le basi per l’ascesa del suo impero, che getta nel panico quella che allora era la potenza egemone dell’area, Sparta; seguono 50 anni di tensioni che, nel 431 Avanti Cristo, sfociano nella Guerra del Peloponneso. Secondo Tucidide, l’osservatore più lucido e chirurgico di quelle lunga serie di eventi, era un esito inevitabile; mentre gli altri si perdevano in mille dettagli, Tucidide puntava dritto al cuore della faccenda: quando una potenza in ascesa minaccia l’egemonia di un’altra, non c’è altra via di uscita che la distruzione di una delle due, come in una trappola. La trappola di Tucidide, da Sparta contro Atene a Washington contro Pechino, a meno che… A meno che la potenza egemone non faccia male i calcoli e si svegli troppo tardi, e in pochi nella storia hanno fatto tanti calcoli tanto sbagliati quanto le classi dirigenti statunitensi e i loro tirapiedi, che prima si sono convinti che potevano imporre a Pechino la stessa shock therapy che, negli anni ‘90, aveva raso al suolo l’Unione Sovietica; poi che, di fronte alle lusinghe della globalizzazione, il socialismo con caratteristiche cinesi si sarebbe sciolto da solo come neve al sole. E, infine, da oltre 20 anni, un anno sì e l’altro pure, che quello sarebbe stato l’anno che avrebbe visto il castello di carte della crescita cinese franare su stesso; e quando gli USA hanno finito di credere alla loro propaganda, ormai, forse, era troppo tardi: la Cina potrebbe essere già oggi troppo forte per pensare seriamente di affrontarla frontalmente e uscirne vincitori, e ogni forma di escalation non sembra far altro che accelerare ulteriormente il declino relativo dell’egemone. Come la guerra commerciale: 6 mesi durante i quali Trump ha fatto di tutto per scatenare tutto il mondo sviluppato contro Pechino; risultato? La Cina cresce più di ogni previsione; gli USA, circa la metà di quanto preventivato solo un anno fa.
Il socialismo dalle caratteristiche cinesi, dopo aver sottratto dalla povertà 800 milioni di persone in pochi decenni, potrebbe aver fatto un secondo miracolo: essere riuscito a evitare, contro ogni pronostico, la terza guerra mondiale – che con ogni probabilità, per la civiltà umana, sarebbe stata anche l’ultima. Carissimi e carissime ottoliner, ben ritrovati: oggi cerchiamo di capire se davvero la Cina, per la prima volta nella storia, è riuscita a evitare la trappola di Tucidide e a salvare così non solo se stessa, ma l’intera umanità. Ma prima di entrare nel vivo di questo nuovo pippone, vi ricordo di mettere mi piace e di condividere questo video, per permetterci anche oggi di combattere la nostra piccola battaglia quotidiana contro la dittatura degli algoritmi e, se ancora non lo avete fatto, anche di iscrivervi a tutti i nostri profili social e di attivare tutte le notifiche: a voi costa meno tempo di quanto non impieghi Rampini a prendere qualche dato a caso e inventarsi che gli USA crescono il doppio della Cina, ma per noi fa davvero la differenza e ci permette di continuare a raccontarvi il mondo per come è e non per come vorrebbero che fosse le oligarchie parassitarie e i loro maggiordomi.
Pechino l’ha fatto di nuovo: nonostante la guerra economica e commerciale dichiarata dagli USA, con tutto il codazzo dei vassalli al seguito, ha comunque deciso di fissare obiettivi di crescita da boom economico, gli analisti occidentali li hanno giudicati eccessivamente ottimisti e li hanno rivisti al ribasso; ma, per il secondo trimestre di fila, l’Impero di Mezzo ha superato sia le loro stime che, addirittura, i suoi stessi obiettivi. +5.3%: questa è la crescita annualizzata cinese nei primi 6 mesi del 2025, da boom economico, appunto; per un Paese sottoposto al fuoco incrociato di tutte le economie avanzate, non male. Gli USA del “boom economico senza precedenti” promesso da Trump si sono fermati all’1,4; solo un anno fa, le principali istituzioni finanziarie filo-occidentali stimavano sostanzialmente il doppio. Il verdetto di questo nuovo round della guerra dell’Occidente contro Pechino sembra piuttosto chiaro e per chiunque abbia a cuore la sopravvivenza della civiltà umana potrebbe essere un’ottima notizia; come scrive su Asia Times il celebre e misterioso analista economico (con un passato nelle banche d’investimento cinesi) che si nasconde dietro lo pseudonimo di Han Feizi, infatti, “L’umanità potrebbe essere stata fortunata”.
La tesi è semplice: avete tutti presente la famosa teoria della trappola di Tucidide, no? Tucidide era lo storico greco che indagò meglio di chiunque altro le cause della guerra che infiammò il Peloponneso nel V secolo Avanti Cristo: allora Sparta era la potenza egemone e Atene una potenza emergente e, secondo Tucidide, “fu l’ascesa di Atene e la paura che ciò suscitò a Sparta a rendere la guerra inevitabile”; allora, alla fine, a prevalere fu la vecchia potenza egemone e la guerra mise fine all’impero ateniese e alla sua ascesa, ma, a prescindere dall’esito, oggi l’idea della trappola di Tucidide viene invocata per spiegare l’inevitabilità della guerra quando una vecchia potenza egemone è in declino e il suo primato viene messo a repentaglio da una nuova potenza emergente – come sarebbe, appunto, il caso degli USA e della Cina. A meno che….. A meno che, appunto, al contrario di Sparta, non risulti del tutto evidente che la vecchia potenza egemone “non può vincere la guerra del Peloponneso del XXI secolo e, per questo motivo, decida di smettere di fare di tutto per scatenarla“.
Da anni, gli analisti si interrogano su quando esattamente la Cina sarebbe diventata troppo potente per pensare di poterla combattere frontalmente e uscirne vincitori: prima il 2027, poi il 2030, poi il 2035; forse sono stati tutti un po’ troppo ottimisti, e i risultati economici di questo semestre, sembrano dimostrarlo. “Quando Donald Trump è tornato al potere a gennaio, ha deciso di scatenare una guerra commerciale contro la Cina per dimostrare chi è il capo” scrive William Pesek sempre su Asia Times, ma “sei mesi dopo, a risentire della guerra commerciale non è la Cina, ma l’economia statunitense” . I pompieri dell’Impero, ovviamente, sono immediatamente entrati in azione per evitare il panico: alla fine sono stati gli USA a non affondare il colpo; la guerra commerciale l’hanno annunciata, si, ma sono le solite boutade di Forrest Trump, niente di più. Insomma: la realtà, evidente è che ogni alzata di scudi nella guerra commerciale per gli USA è come darsi una martellata sui coglioni; lo hanno dimostrato i capitali in fuga dai mercati azionari e poi le cosiddette supply chain che senza la Cina, ormai, non sono in grado di produrre più niente, a partire dalla tecnologia militare.
Insomma: gli USA hanno optato per una ritirata strategica dalla guerra commerciale perché non avevano alternative; ed ecco allora che i pompieri tirano fuori dal cilindro un’altra argomentazione arrampica-specchi. Sì, ok, il Pil è cresciuto, ma non vi fate fregare dalla propaganda di Pechino; l’economia cinese è più debole che mai. Il punto, sottolineano, è che a trainare il Pil cinese sono state – ancora una volta – le esportazioni, che avrebbero subito un’accelerazione per approfittare della parziale tregua sui dazi siglata da Cina e USA e che molti ritengono non possa durare a lungo; nel frattempo, però – sottolineano ancora i pompieri – la domanda interna è stagnante, i consumatori cinesi hanno paura e spendono poco e le aziende investono ancora meno. Insomma: dietro ai numeri trionfalistici, si nasconderebbe (ancora una volta) l’ennesimo disastro annunciato. Non impareranno mai: come ha dimostrato n-mila volte in passato, infatti, la Cina ha tutti gli strumenti necessari e sufficienti per far ripartire consumi e investimenti ogniqualvolta sia necessario; molto banalmente (almeno per ora), ancora necessario non lo è: come hanno sottolineato gli economisti di Citigroup, per ora il Partito Comunista ha confermato ulteriormente “una politica attendista, mantenendo la porta aperta a un sostegno incrementale futuro”.
Gli strumenti a disposizione nell’arsenale di Pechino sono innumerevoli: il primo, ovviamente, è aumentare il deficit. Gli USA, anche grazie al Big Beautiful Bill che regala centinaia di miliardi ai super ricchi ed è talmente delirante da far imbufalire addirittura Elon Musk, hanno un deficit vicino al 7%; la Cina inferiore al 4: fanno 5/600 miliardi di spazio fiscale a disposizione da usare alla bisogna, più che sufficienti per dare una botta di ottimismo a investimenti e consumi. Ed è solo la punta dell’iceberg: per pompare l’economia, a partire dal marzo 2020, gli USA hanno ridotto a zero i depositi che le banche erano obbligate a detenere presso la Banca Centrale; in Europa, questi depositi ammontano all’1%, in Cina, al 7 che, in soldoni, fanno altri 200 miliardi circa di dollari l’anno che possono essere messi in circolo per stimolare investimenti e consumi. A gennaio del 2024 una riduzione del tasso, in effetti, è stata fatta per dare un po’ di ossigeno ai consumi interni, ma è stata di mezzo punto percentuale; alla bisogna, di quell’entità ne possono fare un’altra decina. Last but not least, la Cina può agilmente procedere a tagliare di almeno un punto, un punto e mezzo, i tassi di interesse della banca centrale; negli USA in preda al panico per il rendimento dei titoli del tesoro e per il crollo della reputazione del dollaro, la richiesta di Trump a Powell e alla FED di fare altrettanto ha scatenato una specie di guerra civile.
Il punto è che le classi dirigenti occidentali hanno fatto talmente tanta propaganda anticinese che hanno finito per crederci e a forza di ingigantire i problemi strutturali dell’economia cinese e di annunciare, anno dopo anno, il crollo del Paese, non si sono accorti che il sorpasso è già avvenuto: “La Cina non è più la potenza emergente”, sottolinea ancora Han Feizi, “ma quella consolidata”; “qualsiasi calcolo del potere produttivo e consumistico della Cina ci svela un’economia grande il doppio di quella USA”. Il manifatturiero cinese è il doppio di quello USA in dollari (il triplo, se calcolato a parità di potere d’acquisto): “Nella maggior parte degli indici (citazioni, brevetti, etc…), la produzione scientifica è un multiplo di quella statunitense, e in crescita esponenziale. E il capitale umano cinese è sterminato, e sforna tra le 6 e le 8 volte più laureati in materie tecniche e scientifiche degli USA”. L’ex dissidente, nonché ultimo presidente della Cecoslovacchia e primo presidente della Repubblica Ceca Vaclav Havel, era solito affermare che l’ascesa economica della Cina è stata così rapida che “non abbiamo ancora avuto il tempo di stupirci” e di prendere le contromisure necessarie e questa potrebbe essere la migliore notizia di sempre: come sottolinea sempre Han Feizi, infatti, se nel V secolo Avanti Cristo Atene fosse cresciuta così rapidamente da “non dare a Sparta il tempo di stupirsi” e Sparta si fosse svegliata una mattina con una Atene che, improvvisamente, era diventata il doppio più potente, probabilmente “la guerra del Peloponneso avrebbe potuto benissimo essere evitata e noi non avremmo mai sentito parlare di Tucidide”.
L’ideologia, la falsa coscienza e le puttanate dei Rampini bretellati di tutto il mondo sicuramente hanno contribuito a non cogliere la portata del sorpasso che stava avvenendo; nel mio piccolissimo, l’ho toccato con mano quando, per 10 anni, ho provato a proporre al mio ex capo di fare una grande inchiesta sull’ascesa cinese che avrei voluto titolare proprio Il sorpasso. Mi sono stati opposti i classici temi della propaganda analfo-sinofoba: i dati cinesi che non sono mai affidabili, le minchiate sulla devastazione ambientale e sullo sfruttamento selvaggio, la leggenda dell’incapacità di innovare di un Paese dove non c’è la libertà di espressione e via dicendo; oggi, a sorpasso avvenuto, Report (finalmente) decide di parlare di Cina e cosa racconta? Di Xi a capo della criminalità organizzata globale, che userebbe per raggiungere il dominio commerciale globale, una sorta di Nuovi Protocolli dei Savi di Sion in salsa pechinese dove “Ogni cittadino, ogni impresa, anche la mafia cinese” – come ha dichiarato con enfasi Ranucci – “fa parte dell’ingranaggio che deve portare interessi allo stato cinese nel progetto del controllo del commercio globale”. Razzismo allo stato puro e una perfetta giustificazione per futuri pogrom contro la diaspora cinese, che se piove di quel che tona farebbe bene a cominciare a preoccuparsi seriamente.
Ma dietro all’ideologia e alla propaganda dei pennivendoli c’è sempre qualcosa di più sostanzioso e tangibile: il punto è che, a un certo punto, nonostante l’integrazione nel sistema commerciale globale la Repubblica Popolare di Cina non aveva nessunissima intenzione di rinunciare alla sua identità e alla costruzione di uno Stato socialista moderno. Gli USA – dai dai – l’hanno pure capito e (almeno quelli meno rincoglioniti) sembrava pure che gli stesse riuscendo parecchio benino; è che non sapevano come reagire, e non è che non lo sapevano perché erano coglioni (o, almeno, non solo): non lo sapevano perché, per reagire davvero, avrebbero dovuto fare l’impensabile: una rivoluzione! Abbattere la nuova aristocrazia finanziaria che vive di rendita e succhia il sangue al resto dell’economia, trasformandoci in zombie. E invece, tutti insieme, l’aristocrazia non solo l’hanno tenuta esattamente dove era, ma l’hanno rafforzata: il patrimonio degli ultra-ricchi è cresciuto a dismisura, la concentrazione di ricchezza nelle mani dei monopoli finanziari ancora di più e il sangue che scorre nelle vene dell’economia, il lavoro vivo, è stato umiliato, depredato, svuotato, che ci fosse Clinton, Bush, Obama, Trump o Biden; un pilota automatico puntato a tutta velocità verso il declino. Ed eccoci oggi che, dopo 6 mesi di controproducente guerra commerciale a tutto tondo, la nuova Sparta comincia a realizzare di essere di fronte a un’Atene in ascesa che è economicamente il doppio più potente, ed è in preda al panico. L’amministrazione Trump si muove come un elefante in una cristalleria: come si muove, fa danni e accelera il declino
Nel cortile di casa delle Americhe, le minacce di nuovi dazi stanno convincendo anche le oligarchie più reazionarie e filo-USA della principale economia della regione, il Brasile, a sostenere il piano di Lula di integrarsi sempre di più con il colosso asiatico, mentre l’ex fedele alleato colombiano rompe gli indugi e dichiara di voler uscire dalla NATO come partner; ma i danni più grandi arrivano dall’angolo più delicato della cristalleria: l’Asia. Gli alleati asiatici degli USA sono stati un po’ i Paesi europei ante-litteram: hanno concesso agli USA di calpestarli e umiliarli per decenni, dicendo pure grazie; in particolare il Giappone che, a fine anni ‘80, ha unilateralmente accettato di mettere fine alla sua portentosa ascesa economica infilandosi con entusiasmo, a partire dagli accordi del Plaza, in quasi 4 lunghi decenni di stagnazione. Chissà… Magari non aspettavano altro che potersi vendicare, non lo so; quello che so è che Trump gli ha offerto un’occasione d’oro.
Anzi, più esattamente, Elbridge Colby, famigerato sottosegretario alla difesa USA e vecchia conoscenza degli ottoliner. Ne avevamo parlato a lungo in questo video qua, dell’aprile 2022, dal titolo Anche gli USA hanno il loro Mein Kampf, dove il Mein Kampf era il suo libro Strategy of denial, una vera pietra miliare dell’imperialismo USA più feroce e spregiudicato. Colby è l’ultimo erede di una delle dinastie più potenti del Deep State statunitense: “Il nonno era William Colby, regista di tutte le cospirazioni anticomuniste in Italia negli anni ‘50, responsabile della CIA a Saigon durante tutta la guerra e poi capo assoluto della CIA gli ultimi anni di Nixon. Negli stessi anni il padre, Jonathan Colby, veniva chiamato da Kissinger a far parte dello staff del Consiglio Nazionale della Sicurezza, il principale organo consultivo della presidenza USA in materia di sicurezza e politica estera”. Nel suo libro, Colby sottolinea che gli USA, per continuare a garantire il livello di benessere attuale ai propri cittadini, non possono rinunciare all’egemonia globale e, cioè, a rimanere lo Stato più potente in ogni ambito, in ogni angolo del pianeta; ed essere più potente, secondo Colby, significa, prima di tutto, essere in grado di uccidere: “Ci sono anche altre forme di influenza” ammette, “ma rispetto alla capacità di uccidere, sono tutte secondarie”. Gli USA, quindi, devono concentrarsi sull’utilizzo della forza bruta e, in particolare, nei confronti della minaccia cinese: secondo Colby, se non si fosse aumentata a dismisura la capacità distruttrice, ci sarebbe stato il rischio, che di lì a poco, gli USA non sarebbero stati più in grado di rappresentare una minaccia realistica alla sopravvivenza della Repubblica Popolare; gli USA, allora, avrebbero dovuto assolutamente ristabilire ad ogni costo la loro capacità di distruggere la Cina e, per farlo, avrebbero dovuto appaltare la guerra alla Russia ai Paesi europei, concentrarsi sul cosiddetto Indo-Pacifico e provocare la Cina su Taiwan, com’è stata provocata la Russia in Ucraina. Colby suggeriva inoltre di concentrarsi sulla difesa delle installazioni militari di Taiwan, in modo da costringere la Cina a colpire obiettivi civili e mostrare, così, a tutto il mondo il vero volto della tirannide di Pechino, scatenando così la reazione indignata di mezzo mondo, con tanto di editoriali di Gramellini e invettive di Nathalie Tocci.
Tre anni dopo, ecco finalmente che Colby può continuare a perseguire il suo piano da dentro l’amministrazione: prima, come riporta il Financial Times, avrebbe chiesto all’esercito britannico di ritirarsi dal Pacifico per concentrarsi interamente sulla regione euro atlantica; a quel punto, avrebbe tentato di convincere giapponesi ed australiani che, visto che gli alleati europei si disimpegneranno dal Pacifico, sarebbe stato il caso che prendessero l’esempio e aumentassero il budget della difesa al 3,5%. Ma, a quanto pare, Tokyo e Canberra non l’avrebbero presa proprio benissimo: i giapponesi che – sempre insieme agli australiani e anche ai sud coreani – avevano già disertato per la prima volta il summit NATO dell’Aja, hanno annullato anche l’ormai celebre Vertice 2+2, che vede annualmente incontrarsi i ministri degli esteri e della difesa di Giappone e USA; nel frattempo, il premier australiano Anthony Albanese, fresco di rielezione a sorpresa in una campagna che ha premiato il candidato che più si è scagliato contro Forrest Trump, ha organizzato un lungo tour in Cina dove, tra le altre cose, è stato firmato uno storico accordo tra il gigante delle batterie al litio CATL e la principale mega-corporation australiana, il leader assoluto del business minerario BHP, alla faccia del decoupling dalla Cina e dell’indipendenza strategica del blocco occidentale in tema di terre rare. Ciononostante, non contento, Colby ha rilanciato: “Gli Stati Uniti chiedono di sapere cosa farebbero gli alleati in caso di guerra per Taiwan”, titola il Financial Times; Colby, in sostanza, avrebbe chiesto ad Australia e Giappone di dichiarare esplicitamente che in caso di conflitto a Taiwan sarebbero intervenuti direttamente, una richiesta decisamente bizzarra che ha spiazzato gli alleati. Trump stesso, infatti, ha sempre evitato accuratamente di esprimersi esplicitamente in questo senso e ora il suo sottosegretario alla difesa vorrebbe che a metterci la faccia per prima fossero gli alleati.
La logica dei proxy, per gli USA, è proprio una fissazione che, forse, comincia a ritorcersi contro: “Su Taiwan, sosteniamo lo status quo” ha dichiarato piccato Albanese mentre era in visita in Cina; “La parte giapponese non ha cambiato la propria posizione sulla questione di Taiwan, che è quella scritta nella dichiarazione congiunta Giappone-Cina del 1972” ha rilanciato il ministro degli esteri giapponese Takeshi Iwaya. Secondo il Global Times, “Nessuno dei due Paesi è disposto a pagare il conto dei calcoli strategici di Washington, né è pronto a rischiare un colpo destabilizzante per le proprie relazioni con la Cina. Il Pentagono crede che la coercizione generi obbedienza, ma in realtà sta accelerando le forze centrifughe all’interno dell’alleanza”. E, secondo il nostro Han Feizi, le forze centrifughe potrebbero essere solo l’inizio: la tesi di Feizi è che quello che ancora ha tenuto, in qualche modo, ancorati gli alleati a Washington fino ad oggi è l’idea che, nonostante tutto, gli USA mantengano un certo predominio militare grazie alla sua Marina da spedizione e, cioè, l’elefantiaco apparato di portaerei, incrociatori lanciamissili e sottomarini d’attacco che rappresentano il fiore all’occhiello della superpotenza militare USA.
Ma questa idea potrebbe non corrispondere più alla realtà: lo avrebbero già dimostrato proprio i cinesi a partire da una decina abbondante di anni fa, quando sono riusciti a militarizzare alcune isole del mar Cinese Meridionale senza temere attacchi USA grazie alla protezione di missili balistici anti-nave; ma a scoperchiare definitivamente il vaso di Pandora sarebbe stato l’accordo al ribasso che gli USA sono stati costretti a siglare con gli Houthi perché non erano più in grado di difendere la loro Marina militare e “I missili antinave e i droni cinesi” sottolinea Han Feizi con sarcasmo “sono probabilmente leggermente più efficaci di quelli in dotazione agli Houthi“. Ora, “Quando le varie nazioni si renderanno definitivamente conto anche che le Marine militari di spedizione sono obsolete” conclude Feizi, “l’azione di queste forze centrifughe assomiglierà sempre di più a una vera e propria disfatta”: una disfatta per le oligarchie USA, che vivono da decenni di rapina, e una benedizione per tutto il resto del pianeta, lavoratori statunitensi inclusi.
Chissà che, alla fine, non dovremo ammettere che tutte le puttanate suprematiste dei Molinari, dei Rampini, delle Giulie Pompili e di tutto il circo della propaganda sinofoba, tutto sommato, hanno avuto un ruolo storico positivo e hanno contribuito a permettere, per la prima volta, alla Cina di mettere fine all’egemonia di una superpotenza senza cadere nella trappola di Tucidide…
Ora che hanno svolto il loro ruolo, finalmente possiamo liberarcene: per farlo, dobbiamo costruire un’alternativa, un vero e proprio media, autorevole e indipendente, ma di parte. La tua: quella del 99%! Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal; e da quest’anno, per mandarli #tuttiacasa, c’è anche un codice segreto. 92054980450: è il codice fiscale di Multipopolare; inseriscilo nella tua dichiarazione dei redditi e contribuisci concretamente col tuo 5xMILLE a dichiarare guerra al pensiero unico.
E chi non firma è Maurizio Sambuca Molinari





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