Propaganda, guerra cognitiva e il percorso dell’Europa verso l’autodistruzione
di GIUBBE ROSSE NEWS (Old Hunter)

Vorrei prendere spunto da un interessante approfondimento curato qualche giorno fa dall’amica Enrica Perucchietti, giornalista e grande esperta di comunicazione.
Non è un mistero che la vittoria elettorale di Donald Trump sia stata salutata in diversi ambienti dell’informazione indipendente come una svolta rispetto all’Amministrazione Biden in vista di una maggiore libertà di espressione, che all’epoca del wokismo, del politicamente corretto, e ancora di più nella fase pandemica, ha toccato livelli preoccupanti, senza per questo non assumere talvolta tratti ridicoli.
In uno dei primi interventi dopo il secondo ingresso alla Casa Bianca, il tycoon assunse l’impegno per una rinnovata tutela e salvaguardia del primo emendamento, quello che garantisce a ogni cittadino il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, prerogativa riconosciuta anche dall’art. 21 della nostra Costituzione.
Tuttavia, leggendo una massima del giudice Giovanni Falcone secondo la quale: “… ognuno di noi debba essere giudicato per ciò che ha fatto. Contano le azioni non le parole. Se dovessimo dar credito ai discorsi, saremmo tutti bravi e irreprensibili” sarebbe opportuno valutare i fatti, più che le belle parole, specialmente riferendoci a un personaggio che ci ha abituato alla sua imprevedibilità e mutevolezza.
E sull’onda emotiva dell’omicidio di Charlie Kirk, ultimo e tragico episodio in ordine di tempo di una violenza politica che non da oggi sta funestando gli Stati Uniti, cartina al tornasole delle profonde fratture sociali che attraversano la società a stelle e strisce, potrebbero essere in arrivo una serie di provvedimenti e iniziative che contraddicono non poco i buoni propositi espressi in da Trump in campagna elettorale, e nei primi giorni del suo secondo mandato.
In effetti, già prima dell’assassinio dell’attivista MAGA, era scattato l’invio delle forze armate a presidio dell’ordine pubblico di molte importanti città, a cominciare dalla capitale Washington D.C., ma soprattutto – per restare a temi collegati alla libertà di espressione – la repressione delle proteste pro-Palestina (e contro Israele) nei campus universitari, accompagnate da tagli di fondi e/o estromissione di docenti o studenti, a cominciare da quelli stranieri, come il caso del palestinese Mahmoud Khalil.
La mannaia della nuova censura ha investito anche il mondo dei media. Jimmy Kimmel si è visto sospendere l’omonimo programma satirico in onda su ABC, una delle reti più importanti del paese, per via delle critiche rivolte al mondo MAGA (Make America Great Again) e per aver, a detta dei critici, strumentalizzato la morte del giovane attivista (una decisione salutata con favore dall’inquilino della Casa Bianca, ma già rientrata); un altro “pilastro” della satira a stelle e strisce, molto conosciuto anche in Italia, South Park, ha visto l’oscuramento di un episodio andato in onda nell’agosto scorso, dove si parlava proprio di Kirk, giudicato irriverente. E già si parla di nuovi strali che potrebbero colpire, tra gli altri, un personaggio famoso anche nel nostro paese, l’attrice Whoopi Goldberg, che ogni mattina conduce su ABC il programma The View.
Donald Trump, inoltre, ha minacciato la revoca delle licenze alle emittenti giudicate “nemiche”, a suo dire il 97 per cento delle reti televisive, demandando il tutto al fidato Brendan Carr, nominato dallo stesso tycoon al vertice della Federal Communications Commission, l’autorità federale che vigila sul settore delle telecomunicazioni. Per non parlare di coloro che sono finiti all’interno di una sorta di liste di proscrizione digitali per aver festeggiato la morte di Kirk, assieme alla dichiarata intenzione di classificare come terroristica l’organizzazione Antifa.
Un ulteriore strumento di intimidazione è rappresentato dall’intentare cause per diffamazione, come quella miliardaria contro il New York Times, già ritenuta infondata da un giudice federale, o le nuove linee guida sulla strategia federale per la difesa, che in un’ottica di maggiore sicurezza interna sembrano favorire un maggiore controllo, ergo una minore libertà per tutti. Un ulteirore elemento di riflessione arriva dalla recente decisione di limitare l’accesso dei media al Pentagono (di recente ribattezzato Dipartimento della Guerra).
E non meno preoccupante la notizia di finanziamenti del governo israeliano per favorire l’immagine dello stato ebraico sui social, che richiamano alla memoria quelli erogati dalla Commissione Europea ai media, che danno l’idea di un modus operandi che travalica i confini statunitensi.
In ultima analisi, si delineano degli scenari nei quali la libertà di espressione sembra garantita a coloro che abbracciano un certo pensiero, vale a dire quello di cui si fa portatrice l’attuale Amministrazione, il che fa sorgere quello che il mitico ragionier Fantozzi chiamerebbe un “leggerissimo sospetto”: il libero pensiero (e soprattutto la sua manifestazione) rappresenta un diritto assoluto, all’insegna della celebre massima erroneamente attribuita a Voltaire, oppure deve trasformarsi in un pretesto per tacitare le voci dissenzienti?
Se così fosse, dovremmo concludere che molti di coloro che invocano la libera manifestazione del pensiero, alludono forse solo al proprio.
FONTE: https://www.lafionda.org/2025/09/24/free-speech-e-trumpismo-lipocrisia-al-potere





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