Per un ecologismo del 99%
di La Fionda (Giulio di Donato e Silvio Zolea)
Nelle settimane scorse molti giovani sono scesi in piazza nel nome dell’ambiente e della lotta ai cambiamenti climatici. Non ci sfuggono i limiti di una certa narrazione, così come il rischio evidente che certi contenuti vengano strumentalizzati e messi al servizio delle logiche di un sistema in crisi che cerca nuovi canali per rilanciare e rilegittimare sé stesso sia sul fronte produzione-consumo che sul fronte ideologico. C’è pure negli slogan che si sono sentiti un richiamo sinistro alla logica dell’emergenza, puntualmente (chi ne dubitava?) ripreso e rilanciato da Draghi, leader per eccellenza dello stato di eccezione permanente: d’altronde ci appare ormai evidente come la tecnopolitica al governo si serva dell’emergenza come fonte costante di legittimazione. E c’è il dato di una società sempre più sfilacciata e incapace di alimentare attese per il futuro e proprio per questo preda di continue nevrosi collettive d’angoscia, che spesso assumono i tratti dell’ansia apocalittica da fine del mondo. A ciò si aggiunga una discutibile scelta di priorità anche tra le tante rivendicazioni ambientali, per cui da tempo una serie di tematiche affiorano all’attenzione collettiva e si spengono a ondate alla stregua di mode mediatiche, mentre questioni enormi che affliggono il nostro Paese, su cui esistono responsabilità molto più concrete e individuabili, restano – almeno così ci pare – sullo sfondo: si pensi allo smaltimento dei rifiuti tossici industriali sistematicamente in mano alle ecomafie, come attestato da numerose indagini e inchieste; alle cosiddette “grandi opere” (la famosa TAV in Val di Susa, ad esempio, ma non solo) realizzate con ingenti investimenti pubblici spesso in spregio alle più elementari regole di trasparenza amministrativa; finendo ai tanti casi di abusivismo edilizio (con tanto di evasione ed elusione dei vincoli di costruzione) che hanno depredato persino territori soggetti ai più stringenti vincoli naturalistici.
Ciononostante, non guardiamo con indifferenza e ostilità a queste mobilitazioni, che comunque rappresentano un segnale importante di risveglio collettivo. E non siamo certamente contrari all’adozione precauzionale di accordi internazionali, come auspicato da più parti, nell’ottica di una condivisa riduzione delle emissioni di gas serra. Né, soprattutto, ci sfugge la presenza di tante voci appassionate e consapevoli, animate dalle migliori intenzioni e attente alle diverse implicazioni che la questione ecologica solleva. Che anche per noi è una questione centrale, sebbene crediamo vada collocata all’interno di una dimensione più vicina ai luoghi di vita delle persone, quindi meno schiacciata sul discorso legato agli effetti (comunque tangibili) dei cambiamenti climatici, che alle volte sembra quasi degenerare in culto millenaristico (in questo senso c’è chi vede nell’appello ecologista i segni di nuova religione laica, che partecipa in una forma più igienizzata, fra profezie di catastrofe e idee di salvezza, alle nuove forme di spiritualità che attraversano l’Occidente secolarizzato e in crisi di identità. Una sorta di paganesimo rivisitato alla luce dell’ecologia con i suoi riferimenti a un “divino” naturale).
Così come viene comunemente declinato e propagandato a reti unificate, il messaggio ecologista – questa almeno è la nostra sensazione – rischia di rimanere confinato ad un circolo più o meno ampio di illuminati urbanizzati e risolversi in un conflitto a bassa intensità politica.
Quello che è certo è che l’onda lunga di celebrazioni mediatiche e seduzioni istituzionali che si è rovesciata sulle manifestazioni degli ultimi giorni, con il chiaro obiettivo di piegare le aspirazioni di una generazione che si affaccia sulla scena politica con “tante buone intenzioni e altrettante ingenuità”, alle esigenze di una economia green che guarda più ai profitti che alla sostenibilità socio-ambientale, crea disagio e solleva tutta una serie di interrogativi.
La cartina di tornasole di quanto una mobilitazione di massa abbia in sé una autentica carica sovversiva, in grado di mettere in discussione seriamente il paradigma dominante, risiede – come è evidente – nel suo modo di porsi rispetto all’assetto vigente e parallelamente del modo di porsi dell’assetto vigente rispetto a essa. Dove si è mai visto un movimento di critica profonda al sistema godere del favore così sfacciato delle autorità di ogni ordine e grado? Dov’è la dimensione del conflitto, in una mobilitazione incoraggiata e pompata dai media mainstream? Eppure la memoria storica ci ricorda che la lotta per i diritti presi sul serio non è mai stata la storia di concessioni benevole dall’alto. Una mobilitazione contro nemici indeterminati e indeterminabili, in nome di parole d’ordine approvate all’unanimità, si espone inevitabilmente alle strumentalizzazioni dei settori emergenti del tecno-capitalismo contemporaneo. Per usare la metafora del noto romanzo di Cronin, il cambiamento climatico sta diventando la leva con cui i Joe Gowlan di oggi cercano di scalzare i Richard Barras dal vertice del potere economico. L’emergenza ecologica è così da molti evocata, alla stregua di quanto avvenuto in questi mesi per l’emergenza sanitaria, non per affrontare i (gravi) problemi strutturali esistenti, bensì come arma di distrazione di massa per distogliere l’attenzione da scelte e responsabilità precise.
È venuto invece il tempo – noi crediamo – di pensare ad un ecologismo del 99% capace di intrecciare le condizioni concrete di vita delle persone e quella grande domanda di una qualità della vita diversa che attraversa la nostra società. Ricercando un nesso profondo fra questione sociale, questione ecologica e questione democratica/nazionale. Un ecologismo che non è l’ipocrisia dei piccoli gesti, bensì la messa in discussione dei dogmi che hanno sorretto il processo di globalizzazione degli ultimi decenni (vedi il principio della libera circolazione di merci, capitali e servizi). I fronti di lotta sono molti: dalla riduzione dell’orario di lavoro alla mobilità sostenibile, dalla lotta agli sprechi e all’inquinamento (a partire da quello industriale, sollecitando gli imprenditori a investire su un ammodernamento delle tecniche produttive e riservando allo Stato un vero ruolo di indirizzo e programmazione) alla messa in sicurezza del territorio, dal contrasto alla speculazione edilizia alla tutela del paesaggio e del patrimonio artistico del nostro Paese, passando per un nuovo paradigma urbanistico che favorisca relazioni e modelli di vita diversi e più salutari contro le solitudini e alienazioni del nostro tempo. Questi alcuni temi, ma l’elenco delle urgenze è troppo lungo per ricondurlo ad una sintesi efficace.
In ogni caso abbiamo già sperimentato in passato esperienze capaci di coinvolgere con successo un’ampia fascia di popolazione, basti pensare alla recente battaglia referendaria in difesa dell’acqua pubblica. Esempio di ecologismo egemonico, che oggi forse verrebbe considerato troppo al di sotto del firmamento retorico dei tanti manifesti strumentalmente alimentati e cavalcati dal mainstream.
Fonte: https://www.lafionda.org/2021/10/20/per-un-ecologismo-del-99/
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