In 3 sorsi – Tra siccità record e data center hi-tech, l’Uruguay diventa terreno di scontro tra bisogni essenziali e interessi globali: l’acqua come bene comune sfida il potere delle multinazionali.
1. URUGUAY SENZ’ACQUA: TRA SICCITÀ E PRIVATIZZAZIONE
L’Uruguay è da sempre considerato un piccolo paradiso sudamericano, un Paese di poco più di tre milioni e mezzo di abitanti che, a differenza dei suoi vicini, non ha mai potuto contare su grandi risorse naturali. Da tempo, però, si trova al centro di una crisi idrica senza precedenti. Le precipitazioni sono diminuite drasticamente: secondo la BBC, negli ultimi tre anni la pioggia è calata di un quarto rispetto alla media storica e il bacino che rifornisce la capitale Montevideo si è quasi del tutto prosciugato. Questa emergenza ha messo in luce la fragilità delle infrastrutture del Paese, ferme a impianti di potabilizzazione costruiti più di un secolo e mezzo fa e incapaci di affrontare la crisi climatica. Ma oltre al fattore meteorologico, pesa la cattiva gestione: più dell’80% dell’acqua disponibile viene destinata all’industria e alle coltivazioni intensive, lasciando al consumo umano una quota marginale. La convergenza tra crisi climatica e gestione privatistica delle risorse idriche ha innescato forti mobilitazioni. A ricordarne il senso, le parole di Carmen Sosa, del Comitato sindacale per la difesa dell’acqua e della vita: “L’acqua per le persone deve venire prima del profitto”.
2. UN DATA CENTER DA 7 MILIONI DI LITRI AL GIORNO
È in questo clima di crescente tensione che, nell’estate del 2023, mentre il Paese affrontava la peggior emergenza idrica degli ultimi settant’anni, un annuncio ha acceso ulteriormente la rabbia della popolazione: la multinazionale Google ha avviato le procedure per la costruzione di un grande data center a Canelones, all’interno del Parque de las Ciencias, un polo industriale e tecnologico che aspira a essere una “Silicon Valley” in salsa uruguaiana. Il progetto prevede un consumo idrico stimato di 7,6 milioni di litri al giorno, l’equivalente del fabbisogno quotidiano di circa 55mila persone: “Come se al Paese si aggiungesse una città di medie dimensioni”, ha spiegato l’ingegnere Andrés Ferragut al quotidiano El País. La prospettiva che, in piena crisi, un colosso tecnologico statunitense potesse accaparrarsi milioni di litri di acqua ha provocato forti contestazioni. Sui muri di Montevideo, a testimonianza del malcontento crescente, è comparsa la scritta “Non è siccità, è saccheggio“. Google è riuscita però a poggiare la prima pietra nel novembre del 2024, nonostante i dati ufficiali diffusi dal Ministero dell’Ambiente confermino l’enorme impatto potenziale. In un Paese dove i cittadini hanno dovuto abituarsi a bere acqua salata e terrosa, il timore è che la promessa di sviluppo tecnologico si trasformi nell’ennesimo capitolo di un modello che concentra le risorse nelle mani di pochi, lasciando la popolazione a secco.
3. QUANDO L’INNOVAZIONE CONSUMA IL FUTURO
La vicenda uruguaiana si inserisce in un contesto globale nel quale le grandi multinazionali tecnologiche si muovono sempre più come nuovi imperi. Come osserva la giornalista Karen Hao nel suoThe Empire of AI, questi colossi hanno ormai una capacità di influenza che oltrepassa i confini nazionali, dettando regole e imponendo modelli economici che spesso gli Stati faticano a contenere. La promessa di progresso tecnologico rischia così di tradursi in una forma di dominio che mette a repentaglio beni comuni essenziali, come l’acqua. Non è un caso che proprio le nuove tecnologie, dall’intelligenza artificiale ai data center, abbiano un’impronta ambientale crescente: per funzionare richiedono enormi quantità di energia e risorse idriche, mettendo sotto pressione ecosistemi già fragili. L’esplosione dell’AI, celebrata come la prossima rivoluzione industriale, rischia dunque di compromettere numerose riserve idriche nel mondo, con un paradosso sempre più evidente: nel nome dell’innovazione, si sta consumando il futuro stesso della sostenibilità.





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