Fidel, il fuoco non s’è spento
da LA FIONDA (Matteo Parini)

“Nel 1956 saremo liberi o martiri”. Lo disse Fidel Castro che, insieme al fratello Raúl, a Juan Manuel Márquez, a Ernesto Che Guevara, a Camilo Cienfuegos, a Juan Almeida e ad altri valorosi compagni, si preparava nella mente e nel corpo a scrivere una pagina imperitura di storia rivoluzionaria. Camminavano senza sosta per le strade di Città del Messico, scalavano montagne, forgiavano la capacità di difesa personale, la tattica di guerriglia e le pratiche di tiro. Fidel, in cuor suo, sapeva benissimo come sarebbe andata a finire e che l’alba di una nuova Cuba fosse ormai soltanto questione di tempo, così come la fine della dittatura di Fulgencio Batista.
Un anno prima – era l’estate del 1955 -constatata l’impossibilità di proseguire la lotta con mezzi legali contro il regime efferato e corrotto, Fidel Castro era partito alla volta del Messico con l’obiettivo non più procrastinabile dell’insurrezione armata. Furono giorni difficili, vissuti in condizioni economiche precarie e sotto la sorveglianza asfissiante degli sgherri di Batista, che tuttavia non limitarono la sua intensa opera di diffusione delle idee rivoluzionarie e lungimiranti.
Due mesi prima, grazie a una pressione popolare tale da far presagire la piega che gli eventi avrebbero preso, Fidel aveva lasciato il carcere dove era stato rinchiuso in seguito all’assalto fallito alla caserma Moncada, l’epicentro del potere centrale a Santiago di Cuba. La sconfitta del blitz dei centosessanta uomini reclutati tra operai e studenti fu accompagnata, però, dalla nascita del Movimento 26 Luglio che, di lì a poco, sarebbe diventato il grimaldello con cui la forza popolare avrebbe scardinato la repressione di Batista.
Dietro le sbarre, nella celebre arringa difensiva, Fidel ammonì gli apparati di potere affermando: “Nessun’arma, nessuna forza è capace di vincere un popolo che si decide a lottare per i suoi interessi”. Quando, nel luglio del 1956, la polizia messicana intervenne dopo aver scoperto il suo accampamento e sequestrato le armi, ponendo lui e i suoi uomini in stato detentivo, Fidel comprese che i tempi dell’azione fossero ormai maturi.
Usciti di prigione, i futuri liberatori di Cuba acquistarono l’imbarcazione che sarebbe stata poi battezzata Granma e con la quale, la mattina del 25 novembre 1956, per una suggestiva coincidenza temporale del destino, salparono dal fiume Tuxpan in direzione dell’isola che sarebbe divenuta ribelle. A bordo vi erano ottantadue combattenti, con un’età media di soli ventisette anni.
Dopo una settimana di navigazione sbarcarono a Las Coloradas, punto strategico sulla costa sud-occidentale dell’allora provincia d’Oriente. A Cinco Palmas avvenne il ricongiungimento con Raúl e prese forma una forza rivoluzionaria che, come una valanga, avanzava inesorabile aumentando la propria energia, sostenuta anche dalla massa contadina. Era la genesi dell’Esercito Ribelle.
Nel gennaio del 1957 la storia registrò la prima significativa vittoria contro gli uomini di Batista, quando Fidel, assurto a Comandante in Capo del Movimento 26 Luglio, guidò l’assalto alla caserma di La Plata. Per venticinque interminabili mesi la sua colonna – la numero uno, intitolata all’eroe di Cuba José Martí – sfiancò la resistenza dell’esercito del regime, finché, nel contesto di uno sciopero generale che vide i lavoratori decisi a dare la spallata finale a un’epoca terribile per il popolo cubano, il 1º gennaio del 1959 Castro entrò da trionfatore a Santiago.
Una settimana più tardi fece il suo ingresso all’Avana, e il cerchio della storia si chiuse il successivo 13 febbraio, quando venne nominato Primo Ministro del Governo Rivoluzionario. Infine, nell’ottobre del 1965, fu eletto primo segretario del Partito Comunista di Cuba e ratificato nei cinque congressi successivi. Il resto è la parabola cubana, rivoluzionaria e socialista, che ancora oggi, a distanza di sessant’anni, non smette di essere stella polare dei popoli in lotta per l’autodeterminazione contro l’impero statunitense.
Con l’incrollabile sostegno della gente comune che lo ha amato visceralmente alla stregua di un padre, Fidel, fino al giorno della sua dipartita terrena avvenuta proprio il 25 novembre di nove anni fa, ha reso concreta e duratura la speranza che un mondo di tutti e per tutti, diverso da quello disumano del capitalismo, fosse davvero possibile. Mentre gli USA, con la complicità dell’Occidente, ordivano attentati alla sua persona, affamavano il popolo cubano con un embargo criminale e riversavano sull’isola malattie e sabotaggi, lui istituiva, a soddisfare il suo desiderio più nobile, la Brigata Medica, esportando dottori ovunque nel mondo ce ne fosse bisogno. Vita, quando lo stesso mondo era solito esportare armi, distruzione e morte.
Nato il 13 agosto 1926 a Birán, suo padre, Ángel Castro Argiz figlio di contadini della Galizia, era un ricco proprietario terriero e colono di campi di canna da zucchero. Sua madre, Lina Ruz González, proveniva, invece, da una famiglia contadina della provincia di Pinar del Río. Avrebbe quindi potuto regalarsi una vita da privilegiato grazie alla condizione economica familiare e alla possibilità di completare un ciclo scolastico di eccellenza. Prima le scuole elementari nei collegi cattolici privati La Salle e Dolores, poi il liceo a Santiago di Cuba e infine il collegio Belén della Compagnia di Gesù all’Avana, dove conseguì il diploma. Proseguì, infine, con la facoltà di Diritto, Scienze Sociali e Diritto Diplomatico all’Università dell’Avana.
Eppure, già dai banchi universitari, Fidel abbracciò immediatamente la lotta politica nel seno dell’ecosistema studentesco in fermento. Nel più puro spirito internazionalista divenne membro di diverse organizzazioni studentesche progressiste e antimperialiste, quali il Comitato per l’Indipendenza di Puerto Rico, il Comitato 30 Settembre, di cui fu fondatore, e il Comitato Prodemocrazia Domenicana. Ancora studente, si arruolò in una spedizione organizzata per defenestrare il dittatore dominicano Rafael Leónidas Trujillo. Poi fu la volta del Venezuela, di Panama e della Colombia, dove si recò come dirigente studentesco per organizzare il Congresso Latinoamericano degli Studenti. E fu proprio in Colombia che rischiò seriamente di morire, quando, nel mezzo di una ribellione popolare, sopravvisse per pura casualità alla violenza della repressione governativa.
Dopo la laurea si dedicò alla difesa dei più umili, per i quali la tutela legale non era nemmeno un’opzione. Ma fu il 10 marzo 1952 la data decisiva: il colpo di stato contro Carlos Prío Socarrás fece piombare Cuba nell’inferno del brutale regime militare di Batista eterodiretto da Washington, tra violenza, corruzione e criminalità diffusa che trasformarono l’isola nel bordello a cielo aperto degli Stati Uniti. Il punto di non ritorno.
Il resto è la storia rivoluzionaria che farà di Fidel Castro un’inesauribile fonte di ispirazione e della Rivoluzione – alla cui causa dedicò un’intera vita – un precedente capace di alimentare il sogno di giustizia e libertà in ogni angolo della Terra fiaccato dalla prevaricazione dei pochi sulla pelle dei molti. Oggi, a nove anni dalla morte, il suo tragitto politico continua a incarnare l’idea di dignità nazionale, resistenza, solidarietà, impegno sociale, orgoglio identitario. Sentimenti profondi e inestimabili che hanno cementato la simbiosi di Castro con il popolo cubano. Checché ne racconti, in chiave denigratoria, la propaganda occidentale.
Castro è la declinazione cubana del marxismo, abbracciato più attraverso l’esperienza politica, la militanza e lo studio delle ingiustizie che per formazione ideologica originaria, che divenne l’arma più potente di emancipazione popolare; il manifesto dell’identità politica e il caposaldo della costruzione istituzionale dello Stato cubano capace di resistere a decenni di aggressione da parte dell’ingombrante vicino. Quindici presidenti ha visto Fidel Castro succedersi alla Casa Bianca, senza che nessuno di loro riuscisse a piegare la forza immortale delle sue idee.
“La historia me absolverá”, ammonì Fidel Castro durante il celebre discorso di autodifesa al processo per l’assalto alla caserma Moncada. Ma si sbagliava per difetto: la storia non solo lo ha assolto, lo ringrazia ancora oggi.
FONTE: https://www.lafionda.org/2025/11/25/fidel-il-fuoco-non-se-spento/





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