Tecnologia e tempo
di GABRIELE GERMANI (Pagina FB)
Ogni tanto mi interrogo sulla percezione del tempo. Abbiamo la stessa percezione del tempo dei nostri nonni?
Mi spiego meglio: sarà capitato a tutti di avere la sensazione che la giornata stia sfuggendo tra le mani, capita spesso. Ogni tanto mi chiedo se questa sensazione sia data dallo stile di vita “moderno” o se non ci sia qualcosa di altro, cosa? La tecnica.
Improvvisamente nella storia dell’uomo il tempo ha preso un altro corso.
Ne ho parlato spesso in passato, non c’è stato un passaggio tra l’età antica e quella medievale segnato con una data, la maggior parte della popolazione europea ha continuato a vivere serenamente la sua vita, identica, nei secoli.
Il passaggio ai ritmi di fabbrica in Inghilterra ha alterato la vita di quelli che erano contadini. Pochi storici, tra cui l’ottimo Eric Hobsbawm, hanno considerato il cambiamento antropologico avvenuto con la rivoluzione industriale (e su questo leggere Marx è quanto mai necessario, non solo auspicabile).
Immagine di essere in un imprecisato decennio di inizio ‘800 nella campagna inglese, improvvisamente il nobilotto che fino ad allora manteneva tutta la famiglia con una sorta di arretrata pastorizia, vi dice che non se ne fa più nulla, che sta “investendo” (parola nuova) in una fabbrica di filati a Manchester e che di contadini ne bastano quattro, gli altri se vogliono possono andare in città a fare gli operai.
Un’intera famiglia si sposta dalla campagna alla città e passa dal ritmo dell’uomo a quello della macchina, inizialmente rudimentale, poi nei decenni sempre più sofisticata, fino al fordismo.
Lavorare in serie, come animali da allevamento, la famiglia contadina è passata dall’essere allevatrice all’essere allevata; da un ambiente pieno di verde, in cui si poteva correre scalzi sull’erba (e in cui la nostra specie si è evoluta per migliaia di anni), a uno strano non luogo nuovo: la città industriale.
Questa non corrisponde alla città medievale, molto rustica a dire il vero, con ampi orti e bestiame fino in pieno centro. Fino al ‘600, le cronache europee ci parlano dei lupi e degli orsi che nelle fredde notti di inverno, scendevano dai boschi fino alle vie dei paesi più grandi e seminavano il terrore.
La rivoluzione industriale vide un’esplosione della tecnica e della mentalità tecnico-scientifica; una diffusione totale del positivismo nordeuropeo al mondo (e giù tutto un filone letterario sul cattolicesimo corrotto, sui Borgia che bevevano vino rosso e si trastullavano nella sodomia; il cattolicesimo era in finale troppo tollerante per i puritani del Nord Europa dediti al lavoro e ai sensi di colpa).
La razionalizzazione (spacciata per razionalità, tramite un abile giochetto di estensione dell’illuminismo) applicata al lavoro fu passata alla società; l’allevamento non era più la fabbrica, ma la comunità intera.
Improvvisamente si passava alla società del terziario, dei servizi, i valori del lavoro e del progresso venivano introiettati volontariamente da tutti, si diffondeva l’idea di una vita liquida, senza legami, senza un lavoro fisso, senza una casa.
L’antropologia neoliberista faceva riaffiorare la radice più antica dell’uomo quella del nomade; ancora 6.000 anni fa la maggior parte della popolazione Sapiens era semi-nomade e lo era su un tempo lunghissimo (dalle prime fughe in avanti fuori dall’Africa, dove eravamo nati).
Le nostre vite si sono riempite di oggetti: tv, telefoni portatili, internet, messaggi, app e tutto questo velocizza la nostra quotidianità, i nostri rapporti e in finale la nostra produttività.
Diventiamo eterni produttori di beni, di plusvalore (la ricchezza in eccesso che produciamo col lavoro, quella roba che non serve alla nostra sussistenza e che quindi finisce nelle tasche dei più ricchi, creando la stratificazione sociale, vedi Marx).
La tecnica applicata ad una società capitalista distrugge il nostro “essere nel mondo”, e questo mi chiedo se non intacchi la nostra stessa percezione del tempo, come qualcosa di relativo, come orologio interno.
In sostanza, la domanda che mi sto chiedendo è: le nostre vite, biologicamente più lunghe di quelle dei nostri antenati, sono in finale più brevi nella nostra percezione soggettiva?
Viviamo in una sorta di bolla di tempo accelerato?
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