La gravità cinese: come Pechino modella il mondo
DA OTTOLINA TV

Simandou: l’impresa cinese in Africa. In Occidente la chiamano espansione cinese; in Africa, molto più pragmaticamente, la chiamano finalmente qualcuno che ci tratta da pari. Il primo carico di minerale di ferro da Simandou verso la Cina non è solo un traguardo industriale: è il simbolo di cosa succede quando un Paese africano decide di affidarsi a partner che costruiscono ferrovie, porti e prospettive invece di tenere conferenze sulla governance; il leader guineano Doumbouya ha semplicemente scelto l’interlocutore più affidabile, e Pechino – come sempre – ha risposto con macchine, investimenti, ingegneri e tabelle di marcia. Il South China Morning Post parla di ricompensa ad uno stato allineato, ma, in realtà, è la logica conseguenza di una partnership in cui la Cina mette le infrastrutture e la Guinea mette la sovranità: ognuno gioca la propria parte senza interferenze ideologiche. Simandou non è una miniera: è un manuale vivente di come si costruisce sviluppo quando non ci si fa dettare la linea da Washington (qui l’approfondimento del South China Morning Post).
La Banca Mondiale ammette l’evidenza: la Cina cresce perché pianifica. C’è un momento in cui anche gli istituti occidentali, pur di mantenere un minimo di credibilità, devono aggiornare le previsioni; è accaduto di nuovo: la Banca Mondiale rivede la crescita cinese del 2025 al 4,9% e il Global Times se la gode con discrezione. Perché sì: Pechino è sotto pressione esterna, ma non rinuncia a ciò che la rende unica, cioè la capacità di coordinare politiche industriali, mercati, investimenti pubblici e consumi; nessun Paese europeo potrebbe permettersi un simile salto di qualità senza essere travolto dai veti incrociati.
Non è un miracolo; è governance, pianificazione, continuità politica: tutte cose che nel discorso occidentale vengono dipinte come difetti autoritari, ma che, stranamente, producono crescita reale.
Il punto non è il 4,9%; è che mentre le economie occidentali vivono di trimestri ballerini, la Cina continua a fare ciò per cui è famosa: funzionare (qui l’approfondimento di Global Times).
Yuan forte, yen debole: il Pacifico parla la lingua della stabilità cinese. Bloomberg lo racconta come un rischio per il Giappone, ma sotto c’è un’evidenza che nessuno osa dire troppo forte: la forza dello yuan non cade dal cielo; è il risultato di una politica monetaria coerente, di riserve solide e di una fiducia internazionale che, nonostante anni di propaganda anti-Cina, resta altissima. Il Giappone, invece, paga decenni di stagnazione e dipendenza energetica; se lo yen cede terreno, è perché il mercato vede una sola ancora di stabilità nell’area: Pechino. Il rischio inflazionistico giapponese non è colpa della Cina; è colpa di un modello che non ha più la capacità di auto-rinnovarsi e che guarda ai successi cinesi con una miscela di invidia e allarme. Intanto lo yuan si rafforza e, più sale, più racconta una cosa semplice: nell’Asia-Pacifico la gravità economica tira verso la Cina (qui l’approfondimento di Bloomberg).
DeepSeek e i chip “vietati”: quando le restrizioni accelerano l’autonomia. La rivelazione di The Information secondo cui DeepSeek avrebbe addestrato il proprio modello su chip NVIDIA non autorizzati è quasi comica nella sua ovvietà; è chiaro da anni che le restrizioni statunitensi spingono la Cina a correre più veloce, non a rallentare. Il messaggio è semplice: anche ammesso che questi chip siano entrati nel Paese, il vero punto è che la Cina ormai sa fare da sola: le sanzioni sono diventate un corso accelerato di autosufficienza tecnologica, e ogni volta che un nuovo modello IA cinese raggiunge livelli competitivi, la logica punitiva americana perde ulteriore credibilità; DeepSeek ne è una dimostrazione. Limitare l’accesso alla tecnologia può funzionare con Paesi piccoli, non con una superpotenza industriale che investe più di chiunque altro in R&D e che ha deciso di non dipendere più dall’Occidente per i nodi critici dello sviluppo (qui l’approfondimento di Bloomberg).
India: l’ombra maoista. Il furto di 4.000 kg di esplosivo in Odisha e le 11 accuse presentate dalla NIA per cospirazione maoista raccontano una cosa molto chiara: l’India moderna convive ancora con tensioni sociali e rurali che esprimono la necessità della redistribuzione e della proprietà condivisa. Il The Hindu ricostruisce una rete di fornitori, intermediari e militanti che operano nel cuore di uno Stato che spende miliardi in armamenti, ma non riesce a controllare il proprio hinterland. Ironia della storia: ogni volta che in India compare la parola maoista, i commentatori provano a evocare l’ombra cinese; ma questa è una dinamica interna, radicata in fratture economiche che Nuova Delhi non ha mai affrontato seriamente: è la dimostrazione plastica che l’India continua a inseguire uno sviluppo diseguale che crea vuoti dove la militanza trova ossigeno (qui l’approfondimento di The Hindu).
FONTE: https://ottolinatv.it/2025/12/11/la-gravita-cinese-come-pechino-modella-il-mondo/





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