Analisi dei cambi e dei differenziali di inflazione dal 1971 al 2000
Gli USA, il 15 agosto del 1971, abbandonarono la convertibilità del dollaro in oro, dando il “liberi tutti” ed inaugurando l’epoca della moneta “cartalista”, ovvero l’emissione della moneta non era più agganciata al valore fisico dell’oro.
L’analisi parte dal 01 settembre 1971, pochi giorni dopo l’annuncio di nixon, e arriva al 01/gennaio/1981, molto prima che andreatta facesse partire la famosa lettera relativa al divorzio (12/02/1981) e ancor prima che c.a. ciampi diede risposta positiva (06/03/1981). Queste date sono fondamentali, poiché non vi era alcuna illazione su cui si potesse appoggiare una speculazione contro la nostra moneta.
Fixing VS dollaro tra 01/09/71 e 01/01/81:
Lira italiana: da 615 a 930 (+51,2%)
Marco tedesco : da 3,41 a 1,96 (-42,5%)
Yen giapponese: da 347 a 202 ( -41,8%)
Fixing VS marco della Lira italiana: da 180 a 475 (+164%)
Fixing VS Yen Lira italiana: da 1,77 a 4,60 (+160%)
Il decennio intercorso dal set/71 al gen/81 è stato pieno di fatti storico-economici di primaria importanza: ci furono ben quattro guerre di grande rilievo e due crisi petrolifere. Le crisi dell’oro nero sconvolsero il mondo molto più delle guerre stesse.
Nel 1973, mentre gli USA uscivano sconfitti dal Vietnam, in medio-oriente scoppiò la guerra del Kippur che fece quadruplicare il prezzo del petrolio e portò l’inflazione a due cifre in molti Paesi avanzati, successivamente, nel 1978, l’URSS invase l’Afghanistan, nel 1979 venne rovesciato lo scià di Persia dalla rivoluzione komeinista che portò il petrolio a triplicare il proprio prezzo e, infine, nel 1980, cominciò la guerra tra Iran ed Iraq che come caratteristica peculiare fece scendere progressivamente, sino al 1986, il prezzo del petrolio dei ¾ del suo valore, riportandone la quotazione al 1972, ante-guerra del Kippur.
Quello che balza prepotentemente all’occhio è la rivalutazione del marco tedesco e dello Yen giapponese, sia verso la Lira che verso il Dollaro USA. O meglio, sia la Lira che il Dollaro svalutarono a causa dell’inflazione, mentre il Marco e lo Yen rivalutarono, addirittura. Dalle percentuali capiamo meglio cosa accadde. La Lira svalutò del 51,2% verso il dollaro, del 164% verso il Marco e del 160% verso Yen. Marco e Yen rivalutarono del 42% sul Dollaro.
Se tanto mi da tanto, relativamente alla differenza di inflazione accumulata nel periodo che veniva scaricata sul cambio, abbiamo questi dati: l’Italia, in quel decennio, ogni anno aveva il 5,1% di inflazione in più degli USA, il 16% in più del Giappone e ben il 16,4% in più rispetto alla Germania. Oppure sia Germania che Giappone deflazionarono pesantemente.
Gli Usa avevano, a loro volta, il 7,4% di inflazione media annua in più della Germania. e il 7,2% in più del Giappone.
Provo ad incrociare i dati in un modo inusuale: 51,2% (inflaz. Italia VS USA) + 74% (inflaz. USA VS Germania) = 125,2% – 164% (inflaz. Italia VS Germania) = -38,8%; in quel decennio il Marco si rivalutò in maniera netta del 38,8%. Ovvero deflazionarono ogni anno del 3,8%.
51,2% + 72% = 123,2% – 160% (inflaz. Italia VS Giappone) = -32,8%; in quel decennio lo Yen si rivalutò in maniera netta del 32,8%. Ovvero deflazionarono ogni anno del 3,3%.
E’ solo una fantasia della mia fervida immaginazione? Però, però….
E’ stupefacente osservare come, sia Giappone che Germania, misero in campo misure di austerità tremende per contenere l’inflazione, facendo pagare al Popolo il salatissimo conto. Ed è altrettanto stupefacente osservare la quasi assoluta simmetria di comportamento di Lira e Dollaro verso Marco e Yen. Eppure, tutti i 4 Paesi presi in esame erano esportatori netti (anche gli USA all’epoca lo erano, le delocalizzazioni in Cina partirono sul finire del 1978). Mi viene da pensare che gli enormi guadagni derivanti dell’export di Germania e Giappone rimasero quasi del tutto nelle mani degli industriali, mentre In USA e in Italia la classe media faceva conquiste continue ed era all’apice del benessere. Il “divorzio” in Italia che fece scoppiare il debito pubblico (in massima parte a causa dello scoppio degli interessi sui tit di Stato) e l’avvento del mercantilismo-libero-scambista che avviò la globalizzazione del governo reagan diedero un colpo mortale ad entrambi i Paesi.
Adesso analizziamo un altro periodo: il ventennio che va dal 1/1/81 al 1/1/00 (in epoca SME e poi euro ormai fatto):
Fixing VS dollaro da 01/01/81 a 01/01/00
Lira italiana: da 930 a 1922 (+106,7%)
Marco tedesco: da 1,96 a 1,95 (-0,51%)
Yen giapponese: da 202 a 103 (-49,0%)
Fixing VS marco della Lira italiana: da 475 a 990 (+108,4%)
Fixing VS Yen Lira italiana: da 4,6 a 18,85 (+310%)
Vediamo come in questo periodo la simmetria con gli USA è andata completamente perduta poichè con l’esplosione del debito pubblico italiano derivante dallo scellerato divorzio e con la costrizione dello SME credibile (1987) , la Lira si trovò come il famoso vaso di coccio tra i vasi di ferro. Nel 1992, dopo aver bruciato tutte le riserve in valuta pregiata (per un controvalore di 51.000 mld di Lire) per difendere un cambio indifendibile, in settembre, l’Italia uscì dallo SME e dovette svalutare pesantemente (il 30%, ovvero tutta l’inflazione accumulata in più rispetto alla Germania in quegli anni). Le svalutazioni furono una costante per tenere in equilibrio un Paese che da sempre è stato votato all’esportazione.
L’Italia, da dopo il medioevo, non essendo mai stata una “materiaprimista” ha affinato la “materia grigia” e importa materie prime da ogni angolo del pianeta, trasformandole in prodotto finito da vendere sia in Patria che, soprattutto, all’estero, riavendo in cambio valute pregiate con cui continuare il ciclo. Questa peculiarità è stata alla base del progresso che l’Italia ha raggiunto in 1000 anni in ogni ambito e disciplina. Questo è il punto cogente che mi porta ad essere in disaccordo, almeno su questo importante “dettaglio”, con la ME-MMT: il nostro amato Paese non può fare a meno di essere esportatore netto. Se ciò accadesse ci sarebbe la deindustrializzazione e torneremmo ad una civiltà curtense poiché ci mancherebbe la valuta pregiata proveniente dall’export che non ci permetterebbe di acquistare dall’estero quello di cui abbiamo bisogno, ovvero, tutte le materie prime che comunque servirebbero alla Nazione. Stampare denaro non servirebbe a nulla in quel caso.
Dobbiamo necessariamente riportare a produrre in Italia quelle industrie che hanno delocalizzato, che di export vivono e che hanno fatto grande la nostra Nazione nel mondo. Dovremo far capire loro che dovranno accettare di spendere di più in costo-manodopera, pena la chiusura del mercato interno ai loro prodotti “finto-made in Italy”, arrivando anche a togliergli l’etichetta di prestigio che rende così appetibili i loro prodotti all’estero. I fondi per abbattere drasticamente il carico fiscale al 33/35% massimo saranno reperiti dal risparmio sugli interessi che sarà non meno del 3/3.5% di PIL/anno. In questo modo non avranno scuse: vogliono vendere il “made in Italy” per il mondo? Bene, dovranno realizzare i manufatti in Italia, con manodopera locale e tasse pagate in loco. Agli industriali si dovrà, nondimeno, far accettare una nuova indicizzazione dei salari, atta a mettere al riparo i salariati e i ceti deboli da una inflazione che io auspico ritorni al 4/5% annuo. Una inflazione di quella portata ammazzerebbe il debito pubblico nall’arco di un ventennio, senza “monetizzarlo” (provocherebbe altre bolle finanziarie), senza fare “macelleria sociale” e senza fare quella “PENITENZIAGITE” che ci è richiesta e che già stiamo fortemente subendo.
Lasciando perdere lo Yen (il Giappone con lo scoppio della bolla immobiliare cadde in una deflazione trentennale da cui sta provando ad uscire nell’unico modo possibile: svalutando il valore dello Yen per rimettere in moto l’export), vediamo la TOTALE simmetria di svalutazione che la Lira ebbe sia contro il dollaro (106,7%) che contro il Marco (108,4%). La svalutazione media annua fu del 6%. In questo ventennio il debito pubblico è passato dal 58% del 1981 (ante divorzio) al 120% del 2000: aumentando mediamente del 5,35% l’anno. Tanto ci è costato fare a meno del supporto della nostra Banca d’Italia: migliaia di miliardi di Lire prima e centinaia di miliardi di euro poi, regalati alla finanza speculativa e ai rentiers, nostrani e non.
Con i dati acquisiti in quasi 30 anni di fixing possiamo azzardare delle previsioni? Direi di si, assolutamente.
Una dinamica così lunga mi fa fare questa proiezione: svalutazione complessiva della Lira dal 1/9/1971 al 1/1/2000 pari al 212,5%; 212,5 : 29 anni = 7,33% di svalutazione media annua; 7,33% x 14 anni (dal 1/1/2000 al 1/1/2014) = 102,62% di svalutazione totale; £ 1922 (valore £ contro $ al 1/1/2000) x 102.62% = £ 3790 per un Dollaro USA; £ 990 (valore £ contro DM al 1/1/2000) x 102.62% = £ 2016 per un Marco tedesco; e ancora, in 14 anni il nostro export sarebbe stato pari al (102.62 x 1.7 [moltiplicatore di Marshall-Lerner] – 102,62) = 72% in più della svalutazione stessa. Il 5,14% di export in più l’anno al netto dell’inflazione.
Un Marco così forte avrebbe dato alla Germania gli stessi risultati?
Penso che se l’Italia non avesse aderito all’euro erano i tedeschi che avrebbero dovuto imparare l’italiano per venire a lavorare qui. Saremmo stati la prima potenza manifatturiera in Europa e saremmo al quarto/quinto posto come PIL mondiale.
Anche oggi, se uscissimo unilateralmente da UE ed euro, svalutando del 30%, avremmo un export maggiore del 51% (30% x 1.7), ovvero il 21% in più della svalutazione stessa (51% – 30% = 21%).
Un dato è certo: un litro di super nel 2000 ci costava £2200, oggi ci costa £3300 ca (1,7 euro) ma avremmo risparmiato il 3,5/4% di PIL l’anno in interessi. Ovvero, avremmo potuto viaggiare su strade fatte in ORO massiccio, al contrario, non abbiamo nemmeno il denaro sufficiente per comprare il catrame necessario a riempire le buche.
La differenza di costo della benzina super, pari a £ 500 per litro, la siamo pagando in deflazione interna, con il sangue degli operai che vengono licenziati e delle imprese che chiudono.
Voglio anche sottolineare che con una svalutazione della Lira moltissimi italiani riscoprirebbero quanto è bello il loro Paese, senza dover per forza prendere un aereo per farsi una vacanza all’estero (che in futuro sempre meno gente potrà fare).
Restando nell’euro e nella UE, anche con i migliori politici possibili e ipotizzando, nondimeno, che spariscano d’un colpo, corruzione, evasione fiscale e mafie varie, ci ritroveremmo comunque il deserto industriale, in dieci anni invece che in cinque.
Per chi non lo ricordasse: dal 2015 entra in vigore il fiscal compact e si dovranno “rastrellare” casa per casa altri 40/45 miliardi l’anno che andranno ad aggiungersi agli 80/90 che paghiamo di interessi sul debito pubblico.
Eppure, c’è chi gongola per lo spread che scende….
Roberto Nardella, ARS Puglia
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