La Storia insegna sempre
Per sostenere il tema del Sovranismo, sia pubblicamente che sulle pagine di questo sito, un buon “militante” ha il dovere di tenersi informato. Non solo sugli accadimenti presenti ma anche su quelli passati. Direi anche “soprattutto” su quelli passati, perché la Storia è sempre una fedele compagna nell’analisi del presente, se la si vuole ascoltare.
Ed è per questo che fanno bella mostra di se sul mio comodino alcuni libri inerenti al passato del mio paese. Uno di questi è la raccolta di scritti di Augusto Graziani “I conti senza l’oste” , scritti che abbracciano un arco di 3 lustri di storia politico-economica italiana, dal 1980 al 1996.
Chi era Augusto Graziani lo potete trovare qui : http://it.wikipedia.org/wiki/Augusto_Graziani
Sono scritti prettamente economici, che danno una buona immagine dell’Italia di quel periodo. Sono divisi in tre sezioni : – Industria, Salari e Lavoro; – Lira, Moneta, Finanza; – Mezzogiorno e per ognuna di esse si possono gustare articoli veramente illuminanti letti nell’ottica delle attuali tragedie italiche.
Oltre a consigliarne la lettura a tutti quelli che hanno l’interesse di approfondire l’argomento, vorrei sottolineare il fatto che, volendo giocare a sostituire negli scritti di Graziani i nomi e le date, avremmo analisi perfettamente descrittive delle situazioni socio-economiche che viviamo oggigiorno.
Questo per evidenziare ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che la crisi attuale non è nuova, non è inaspettata e soprattutto segue un percorso di alterazione dello stato sociale che le elites hanno iniziato parecchi decenni or sono. E di cui il buon Graziani era perfettamente cosciente, anche se il suo stile riflessivo e pacato non ne lascia trasparire la ovvia , da persona di sinistra qual’era, apprensione a riguardo.
Vorrei proporvi uno scritto del 1991 intitolato “Il cambio forte non si tocca. L’ostinazione di Bankitalia” primo perché il titolo ricalca perfettamente le ultime dichiarazioni del presidente di Bundesbank Weidmann e secondo perché a mio avviso rende bene l’idea di come gli stessi problemi, le stesse dinamiche e gli stessi indottrinamenti mediatici siano comuni a 20 anni di distanza.
Vengono toccati argomenti attuali come le riforme, la credibilità internazionale, il vincolo esterno moralizzatore e modernizzatore, la spesa pubblica. E ovviamente la compressione del costo del lavoro.
“Il cambio forte non si tocca. L’ostinazione di Bankitalia”
“La questione del costo del lavoro è più che mai al centro dei dibattiti. Aspetti che vengono discussi un po’ di meno sono invece da un lato quello della dimensione quantitativa del problema, dall’altro il fatto che il problema del costo del lavoro si presenta inaspettatamente collegato con le linee seguite in materia di politica monetaria.
Perché l’aumento del costo del lavoro costituisce in Italia un problema ricorrente e drammatico?
Una parte della risposta di trova proprio nella politica valutaria, che è diventata una camicia di forza entro la quale l’economia del paese trova sempre più difficile respirare.
A partire dal 1979, anno in cui, sia pure attraverso vive polemiche, l’Italia decise di aderire al Sistema monetario europeo, la linea seguita in materia di cambi esteri è divenuta una linea di inflessibile difesa del valore esterno della lira.
Fra il 1979 ed il 1987, le parità dello SME sono state rivedute una decina di volte, e ogni volta la lira è stata svalutata; ma le svalutazione della lira sono sempre state inferiori a quanto l’inflazione interna avrebbe giustificato. Dopo il 1987, i riallineamenti sono del tutto cessati, il cambio tra lira e monete europee è diventato stabile, la lira nel 1990 è rientrata nella banda di oscillazione comune del 2,25% e in questa banda si è sempre mantenuta a livelli superiori.
Tuttavia, nonostante una politica di cambio così rigorosa, l’inflazione rispetto alla Germania si è ridotta in misura consistente soltanto nel 1988/89, quando la Germania ha avuto una lieve ripresa di inflazione, ma nel 1990, misurata rispetto ai prezzi all’ingrosso, era ancora del 3,6%.
Di conseguenza la lira si è andata costantemente rivalutando rispetto alle monete europee raggiungendo nel corso degli anni 80 il 10-12%. Il capovolgimento della politica valutaria degli anni 80, rispetto al decennio precedente, non poteva essere più brusco. Era inevitabile che l’industria esportatrice venisse messa in difficoltà. Ma, come le stesse autorità hanno a volte riconosciuto, tali difficoltà sono state in parte volute. Il rovesciamento della politica monetaria ha prodotto infatti due conseguenze. Da un lato, ha trasformato l’atteggiamento tollerante della grande industria in una feroce ostilità verso ogni rivendicazione salariale. Dall’altro ha imposto all’industria stessa una ristrutturazione tecnologica accelerata. Nel corso degli anni 80, il prodotto medio per occupato nell’industria in senso stretto è cresciuto quasi del 50% in un quadro in cui l’industria allontanava circa il 10% degli occupati, e la grande industria riduceva l’occupazione di oltre il 30%.
Può darsi che tutto questo venga letto dai responsabili di governo come evoluzione positiva, dal momento che l’avanzamento tecnologico è sempre un bene. Non bisogna ignorare però una contraddizione sulla quale si tende invece a sorvolare. E precisamente che, se da un lato il cambio forte consente di combattere l’inflazione importata, dall’altro affinché esso agisca come stimolo efficace per la modernizzazione dell’industria è necessario che sia accompagnato da un’inflazione interna superiore a quella estera.
Se dunque le autorità monetarie hanno inteso utilizzare il cambio forte per accelerare la modernizzazione dell’industria, paradossalmente hanno anche dovuto lasciare che i fattori di inflazione interna agissero indisturbati. Sostenere che il cambio forte consente di ottenere al tempo stesso stabilità monetaria e ristrutturazione produttiva è semplicemente una contraddizione in termini.
Ma gli inconvenienti della politica del cambio forte non finiscono qui. Per ottenere una rivalutazione continua della lira nel corso di 10 anni, le autorità sono state costrette a puntellare la bilancia dei pagamenti mediante importazione di capitali, cosa che a sua volta ha prodotto due ulteriori conseguenze, ambedue negative. In primo luogo, l’Italia è divenuta un paese gravemente indebitato con l’estero; in secondo luogo, i tassi di interesse elevati hanno fatto crescere il debito pubblico a livelli astronomici.
Sul tema del debito pubblico e dell’influsso nefasto che su di esso esercita il livello dei tassi di interesse, si è già scritto tanto che non occorre aggiungere altro. Vale invece la pena di aggiungere qualcosa a proposito del debito estero.
Negli anni passati, il governatore della Banca d’Italia non aveva mai calcato l’accento sulla consistenza dell’indebitamento esterno del paese. Quest’anno invece, per la prima volta ha posto sullo stesso piano debito esterno e debito dello Stato, <una doppia spirale, che alimenta una spesa per interessi crescente, e che urge spezzare>.
Dai dati riportati dal governatore, risulta che gli interessi corrisposti ai finanziatori esteri non vengono pagati mediante avanzi correnti, bensì mediante ulteriore indebitamento ( effetto Ponzi ).
A questo punto verrebbe voglia di dire che la politica monetaria messa in atto dall’Italia a partire dal 1979 ha creato un autentico guazzabuglio. Contro tutte le regole della politica economica, le autorità monetarie, manovrando uno strumento solo, quello del cambio forte, sono riuscite a realizzare quattro obiettivi, tutti negativi: inflazione interna, penalizzazione dell’industria esportatrice, debito esterno crescente a spirale, debito pubblico interno alle stelle. A dispetto di ciò, le autorità monetarie non danno segni di pentimento. Anzi sembrano paghe dei risultati ottenuti. Quali sono dunque le loro speranze?
Un obiettivo dichiarato è quello di imporre per questa via una riduzione del disavanzo pubblico. Ma in questa direzione il successo è molto problematico. Il governatore della Banca d’Italia ha dichiarato che un aumento della pressione tributaria è inevitabile; ma il presidente della Confindustria lo aveva preceduto dichiarando tassativamente che <non vi è spazio per l’incremento ulteriore di pressione fiscale>. Lo stesso governatore ha più volte richiesto il contenimento della spesa pubblica, ma non sembra che i responsabili governativi siano disposti a sacrificare sull’altare del pareggio di bilancio i loro preziosi strumenti di controllo clientelare.
Non resta quindi che la via consueta della compressione del costo del lavoro. In questa direzione, si deve riconoscere che risultati cospicui sono stati già raggiunti nel recente passato e vi è da temere che altri ancora ne matureranno presto”
Che dire? Il disinnesco dei movimenti sindacali attraverso il cambio forte ( o vincolo esterno che dir si voglia ), la compressione salariale in nome della produttività, il contenimento della spesa pubblica a favorire i creditori esteri, sono tutti argomenti più che mai attuali, vivi e sistematicamente distorti dai media nazionali ed esteri.
La Storia insegna, i suoi corsi e ricorsi devono fare parte del nostro bagaglio culturale, soprattutto perché essa, spesso e volentieri, da un immagine del futuro molto più chiara di quello che i teorici di tutte le scienze cercano di profetizzare.
L’Italia si sganciò dallo SME nel 1992, come si sgancerà dall’euro presto o tardi, le dinamiche sono identiche ( e le elites lo sanno ).
Il costo che il popolo pagò per lo sganciamento del 1992 fu l’eliminazione della scala mobile e il processo di Tangentopoli, che diede il via alla svendita dei beni pubblici attraverso le privatizzazioni.
Lo stesso potrà succedere dopo il break-up dell’euro : ulteriore cinesizzazione dei salari italiani e ulteriore depauperamento delle proprietà italiane ( l’esempio greco dovrebbe far riflettere ).
Quindi non basta volere l’uscita dalla moneta unica, serve anche una cultura, una coscienza popolare che difenda i cittadini dalle appropriazioni indebite prossime venture.
Ma la cultura personale da sola non può fare nulla, serve aggregarla, alimentarla, condividerla, distribuirla. Non chiusa tra le mura domestiche, non sussurrata ad amici o colleghi ma amplificata attraverso le opportunità di incontro che solo un’associazione di persone può mettere a disposizione.
E l’ARS si propone questo: preparare le persone, i cittadini, il popolo alla gestione prossima ventura del paese.
Spettacolo… di Augusto Graziani, che leggevo già al ginnasio e di Roberto Mora che è un onore aver conosciuto nell'ARS
Grazie davvero a Roberto per averci proposto questo illuminante brano del grande Graziani. E grazie per la riflessione che l'accompagna.