Ai giovani delle Università italiane
Una lettera meravigliosa e immortale, che spinge ad essere forti, pazienti, perseveranti, disciplinati, coraggiosi (SD’A)
O giovani, voi siete d’una terra che fu grande oltre ogni altra, grande, essa sola nella storia d’Europa, due volte, e sarà grande la terza. Le vostre Università diffusero istitutori e scienza a tutti i popoli. Le vostre scuole filosofiche cacciarono fin dal XVII secolo i germi, pur troppo inavvertiti fra noi, delle dottrine che diedero e danno vita alle scuole Francesi e Tedesche. Il vostro intelletto, potente quanto quello d’ogni altra contrada, è più audace e più rapido. E il Genio Italiano, quando Genio Italiano fu, non guasto, non traviato dal vezzo dell’imitazione straniera, ebbe sempre, unico in Europa, capacita singolare di porre in perfetta armonia due cose quasi sempre disgiunte, la sintesi e l’analisi, la teorica e la pratica, il pensiero e l’azione. La civiltà dei padri nostri, gli Etruschi, faceva tutta la legislazione interprete d’un concetto religioso, e architettava la terra, la città sull’ideale che si formava del cielo. Pitagora, italiano, se non per nascita, per adozione, e gl’Italiani di lui seguaci, non soddisfatti d’essere depositari del più alto e profetico sapere che allora fosse, sentivano il bisogno di tradurlo in atti e ordinavano associazioni segrete e città repubblicane nel mezzogiorno della Penisola. Dante era poeta, guerriero, pensatore politico e profugo cospiratore ad un tempo. Machiavelli affrontava tortura e persecuzioni. Michelangiolo fortificava i bastioni di Firenze. Tommaso Campanella scendeva dalla sfera delle utopie filosofiche per proporre ordinamenti di Stati e congiurava audacemente contro la dominazione straniera. I nostri più potenti intelletti furono apostoli e martiri. L’unita delle umane facoltà non s’è mai rivelata tanto quaggiù quanto nella nostra Italia. Voi siete degni, giovani, d’altri destini che non quelli ai quali oggi ancor soggiacete.
Ed io vi chiamo a compirli. Vi chiamo a compirli, perch’è dovere: vi chiamo a compirli, perché so che ne siete capaci; stanno mallevadori per voi i tanti che segnarono col sangue nel 1848 e nel 1849 il Patto fra le Università e la Nazione.
Voi siete, Giovani delle Scuole, sacerdoti del Pensiero tra noi; in voi, consacrati agli studi, vivono le speranze dell’intelletto italiano: consacratevi a un tempo sacerdoti dell’Azione, e vivano in voi le speranze dell’onore e dell’avvenire d’Italia. Sia ogni vostra Università come un santuario della Nazione; l’altare su cui arda perenne, alimentata da mani giovani e pure, la fiamma delle grandi idee e dei grandi fatti; il simbolo e la promessa della Patria futura: voi chiamano le vostre tradizioni e la potenza della mente e del core ad essere, nella battaglia che si combatte, primi all’assalto, ultimi nel ritrarsi; esempio e scorta ai migliori nei momenti solenni d’entusiasmo e di santo ardire, freno, difesa e rimprovero nei momenti di subito e vergognoso sconforto che talora assalgono i popoli tentennanti sulle vie della vita. E tutte le vostre Università si colleghino da un punto all’altro d’Italia in una fratellanza nella quale la sacra bandiera della Nazione sia trasmessa come nella Legione Sacra de’ Lacedemoni da chi cade a chi sorge. È questa, o giovani, la vostra missione. Il sangue corre a voi più fervido nelle vene; il pensiero v’è dato più pronto e spontaneo: vostro è il foco delle forti passioni; vostro il coraggio che fa il braccio ministro della mente. E i doveri, non lo dimenticate mai, stanno in ragione delle doti che l’uomo possiede. Voi incontrerete forse, prodotto bastardo delle recenti delusioni e di scuole straniere, uomini vecchi a venticinque anni, incadaveriti anzi tempo nell’egoismo della vanità e della paura, uomini che si dicon filosofi e non hanno se non scetticismo, ch’è la negazione d’ogni filosofia, meschini beffeggiatori che, dopo aver veduto un popolo disarmato scacciare un esercito austriaco, negano la potenza del popolo, dopo aver veduto le difese di Roma e Venezia negano l’attitudine dei giovani volontari alla guerra, dopo aver veduto la fede patria diffondersi, attraverso i martirii e i tentativi falliti e ognor rinascenti, dalla gioventù culta agli operai delle nostre città, negano l’efficacia educatrice del martirio e della lunga incessante protesta. Respingete
Giuseppe Mazzini, 4 luglio 1856
Discorso ottocentesco. Gli attuali giovani italiani che cosa devono fare? Restare qui a lavorare senza prospettive e sottopagati, magari addirittura, in un prossimo futuro, a combattere per liberare l’Italia, invece di andare all’Estero a cercare una carriera e un tenore di vita migliori? Credo che, salvo rare eccezioni, a un giovane italiano, integrato nella societa’ occidentale attuale, non possa neanche venire in mente di scegliere la prima opzione.
Dalle analisi degli economisti sembra che anche andare e lavorare all’estero (s’intende in altri paesi europei) sia una prospettiva di lavoro servile e sottopagato. Con questi chiari di luna è dubbio che ora all’estero si possa far carriera e migliorare il tenore di vita, o che ci si possa integrare in una maldefinita società occidentale attuale. Anche all’estero si vivrebbe da sradicati. Perché dunque non restare in patria e lottare per il proprio e nazionale riscatto?
Sono d’accordo, ma come sono educati ora i giovani (in famiglia e a scuola)? E poi lottare per un riscatto e’ faticoso, e potrebbe anche essere pericoloso.
Di solito sono sempre i giovani che preferiscono lottare per un riscatto. La frase “lottare per un riscatto è faticoso” si attaglia solo ai non-più-giovani.