DOCUMENTO DELL'ARS SULL'IMMIGRAZIONE – Documento per l'Assemblea Nazionale del 7 giugno 2015
Pubblichiamo il documento sull’immigrazione che verrà votato all’assemblea nazionale dell’ARS – Associazione Riconquistare la Sovranità, che si terrà Domenica 7 giugno 2015, a Roma, presso il Centro Convegni “Carte Geografiche” (Via Napoli 36)
ANALISI
Sovranità dello Stato nelle politiche sull’immigrazione
Il potere di disciplinare l’immigrazione è una manifestazione essenziale della sovranità dello Stato, la quale comporta il controllo del territorio (Corte Costituzionale, sent. n. 250/2010): “Lo Stato non può (…) abdicare al compito, ineludibile, di presidiare le proprie frontiere: le regole stabilite in funzione di un adeguato flusso migratorio vanno dunque rispettate, e non eluse (…) essendo poste a difesa della collettività nazionale e, insieme, di tutti coloro che le hanno osservate e che potrebbero ricevere danno dalla tolleranza di situazioni illegali” (sent. n. 353/1997).
La potestà legislativa dello Stato in tema di immigrazione si esprime non soltanto nelle regole d’ingresso e di soggiorno, ma anche nelle sanzioni previste per la violazione di queste regole e nella disciplina dei procedimenti necessari per la loro applicazione.
Il potere di ammettere o di escludere gli stranieri dal territorio nazionale è inoltre conforme al diritto internazionale consuetudinario, al quale l’articolo 10 comma 2 della Costituzione rinvia, poiché in questa materia opera il pieno principio della sovranità territoriale. Nel principio di sovranità è implicita la piena libertà dello Stato di stabilire la propria politica nel campo dell’immigrazione, permanente o temporanea che sia: alla luce di questo, l’Italia può e deve riacquistare il controllo sui flussi migratori, anche attraverso il pattugliamento delle proprie frontiere terrestri e marittime.
I dati sull’immigrazione in Italia
Per cittadini stranieri si intendono persone che non hanno cittadinanza italiana, ma che dimorano abitualmente sul territorio nazionale in quanto possessori di un regolare titolo a soggiornare. Vi fanno parte anche gli apolidi.
Nel corso dell’ultimo decennio intercensuario 2001/2011 la popolazione straniera residente in Italia è triplicata, passando da poco più di 1 milione e 300 mila persone nel 2001 a oltre 4 milioni nel 2011 (dati Istat). Due stranieri su tre risiedono nel Nord; in particolare, il 35% vive nell’Italia Nord-Occidentale, il 27% nel Nord-Est, il 24% nel Centro e il 13% risiede nel Mezzogiorno. A fine 2013 si è registrato un incremento del 12,2%, rispetto ai dati del 2011, che ha portato i cittadini stranieri residenti nel nostro Paese a 4.922.085 unità, pari all’8,1% della popolazione residente totale. Un numero crescente di stranieri residenti è inoltre cittadino di stati aderenti agli Accordi di Schengen: 1.108.000 unità, secondo il “Dossier immigrazione ISTAT” del 2013.
Bisogna distinguere tra immigrati economici, ovvero tutte quelle comunità straniere attratte dalle opportunità economiche offerte dal nostro Paese, e immigrati che fuggono da situazioni di conflitto e violazione di diritti fondamentali. Del primo gruppo fanno parte, ad esempio, i cinesi, comunità in continuo aumento anche grazie alla presenza dell’euro. La moneta unica europea offre, infatti, attraverso la possibilità di rimesse nel paese d’origine dei lavoratori stranieri, indubitabili vantaggi derivanti dal cambio con valute più deboli.
Per quanto riguarda l’immigrazione illegale, i dati raccolti dall’agenzia europea Frontex mostrano come la costa greca e quella italiana rimangano i territori d’ingresso più importanti. Recentemente si è aggiunta una nuova rotta che passa per i Balcani, sfruttata da cittadini siriani che oltrepassano la Turchia e la Bulgaria.
Secondo i dati del Ministero dell’Interno, nel 2014 sono sbarcati 170.100 immigrati, con un incremento del 296% rispetto all’anno precedente (nel 2013 furono 42.925). Si tratta del 77% sul totale degli sbarchi nei paesi dell’Unione Europea. L’83% proviene dalle coste libiche, la restante parte dalle coste egiziane e turche. I paesi di origine di questi immigrati sono Siria (42.323), Eritrea (34.329) e, a seguire, Mali, Nigeria, Gambia, ecc.. L’improvviso afflusso di siriani è dovuto al perdurare della guerra civile.
La Libia resta lo snodo principale – specie dopo l’anarchia generata dall’abbattimento del regime di Gheddafi -, ma il traffico di esseri umani nasce nell’Africa sub-sahariana.
La “rete” dei trafficanti muove un fiume di denaro, spesso drenato da economie in miseria. I trafficanti non pianificano in una continua situazione emergenziale, come accade ai governi europei: studiano le vulnerabilità geografiche, normative e fisiche dei vari paesi da raggiungere, sfruttandole e modificando rapidamente, all’occorrenza, modalità operative e rotte.
Il meccanismo delle accettazioni/espulsioni
Attualmente le espulsioni sono in realtà nemmeno il 50% del totale dei procedimenti avviati, poiché risultano, da un lato, molto costose in termini di personale e mezzi di trasporto (situazione ancor più esasperata dai vincoli di bilancio europei), dall’altro, difficoltose per la mancata stipula di accordi con i paesi di provenienza degli immigrati clandestini.
Per quanto riguarda le persone provenienti da paesi in guerra, come nel caso somalo o eritreo, i tassi di accettazione sono molto elevati per via degli obblighi umanitari: l’obbligo di accoglienza umanitaria, a volte temporanea, altre volte ipso iure, non è aggirabile (Convenzione di Ginevra del 1951).
Diverso e più complesso è il caso dei migranti economici. Si pensi che nel 2005 il 60% degli stranieri dotati di autorizzazioni temporanee al soggiorno, i cosiddetti overstayers (dati del Ministero dell’Interno), alla scadenza del visto ha fatto perdere le proprie tracce rimanendo illegalmente nel territorio nazionale e finendo per alimentare l’economia sommersa.
Gli attuali indirizzi neo-liberisti delle politiche sull’immigrazione
I vari governi che si sono succeduti nel nostro Paese hanno emanato sette leggi di sanatoria negli ultimi venticinque anni (si ricordi, ad esempio, il “Decreto Flussi” del 2006), oltre ad altri provvedimenti minori. L’Istat ha calcolato che nel corso degli anni ’90 più del 60% dell’incremento della presenza straniera regolare in Italia è da riferirsi all’esito di provvedimenti di sanatoria: non si è trattato, dunque, di nuovi arrivi ma della emersione di persone che già vivevano e lavoravano nel Paese da irregolari. Pertanto la bassa percentuale di immigrati irregolari nel nostro Paese (6%, dato Ismu del 2013) non è da ricondurre a un nostro efficiente controllo delle frontiere o da un ridimensionamento dei flussi migratori.
Le procedure di sanatoria, ricordiamo, sono una costante delle politiche europee sull’immigrazione.
Dal confronto sui flussi degli ultimi anni emerge che i nuovi permessi rilasciati per lavoro sono il 43,1% in meno rispetto al precedente periodo di riferimento (dato tendenziale in perfetta opposizione alle sanatorie che i governi hanno giustificato sulla base di un insussistente bisogno di manodopera aggiuntiva in piena fase di recessione economica), così come si sono ridotti, anche se in misura inferiore (del 17%), i permessi per i ricongiungimenti familiari.
L’assenza di controllo dei flussi migratori degli ultimi anni è stata una precisa volontà politica, di indirizzo neoliberista, per esercitare pressioni al ribasso sui diritti sociali dei cittadini italiani.
Un processo accelerato di insediamento di popolazione non nativa così articolato non è un progetto umanistico, ma un’arma al servizio del grande capitale: servirsi di forza lavoro straniera in condizioni disumane ha infatti l’unica finalità di proseguire agevolmente nell’indirizzo economico prioritario della deflazione salariale, attraverso l’incremento artificiale dell’offerta di lavoro a bassissimo costo.
Tra gli argomenti utilizzati dalla pubblicistica italiana a sostegno della necessità di avere ampi flussi migratori di manodopera non qualificata, c’è anche quello per cui gli immigrati andrebbero a svolgere mansioni che i nativi rifiutano. In realtà, se i salari fossero più elevati, i nativi sarebbero del tutto disposti a lavorare in ambiti di scarsa qualificazione professionale, ma l’eccesso di offerta di lavoro causato dall’immigrazione incontrollata tende, appunto, a deprimere oltre ogni limite i salari orari in tali ambiti.
Inoltre, i lavoratori immigrati tendono ad inviare in patria la quasi totalità dei propri guadagni, anziché spenderli sul mercato domestico.
Esternalità negative elevate in termini di spesa pubblica, inoltre, sono connesse al fenomeno immigratorio, e l’illusione di prospettiva del presunto sostegno dei contributi degli immigrati al sistema previdenziale è data dal fatto che siamo nei primi anni di anzianità contributiva dei medesimi. Quando otterranno il diritto alle prestazioni graveranno pesantemente sul sistema.
Popolazione carceraria straniera
Una società neoliberista, organizzata sui processi di atomizzazione, di separazione e di diseguaglianza, finisce per etnicizzare le contraddizioni sociali al punto che, per un immigrato irregolare, l’unica rete di riferimento è spesso quella della microcriminalità.
Esaminando la situazione italiana emerge che la popolazione carceraria straniera è passata dal 29,3% del 2000 al 34,9% del 2013 (dato Istat in diminuzione dal 2007), valore nettamente superiore al tasso medio europeo e di gran lunga superiore alla percentuale di stranieri presenti nella società italiana in generale.
La diminuzione della popolazione carceraria tra il 2011 ed il 2013 è dovuta all’ampio ricorso alle misure alternative al carcere, come l’affidamento in prova ai servizi sociali (50,2%), la detenzione domiciliare (il 46%) o la semilibertà (3,8%).
Il profilo di cittadinanza
L’acquisto della cittadinanza italiana deve tornare ad essere non un semplice processo burocratico, ma la certificazione di una radicale volontà di aderire ad una nuova comunità nazionale.
Il cittadino italiano è tale in quanto appartenente allo Stato costituzionale, ne condivide gli ideali democratici con impegno, riflessione, consapevolezza e unità in vista di un obiettivo ed un progetto comune al popolo al quale appartiene. Viceversa, la rottura del collegamento nazionalità-cittadinanza-diritto di voto (introdotto dall’art. 8, comma 1, del Trattato di Maastricht riguardante la cosiddetta “cittadinanza dell’Unione”) altera l’esercizio dei diritti politici del cittadino italiano. Si torni, dunque, ad una configurazione tradizionale della cittadinanza superando la dimensione ambigua e problematica rappresentata dalla cosiddetta “cittadinanza duale” dell’Unione Europea.
PROPOSTE
1. Agli immigrati regolari va riconosciuto lo stesso livello di prestazioni destinato ai cittadini. Tuttavia l’impegno solidaristico non include il diritto al lavoro del quale, per l’articolo 4 della Costituzione, sono titolari i soli cittadini, in quanto destinatari delle sovrane politiche di piena occupazione.
2. La portata dei flussi migratori deve essere determinata annualmente tenendo conto del fine di perseguire la piena occupazione dei cittadini (articolo 4, primo comma Cost.), della necessità di garantire forza lavoro in tutti i settori strategici (l’ingresso di nuova manodopera specializzata e selezionata servirebbe essenzialmente laddove vi siano capacità produttive inespresse a causa dell’assenza di personale), dei problemi connessi all’adeguamento del livello dei servizi (tecnici, sociali, infrastrutturali), dei tempi necessari a una reale integrazione.
3. Nelle attuali fasi di crisi, al fine di promuovere e difendere i diritti dei lavoratori italiani sarà necessario limitare fortemente il fenomeno immigratorio. Saranno agevolati i ricongiungimenti familiari con esclusione degli ascendenti, qualora il richiedente dimostri di avere uno stabile reddito minimo e di poter accogliere adeguatamente la famiglia.
4. Immigrazione regolare: con l’uscita dall’area Schengen lo Stato italiano recupererà il potere di disciplinare sovranamente l’ingresso di tutte le persone straniere. Dovrà necessariamente essere rivalutata la posizione dei cittadini dell’ex area Schengen che non abbiano dimostrato in un congruo periodo di tempo di poter provvedere al proprio sostentamento.
5. Immigrazione irregolare: l’ospitalità deve avere carattere essenziale ma di eccellenza. I non aventi diritto a protezione devono essere identificati ed espulsi. I centri di accoglienza e di identificazione necessitano di una ridenominazione, riconversione e di una modifica delle funzioni ad essi destinata. Dopo il secondo mese di soggiorno, il vitto e l’alloggio saranno pagati dagli immigrati mediante lo svolgimento di 4 ore giornaliere di lavori in favore della collettività (ad esempio pulizia degli argini di fiumi e canali, di spiagge pubbliche, eliminazione di discariche abusive, ecc.), con espulsione in caso di rifiuto o di danneggiamento delle strutture.
Sarà prevista l’introduzione di sanzioni molto onerose (decine di migliaia di euro) a carico di chiunque conceda in locazione immobili ad immigrati irregolari o commissioni lavoro a questi ultimi. Lo straniero regolare che violi i suddetti divieti verrà anche espulso.
6. Si dovrà valorizzare e potenziare la Guardia Costiera affidandole il monopolio delle funzioni di intelligence e pattugliamento in mare. Si dovrà altresì rafforzare il controllo delle frontiere terrestri a mezzo della Polizia di Stato. Possibilmente con il consenso delle autorità locali, o subordinatamente dietro mandato ONU, dovranno essere demoliti i barconi utilizzati dai trafficanti e che non sia possibile requisire.
Di vitale importanza sarà l’istituzione di accordi con stati quali Turchia ed Egitto, che rappresentano snodi importanti per il traffico di esseri umani, allo scopo di colpire trafficanti e intermediari.
7. L’Italia dovrà impegnarsi a non interferire negli affari interni di altri Paesi, né direttamente, né indirettamente, con azioni e provvedimenti che possano limitarne la sovranità economica e politica: la maggioranza degli immigrati che attraversano attualmente il Mediterraneo, infatti, proviene dalla Siria, dalla Somalia e dall’Eritrea, paesi che stanno vivendo delle gravi crisi interne che sono state esacerbate dall’interferenza occidentale.
Eventuali accordi internazionali finalizzati alla gestione comune delle emergenze umanitarie dovranno assicurare condizioni di parità tra gli stati contraenti.
8. Affinché i detenuti stranieri espiino la pena carceraria nel proprio paese di origine, saranno promossi accordi internazionali e rinnovate convenzioni già esistenti con paesi come il Marocco, la Romania, la Tunisia (tra i principali paesi interessati).
9. Lo straniero regolare può diventare cittadino, per residenza, in presenza dei seguenti requisiti:
– che abbia proposto domanda dopo che siano trascorsi 10 anni di regolare soggiorno;
– che abbia superato un serio esame di lingua italiana;
– che abbia superato un serio esame di diritto costituzionale;
– che non abbia riportato sentenze penali di condanna. In caso contrario, la concessione della cittadinanza sarà sospesa fino all’eventuale annullamento della sentenza.
Martina Carletti per “Associazione Riconquistare la Sovranità” (documento approvato dal Comitato Direttivo all’unanimità con modifiche e integrazioni)
1- Il principale snodo di traffico degli esseri umani non e’ l’Egitto, ma la Libia.
2- Non si dice come dovranno essere effettuate le espulsioni di chi non abbia diritto all’asilo.
Eccomi finalmente al pc fuori tempo massimo per proporre qualunque emendamento ma almeno provo a fare un ragionamento che lo spirito del documento assolutamente non coglie.
Se io penso al concetto di “immigrazione”, penso prima di tutto a persone che incontro tutti i giorni sul luogo di lavoro come colleghi; non alla microcriminalità o al terrorismo. Poi che all’interno della gestione di questo fenomeno ci siano anche da tenere in conto le situazioni di irregolarità o di micro e macrocriminalità è innegabile, ma secondo me un serio “documento sull’immigrazione” dovrebbe preoccuparsi anche e soprattutto di molte altre cose. Invece il documento in questione è quasi completamente focalizzato sulle problematiche sicuritarie e perde quasi completamente di vista il fenomeno nel suo complesso.
Tengo a precisare che di immigrazione so poco e niente, per cui quelle che pongo sono semplici domande che partono solo dal buon senso e alle quali provo a dare risposte che forse non sono le migliori; ma sono domande che chi ha stilato quel documento non si è preoccupato di porsi.
Partendo da un’analisi dettata dal buon senso mi viene da pensare che i fenomeni migratori sono qualcosa che in una certa misura “conviene” sia a chi li produce (per i benefici economici che portano le rimesse degli emigrati oltre che per motivi politici perchè consentono di abbassare le tensioni sociali incanalando forze spesso giovani e insoddisfatte verso obiettivi “neutri” rispetto ai conflitti che attraversano la collettività) sia a chi li riceve (per il fatto che si trova della manodopera qualificata senza aver dovuto sborsare un quattrino in formazione).
Chiaramente, come in tutte le cose, oltre ai vantaggi ci sono anche dei costi per entrambi: per i paesi originari dei flussi sono rappresentati dalla perdita di opportunità di sviluppo conseguenti alla fuga all’estero di quelle stesse forze che potrebbero essere molto più proficuamente utilizzate all’interno qualora venissero perseguite politiche di piena occupazione; per i paesi destinatari il rischio che i migranti vengano utilizzati come esercito industriale di riserva per spingere al ribasso la quota salari.
Secondo me allora un documento politico sull’immigrazione dovrebbe contenere delle indicazioni sulle metodologie da seguire per regolare i flussi migratori che favoriscano a) l’immigrazione di manodopera qualificata nei settori dove questa manca (per evitare pressioni al ribasso sulle retribuzioni) e b)l’emigrazione da paesi che promuovano al loro interno politiche volte al raggiungimento di un regime di piena occupazione (per favorire nel tempo un processo di “esaurimento” dei flussi). In questo campo un po’ di esterofilia non guasterebbe: bisognerebbe capire come hanno fatto tanti paesi storicamente mete di emigrazione (es. Svizzera, Germania) a mantenere alti i livelli delle retribuzioni, almeno fino a che non hanno aderito alla moneta unica; potrebbero emergere indicazioni interessanti.
La necessità di evitare pressioni al ribasso sulle retribuzioni fa un po’ a pugni con quanto riportato dal documento dove dice che “l’impegno solidaristico non include il diritto al lavoro del quale, per l’articolo 4 della Costituzione, sono titolari i soli cittadini, in quanto destinatari delle sovrane politiche di piena occupazione”, o pensiamo che se sul territorio italiano ci siano delle persone che non hanno lo stesso diritto al lavoro dei cittadini italiani, la cosa possa non avere delle ricadute negative anche su questi ultimi? Lo stesso diritto al lavoro dell’immigrato è di fatto completamente annullato dalla necessità di rinnovare il permesso di soggiorno ogni anno, rinnovo che viene concesso solo a condizione che l’interessato abbia un lavoro. Pensiamo che la paura di non vedersi rinnovato il permesso non abbia un ruolo nel creare una massa di lavoratori docili e refrattari a qualsiasi forma di rivendicazione sindacale? Il documento propone un arco di tempo di 10 anni prima di dare all’immigrato la possibilità di chiedere la cittadinanza, ma nulla dice come in questi 10 anni debba venire regolata la sua presenza in Italia. Mantenere l’obbligo di rinnovo annuale del permesso? O concedere all’ingresso un permesso decennale? E come comportarsi con coloro che non desiderano (e sono la maggior parte) diventare cittadini italiani? Li teniamo indefinitamente nella condizione di rischiare ogni anno di diventare irregolari, magari quando ormai hanno famiglia e figli? Non riesco a non pensare che mantenere una situazione del genere possa avere effetti deleteri, oltre che sul sovraffollamento delle carceri, anche sul livello delle retribuzioni.
La necessità di favorire l’emigrazione da paesi che attuino al loro interno precise politiche del lavoro fa un po’ a pugni con il “principio di non interferenza” perseguito dal documento; mi rendo conto che il testo si riferisce all’attuale contesto di interferenze di stampo neocoloniale, ma forse sarebbe meglio fare presente che mantenere buoni rapporti che consentano di indirizzare le politiche di questi paesi verso direzioni che più convengono sia a noi che a loro è sicuramente una buona cosa. In questo senso quindi cercare di intercettare i flussi all’origine disponendo una filiera di gestione dell’immigrazione che parta dalle ambasciate che dovrebbero intercettare “alla fonte” i migranti che hanno intenzione di arrivare in Italia mettendo loro a disposizione viaggio e alloggio (per un anno?) in una struttura ricettiva dietro pagamento – anche anticipato – dei medesimi, secondo me non è assolutamente una brutta idea: quanto sborsano queste persone oggi per un viaggio che mette in pericolo le loro stesse vite è probabilmente una cifra molto più alta. Le stesse ambasciate potrebbero poi farsi carico di corsi di lingua, conoscenza della costituzione etc per i candidati che abbiano i requisiti per poter arrivare nel ns paese la cui identità, provenienza e buona condotta in patria sarebbe a questo punto più che comprovata.
Di tutte queste considerazioni che riguardano la realtà dell’immigrato o aspirante tale nel documento non c’è molta traccia; in altre parole, sarà anche costituzionale, ma manca di quella cosa che spinge molti anche a interessarsi di politica e che è l’empatia: non commiserazione e nemmeno “solidarietà” ma riconoscimento di sè nell’altro.
Tra l’altro nel contesto attuale una diversa gestione dell’immigrazione potrebbe essere la chiave per cominciare a scardinare gli accordi UE. La stragrande maggioranza degli sbarchi di lampedusa e dintorni ha per meta l’europa, non l’italia. Credo che se a queste persone si concedesse il permesso di soggiorno dietro presentazione di documentazione che attesti la presenza di famigliari o amici disposti ad accoglierli sul suolo EUROPEO, ci troveremmo a ridurre di molto la presenza di questi irregolari in Italia (con il permesso di soggiorno puoi girare in tutta l’area Schengen); e a quel punto si vede come reagiscono i “fratelli” europei: http://www.stranieriinitalia.it/normativa-permessi_di_soggiorno._ecco_con_quali_si_circola_in_schengen_13244.html
Quindi immigrati irregolari e cittadini italiani hanno GROSSI interesse in comune, non vedo perchè non sfruttare questo terreno. Anche in nome del ruolo di cerniera che dovrebbero avere i paesi dell’Europa mediterranea tra il sud e il nord del mare nostrum.
Enrico Bonfatti
Egregio Bonfatti, i nostri “fratelli” europei hanno gia’ prontamente reagito, dichiarando che non accetteranno nessun migrante proveniente dall’Italia, eccetto una piccola quota di rifugiati siriani. Punto. Vorrebbe poi gentilmente dirmi di quante migliaia di lavoratori “qualificati” avrebbe bisogno l’Italia? E se gli immigrati diventano milioni?
Infatti. Ma se volessero respingere alle loro frontiere delle persone munite di passaporto e regolare permesso di soggiorno rilasciato da un paese di Schengen non avrebbero altra scelta che ripudiare gli accordi o denunciare l’Italia per non averli rispettati, ma il significato politico della cosa sarebbe comunque enorme.
Per quanto riguarda il bisogno di lavoratori qualificati ricordo che esistono campi lavorativi, come la sanità, l’assistenza agli anziani e disabili e i servizi alla persona in genere, dove oggi, grazie al susseguirsi di tagli alla spesa, gli organici sono ampiamente sottodimensionati rispetto a quelli che molti di noi ritengono essere i minimi per garantire dignità alla persona. E anche oggi, nonostante la crisi, non si trovano infermieri o medici a spasso, tuttalpiù si trovano medici e infermieri sottopagati, ma con un lavoro. Gli immigrati non diventano milioni se si predispongono regole chiare per l’accesso e anche per eventuali rientri in patria (forzati o volontari).
Va bene avere un po’ di immigrati per la sanita’, l’assistenza agli anziani ecc. Io l’ho sempre pensato. Pero’ insisto, spero che gli altri aderenti all’ARS abbiano idee meno confuse di Lei sul fenomeno dell’immigrazione. Attualmente non c’e’ NESSUNA REGOLA PER L’ACCESSO. Puo’ arrivare chiunque e diventeranno quasi sicuramente milioni.
Non ho mai detto di avere le idee chiare. Ma lei non legge quello che scrivo. Mi sembra di avere posto proprio la questione delle regole per l’accesso che secondo me il documento affronta in modo molto superficiale dando invece un risalto secondo me eccessivo alle regole per l’espulsione che, per forza di cose, si rende necessaria solo per una minoranza degli immigrati – quelli che in qualche modo infrangono leggi e regole vigenti nel ns paese.
Detto questo la ringrazio di avermi chiarito le idee sul fatto che senza nessuna regola per l’accesso gli immigrati diventeranno quasi sicuramente milioni (ma lo sono già). Ho sempre pensato che una volta riacquistata la sovranità monetaria i flussi migratori fossero destinati a calare di colpo, vista la conseguente consistente svalutazione delle rimesse, a prescindere dalla chiara definizione di regole per l’accesso. Tra l’altro – ricordo ancora – in questo campo un po’ di esterofilia non ci guasterebbe: la Germania Ovest ha accolto per decenni milioni di immigrati italiani e turchi, ma questo non le ha impedito di diventare quello che è diventata, segno che forse qualche convenienza a “importare forza lavoro” (termine osceno) c’è; sarebbe bello riuscire a capire come i biondi ariani hanno gestito questa cosa, visto che anche da noi si rischia che diventino milioni.