Buona Scuola: l'incredibile panzana della valorizzazione del merito
Un articolo di Anna Maria Bellesia pubblicato sul sito “La Tecnica della Scuola” il 14 luglio scorso.
È passata l’idea che la riforma di Renzi abbia “finalmente” introdotto il merito e la valutazione dei docenti. Il messaggio che sia iniziata una “svolta epocale” è stato recepito dall’opinione pubblica, grazie al fatto che giornali e telegiornali fanno informazione riprendendo i comunicati stampa di fonte governativa confezionati ad arte. Così si crede che i docenti saranno distinti in “meritevoli”, da premiare, e “non meritevoli”, da castigare, con meno soldi e magari col licenziamento, e che nel Comitato di valutazione genitori e studenti avranno voce in capitolo.
Invece quella del merito è l’ennesima incredibile panzana. Vediamo di chiarire i vari aspetti.
Intanto le risorse stanziate sono da presa in giro. I 200 milioni di euro annui, pomposamente destinati “alla valorizzazione dell’impegno degli insegnanti”, altro non sono che 20mila euro massimi per istituto, come ci dice l’infervorato sottosegretario Faraone. Vale a dire mille euro all’anno per una ventina di insegnanti, che corrispondono all’incirca a un 10-20% del corpo docente di un istituto.
Consideriamo poi che il nuovo super-preside, uscito dal cilindro di questa riforma, avrà la facoltà di nominare i propri collaboratori fiduciari fino al 10% dell’organico e il potere di attribuire il bonus premiale. Le figure di sistema, che coadiuvano il dirigente nel dare impulso alla qualità della scuola, saranno ricompensate dallo stesso dirigente. Nel vecchio Contratto, quello “illegittimamente” bloccato dal 2010 come sentenziato dalla Consulta, le risorse destinate a compensare il maggiore impegno del personale erano invece oggetto di contrattazione con la Rsu.
A cosa serve allora il Comitato per la valutazione dei docenti, nel quale entrano due genitori, o un genitore e uno studente nella secondaria superiore, giusto per dare una parvenza di partecipazione democratica? Il Comitato si limita ad individuare i criteri. La legge appena approvata delinea tre ambiti di riferimento: a) la qualità dell’insegnamento e del contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica, e il successo formativo e scolastico degli studenti; b) i risultati ottenuti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni, all’innovazione didattica e metodologica, alla diffusione di buone pratiche; c) le responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale.
Definire cosa si intende per qualità dell’insegnamento e come misurare il successo formativo degli alunni è la patata bollente scaricata sulle scuole dell’autonomia “potenziata”. Il Ministero, che nel suo ruolo di indirizzo dovrebbe dare le dritte, se ne lava pilatescamente le mani, aspetta di vedere cosa combinano le singole scuole, e solo dopo un triennio farà un esame della situazione per predisporre le linee guida nazionali.
Ma intanto chi sarà premiato? Nella migliore delle ipotesi, e nella misura e nel modo di cui sopra, sarà ricompensato chi ricopre qualche ruolo di coordinamento.
Col senno di poi, bisogna riconoscere che era meglio la proposta messa in campo dalla Aprea nel 2008, allora combattuta da tutta la sinistra e poi sbollita nel nulla. Ricordiamo che la proposta Aprea prevedeva uno stabile sviluppo di carriera e retributivo, con una professione docente articolata in tre livelli e corrispondente riconoscimento giuridico ed economico della professionalità maturata. Quanto al reclutamento dei docenti, per gli abilitati iscritti all’albo regionale erano previsti concorsi per titoli banditi dalle reti di scuole (sempre meglio dell’attuale solipsimo dirigenziale). L’associazionismo professionale veniva riconosciuto e valorizzato.
Con la sua riforma, Renzi è riuscito a fare molto, molto peggio. Il docente avrà il ruolo della formica operaia o dell’ape operaia, lavorando freneticamente in uno spersonalizzato ingranaggio gerarchico. Dovrà darsi da fare per garantire nell’apparenza dei numeri il successo formativo e scolastico degli studenti (per esempio, tutti promossi), e uniformarsi alla linea voluta dal “leader educativo” che sta a capo dell’istituto (per esempio, con l’addestramento finalizzato al miglior risultato Invalsi). Vivrà così felice, contento e valorizzato per 42 anni di vita professionale, con lo stesso stipendio fra i più bassi d’Europa, e qualche contentino extra se rientra nel cerchio magico.
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