Garibaldi, l'eroe amato dagli Italiani seri
“L’Italia era così bella, ricca di storia, umanità e cultura ma così divisa politicamente, così separata in tante parti, così occupata dallo straniero, che praticamente quei versi del Nabucco sono diventati un simbolo della lotta per l’unità e la libertà per le quali in tanti hanno dato la vita. Quindi ‘bella e perduta’ è un verso politico”, anzi direi ultra politico. Il Risorgimento è stato animato da un sentimento comune, diffuso, che ha accomunato allora il paese. In quel periodo storico gli italiani non hanno avuto paura della libertà, l’hanno cercata e hanno dato la vita per realizzare un sogno”.
“Penso che è una grossa bugia storica perché il Sud non è stato conquistato dai sardo-piemontesi, casomai dai volontari di Garibaldi e dalle stesse popolazioni meridionali che non sopportavano più il regime borbonico. Questo giudizio, che si trascina da 150 anni, è un giudizio sbagliato e scorretto, anche disonesto sul piano storico, perché senza la spedizione di Garibaldi lo stesso Piemonte non avrebbe potuto mai dichiarare guerra al regno delle Due Sicilie e conquistare qualcosa”.
“Di Fiore chi? Non lo conosco… e non rispondo agli studiosi che non conosco”.
“Guardi, queste sono le tesi borboniche su cui io non voglio rispondere perché le considero sciocchezze”.
“Penso quello che pensano tutti gli italiani seri: che è stato una cosa molto importante e lo è anche per l’Italia di oggi. Stiamo parlando della rivendicazione dell’unità culturale, storica, ideale di un popolo rimasto diviso per secoli, della realizzazione della sua indipendenza politica, della possibilità di darsi una costituzione e parlare di diritti dell’uomo e del cittadino, sulla scia del senso di giustizia e valore dell’eguaglianza ereditati dalla rivoluzione francese. Stiamo parlando di tanti giovani che hanno combattuto e sono morti per l’unità e l’indipendenza della nazione”.
“Assolutamente no, almeno secondo la mia opinione”.
“Se non l’avesse voluta non avrebbe accettato Garibaldi e i Millle”.
“Non so cos’è il federalismo dell’Italia, per me è una parola che usano i leghisti ma non saprei a cosa corrisponde storicamente”.
“Non rispondo a quanti parlano così. Ripeto, certi giudizi non mi interessano nemmeno”.
“L’eroe amato dagli italiani seri, quello è Garibaldi per me”.
“Due grandi che, come Garibaldi, hanno fatto l’Unità d’Italia e le hanno donato la libertà”.
Uno era repubblicano e due erano monarchici, ma questo ai fini di quanto hanno fatto non ha molta importanza.
“C’entra tutta l’Europa liberale, e questo è un fatto positivo”.
D’altronde, parliamo dell’Eroe dei due mondi!
Se lo ricordano anche in Sud America e se a Nizza gli hanno dedicato una delle piazze più importanti della città, ci sarà una ragione…
Esiste un insieme non piccolo di intellettuali, storici, filosofi, economisti, giuristi, giornalisti (non solo legisti) che sostengono, da parecchio tempo, la tesi secondo la quale gli italiani avrebbero prodotto le cose migliori della loro storia, in epoche durante le quali essi erano politicamente divisi.
Sebbene tenda a non concordare con questa tesi (La Costituzione Italiana del ’48 è sicuramente una delle più alte vette culturali e politiche prodotte da questa nazione e l’abbiamo fatta da uniti) trovo che questa tesi abbia comunque buone possibilità di essere sostenuta e argomentata in un serio dibattito scientifico.
Uno dei corollari di questa tesi è che l’ultima fase del processo di unificazione del nostro Paese si sia configurata assai più come una brutale e sleale guerra di annessione da parte dello Stato sabaudo che non come un’epopea trionfale di sogni e ideali finalmente concretizzatisi.
Ho studiato la Storia sui manuali del Villari (come molti della mia età, credo) e letto con grande interesse vari libri di Gigi Di Fiore (peraltro assai documentati oltre ché pregevoli da un punto di vista narrativo) e trovo assai irritante il tono di arroganza intellettuale del primo.
Non lo avevo mai inquadrato sotto questa luce, ma mi pare abbia le fattezze di un “Intellettuale organico”.
Qualcosa di molto distante dall’apertura mentale necessaria per inquadrare le luci e le moltissime ombre che caratterizzarono quegli anni di inizio del nostro Paese.
Nizza era la sua città natale all’epoca parte, con la Liguria, del Regno di Sardegna.
I vari stati e staterelli preunitari vanno considerati storicamente e culturalmente illegittimi, perché tenevano separato e frantumato un unico popolo che ha origini molto antiche. Gli attuali confini dell’Italia sono gli stessi già disegnati da Augusto duemila anni fa, e questo, mi pare, dice tutto.
Di fatto, duecento anni fa, doveva essere molto, ma molto difficile per un bottegaio siciliano scambiare pensieri di qualche tipo con un fabbro bresciano in una qualche lingua comprensibile ad entrambi.
I miei stessi nonni, ad Italia già abbondantemente fatta, uno siciliano e l’altro genovese ricordo che avevano qualche difficoltà.
Che le elite di questo Paese avessero un retroterra culturale comune è assodato dall’esistenza di una letteratura italiana, da un’arte italiana, e soprattutto dal fatto che questa elite si spostava di continuo e, ai suoi livelli più alti, era imparentata.
Se tutto quello che qui sopra viene scritto e sostenuto circa la nozione di “cosa è un popolo” ha un senso, a me pare che l’imposizione da parte di questa elite (e peraltro neppure da tutta) nei confronti di genti sostanzialmente disinteressate, del processo di unificazione del Paese, contenga molti tratti comuni a ciò che stiamo osservando circa il tentativo di imporre processi di unificazione dall’alto sul continente europeo.
Del resto anche il continente europeo “aveva dei confini disegnati da Augusto”, ma questo, a me pare, non dimostra molto, tanto a livello italiano quanto a livello europeo.
Io sono per mantenere l’unità politica del nostro Paese perché, nel bene e nel male, dopo inenarrabili sofferenze dovute a quel processo di unificazione, pur se in modo rabberciato e profondamente diseguale, dopo 150 anni, un unico popolo lo siamo più o meno (e sottolineo “Più o meno”) diventati.
Questo, a mio avviso, rappresenta un valore aggiunto più di tipo utilitaristico-economico che non altro.
A differenza di duecento anni fa, siamo un popolo più grande di quanto lo fossero separatamente i veneti, i siciliani e i toscani.
Sull’idea che gli Staterelli preunitari fossero illegittimi perché “tenevano separato un unico popolo”, ci sarebbe molto da dire.
Il popolo italiano era Realmente e culturalmente molto diviso.
Assai più separato al suo interno di quanto non lo siano attualmente i cittadini austriaci e quelli bavaresi che, visti da fuori, sembrerebbero, essi si, un unico popolo.
Ma sarebbe difficile sostenere che L’Austria sia uno stato illegittimo.
Comunque è una materia difficile e controversa per poter affermare che qualcosa “dica tutto”.
Che l’Italia sia stata fatta senza che esistessero gli italiani, per quanto potesse essere una battuta, è un concetto che è riaffiorato puntualmente nella Storia, prima durante e dopo la nostra unificazione.
Io credo che se vogliamo davvero impostare un neo-risorgimento di questo Paese, tutto, dobbiamo anche cominciare ad osservare il processo risorgimentale di 150 anni fa in modo più aperto e distaccato di come Lucio Villari sembra fare nella sua perentoria intervista.
I dati economici dicono che le Due Sicilie erano un regno ricco, sotto i Borbone.
Ricco e all’avanguardia in Europa sotto molteplici aspetti.
Sicuramente con conti in ordine e capace di badare a se stesso senza sussidi e senza colonie da sfruttare.
Dopo l’unificazione c’è stato un tracollo dal quale il meridione d’Italia non si è mai più ripreso.
Questi, credo, sono fatti.
Deve quindi essere successo qualcosa, durante e dopo il processo di unificazione, di profondamente e persistentemente squilibrato per generare un dualismo che, dalla caduta dell’impero, non era mai stato tanto marcato.
Nessuno Stato degno di questo nome, se vuole, non è in grado in 150 anni di sanare una tale differenza.
Di cosa non ha funzionato di quel primo risorgimento, persone che si propongono come portatrici di un neo-risorgimento devono poter, a mio avviso, parlare.
E questa intervista va, sempre a mio avviso, nella direzione opposta.
Il dualismo sociale ed economico nord-sud (già, per certi aspetti ed entro certi limiti, esistente al momento dell’unità… si pensi, ad esempio, al notevolissimo tasso di analfabetismo dei meridionali) può essere attribuito a tanti fattori, certamente non al risorgimento.
Ci sono stati più di 150 anni di storia unitaria: guardiamo a quelli.
MI pare ridicolo voler attribuire, anche solo in parte, a Garibaldi e agli altri protagonisti del processo di unificazione le responsabilità di quanti hanno governato nel secolo e mezzo successivo.
In un libro prezioso uscito lo scorso anno il filologo Enrico Testa dimostra, in modo a mio parere definitivo, che almeno a partire dal Cinquecento la lingua italiana era parlata e scritta in tutto il paese da un numero di persone di gran lunga superiore a quello dei pochi colti e che la cesura fra Letteratura e cultura popolare ipotizzata da alcuni non corrispondesse alla realtà dei fatti. Il Vocabolario della Crusca fu il secondo dizionario di una lingua europea moderna a essere pubblicato (a Venezia, nel 1612, un anno dopo il Dizonario della lingua spagnola).
http://www.einaudi.it/libri/libro/enrico-testa/l-italiano-nascosto/978880621165
Anche il ritardo (economico e materiale, non certo spirituale: ma su questo aspetto importantissimo, chissà perché, i finti meridionalisti sorvolano bellamente) nei confronti del nord ha origini antiche
https://www.appelloalpopolo.it/?p=13953
La ringrazio per l’indicazione del libro di Enrico Testa, che leggerò senz’altro con piacere.
Circa il ritardo economico del meridione d’Italia credo non si sia colto il punto.
Qualunque fosse, e per qualsivoglia motivo storico, il divario economico tra le due italie al momento dell’unificazione ( e nei dati questo divario è molto più sottile di quanto comunemente si creda) , nei libri del prof. Di Fiore viene descritto e quantificato un vero e proprio tracollo economico e sociale delle regioni appartenenti allo Stato delle Due Sicilie nell’immediato domani dell’annessione.
La quantità di dati riportati sull’ ‘”Immediatamente prima e sull’ Immediatamente dopo” è abbastanza impressionante e si tratta di dati che hanno come fonte, in gran parte, gli archivi dello Stato Italiano (Parlamento, ministero delle finanze, del Tesoro, della Guerra, degli Stati Maggiori, testimonianze di singoli ufficiali, parlamentari e Prefetti del regno sabaudo ora divenuto Italia).
Troppo facile dire: “La colpa del disastro è di chi ha governato dopo, o che il divario c’era anche prima”
Se c’era anche prima ed è persistito, tale e quale, anche dopo , allora non rimane che la spiegazione razzista di questo divario: “I meridionali sono fatti così”.
Chi ha governato dopo è esattamente chi ha guidato il processo di unificazione prima.
Lo scenario bellico descritto da Di Fiore è simile allo scenario “Libico” di riconsegna al medioevo, via guerra di occupazione, di uno Stato altrimenti florido e da Lei così ben descritta nel post di oggi.
L’esercito italiano è stato tenuto in scacco nel meridione per vari anni in una sanguinosissima guerra successiva al “Missione Compiuta”.
Le stragi di civili (incluse donne vecchi e bambini) compiute da reparti di bersaglieri su interi paesi durante gli anni della “Lotta al Brigantaggio” consiglierebbero, a mio parere, un’analisi meno enfatica e più attenta di quel periodo.
X Di Maio -Non c’e’ bisogno di essere razzisti per sostenere che il Regno delle Due Sicilie fosse piu’ arretrato del Nord, economicamente, culturalmente ecc. Era piu’ lontano dalle zone di sviluppo industriale europeo, aveva subito le dominazioni saracena, normanna e spagnola. Non sono una nostalgica dell’impero austriaco, ma anche la Lombardia, passando dalla dominazione spagnola a quella asburgica, ci guadagno’, almeno economicamente e per l’ordine pubblico. Non serve, per difendere i meridionali, sognare un’Eta’ dell’oro probabilmente mai esistita. Chi era ricco nel Regno delle 2 Sicilie? La corte e I Baroni o il popolo? Se poi reparti borbonici sconfitti si unirono ai briganti per un’ultima resistenza li si puo’ capire, ma vuol dire che il brigantaggio esisteva gia’. Ed errori possono essere stati fatti dai Piemontesi nella repressione, ma mi preoccupa di piu’ quel ‘nessuno Stato puo’ rimediare neppure in 150 anni’. Cioe’ tutti i miliardi inviati al Sud dal dopoguerra sono stati inutili, come dicono i leghisti? Vuol dire che la classe dirigente repubblicana italiana (in buona parte di origine meridionale) ha fallito, molto peggio di quella risorgimentale.
Chiarisco il punto essenziale della questione: non esiste nessuna “nazione” meridionale separata da quella italiana. Il resto (comprese le stragi, gli stupri, i saccheggi ecc. – tutte squisitezze riguardo alle quali i briganti non prendevano lezioni da nessuno) è lavoro per storici seri e non per tifosi.
Per Marano:
Un chiarimento mi pare , il suo, un po’ pleonastico.
Nessuno ha mai affermato il contrario e spero non voglia mettermi in bocca parole mai dette.
Lo stesso Di Fiore parla di una “guerra civile tra italiani” a proposito dell’annessione delle Due Sicilie.
Il termine “Mezzogiornificazione” non l’ho certo inventato io.
Lo usa Vladimiro Giacché a proposito di quella che lui chiama “Anschluss” della Germania dell’Est da parte della Germania dell’Ovest (con la collaborazione, è ovvio, di parti delle elites della ex DDR)
Giacché ha forse voluto, usando questo termine, intendere che per lui le Germanie dell’est e dell’ovest fossero due nazioni distinte?
Non credo proprio e sfido chiunque a dimostrarlo.
Bene.
Il termine Mezzogiornificazione (Chissà a quale Mezzogiorno si allude…!? Mah!) descrive il processo di “desertificazione economica” operato da uno Stato relativamente forte su uno Stato relativamente più debole, per le vie più disparate: monetarie, giuridiche, istituzionali, militari, liberoscambiste.
La DDR è stata desertificata (O Mezzogiornificata) per via monetaria, giuridica e liberoscambista dalle elite economiche della RFT.
La Grecia viene mezzogiornificata nello stesso modo (e dallo stesso attore che lo ha fatto con la DDR)
Il Nostro Mezzogiorno, costituendo il paradigma di quel termine, non si è fatto mancare nulla ed è stato desertificato economicamente nella stessa maniera con anche l’aggravante della via “manu militari”.
(ovviamente appoggiandosi, nella fase iniziale e in entrambi i casi, allo scontento di una parte più o meno ampia della popolazione verso le proprie istituzioni, sempre presente in qualsiasi entità statale)
Tutto qua.
Però da quel “tutto qua” inizia un processo di impoverimento che, sostenere “abbia origini antiche” vuol dire buttarla letteralmente in caciara, ipostatizzando un assunto (“Il Meridione è sempre stato povero e arretrato ” perché gli arabi…, perché i normanni… perché i longobardi…, perché gli angioini, perché gli spagnoli…) senza mai analizzare i dati numerici e soprattutto dinamici di questa arretratezza, assunta come fosse una costante gravitazionale, e chiedersi se alla lista, magari, non sia lecito, un volta conosciuti fatti nuovi e prima inediti, aggiungere anche un “perché i Savoia…”
Dati numerici che, 150 anni di storiografia agiografica alla “Libro Cuore” e alla “Villari”, hanno sempre impedito fossero conosciuti in un quadro organico.
Qui non si tratta di tornare agli “staterelli” o di rimettere i Borbone sul trono.
Avrei sperato che il livello, peraltro elevato, di questo blog consentisse di capirlo senza doverlo specificare.
Vedo che non è così.
Si tratta di capire le ragioni del fallimento di una politica economica unitaria che, secondo molti studiosi, ha origine proprio in “quella” invasione e nell’imposizione tal quale di una legislazione, quella piemontese, ad un territorio governato per secoli da leggi e consuetudini differenti sopravvissute, probabilmente, anche per ragioni, per così dire, “evolutive”.
Se siano storici “seri” o “poco seri”, non sta né a me, né a lei, né a Villari giudicarlo in modo tanto tranciante.
Essi hanno portato dei documenti e li hanno esposti in un quadro organico e, almeno apparentemente, coerente.
La loro serietà o non serietà andrebbe confutata in modo, questo sì, serio e argomentato.
La Frase “Non rispondo a studiosi che non conosco” è di una povertà intellettuale della quale mi chiedo se Lei, compiaciuto espositore di questa intervista, si rende conto.
E qui debbo aggiungere, per Durga, che sarebbe bene leggere attentamente prima di commentare.
Forse ho usato una negazione di troppo (ne ho usate due), ma la mia frase, da lei totalmente stravolta, ritengo fosse perfettamente chiara anche con due.
Glie la ritraduco cercando di inserire una sola negazione; anzi, facciamo prima, glie le tolgo del tutto:
“Qualsiasi Stato che realmente lo voglia, avendo 150 anni di tempo, è perfettamente in grado di sanare un dualismo economico e sociale come quello tra Italia del Nord e quella del Sud”.
Corollario, non precedentemente espresso:
“se non lo ha fatto è perché le sue classi dirigenti, del nord come del sud, ma comunque figlie di “quella” annessione, non sono state interessate a farlo”.
Corollario due:
“se in un Paese, chi comanda, sono i ricchi e i potenti, il fatto che la ricchezza per 150 anni si sia concentrata nella parte settentrionale di questo Paese, forse, solo forse, qualcosa in più potrebbe indicarla”.
Ma in ogni caso, credo, porsi come guida intellettuale di un nuovo risorgimento italiano richiede, a mio parere, capire cosa non ha funzionato nel primo evitando di usare le esiziali contrapposizioni tra “Bene” e “Male” che la stucchevole melassa retorica degli “Eroi del Risorgimento” puntualmente ripropone (tanto più che lo stesso Garibaldi, a guerra ancora in corso, parla esplicitamente di “ideali traditi”).
E da questo scambio di battute mi pare proprio che per voi costituisca un tabù il farlo.
Francamente pensavo ad un livello argomentativo più elevato del “Garibaldi eroe dei due Mondi amato dagli italiani seri”.
E mi viene a parlare di tifo?
Cordialmente,
Un Italiano, evidentemente, Poco Serio
Caro Di Maio, al nord come al sud c’è chi pensa che il popolo italiano non esista. Siamo tornati indietro di più di un secolo, alle teorie parascientifiche sulle due razze. Questo non è il suo caso, certo. Ma Garibaldi resta un eroe.
Marano, più che poco serio sei poco sintetico ;-)
Chiedo scusa, con il precedente commento mi volevo riferire non a Marano ma a Di Maio.
X Di Maio -Posso sbagliarmi, ma forse, anche se vuole e anche se ha 150 anni di tempo, per uno Stato puo’ essere molto difficile sanare un tale divario economico e sociale, soprattutto se tra gli ostacoli ci sono la Mafia e simili.
Fino a quando alcuni accademici resteranno chiusi nelle loro aule universitarie, auto referenziali e difensori acritici di tesi che hanno giustificato il loro accesso alle cattedre, non ci sarà futuro per la verità storica. La ricostruzione di qualsiasi evento è accesso a più fonti, confronto con più tesi. Villani, noto solo dagli accademici di settore (e spesso neanche), è chiuso su se stesso. Se non ci fossero state le ricerche e il fondamentale libro di Franco Molfese (uno studioso non accademico, cui sono debitori tutti gli storici di professione) sapremmo ancora poco sul brigantaggio post-unitario. Non è una cattedra a consacrare la bontà di uno studio e di una ricerca ben documentata.
Ma che c’entra il tema di Garibaldi con il brigantaggio post-unitario?
Per affermare che Garibaldi e l’esercito meridionale non erano voluti bisogna dimostrare che l’esercito borbonico non si sfaldò, in Calabria e altrove; che vi furono molti borghesi o persone del popolo che accorsero volonari a dar sostegno ai borboni; che CONTRO Garibaldi in Sicilia vi furono ribellioni; dimostrazione impossibile. Il brigantaggio post-unitario, che fu vasto, come si trova scritto in tutti i libri di storia, ma fu soprattutto sociale e banditesco e in misura minima fu politico, non c’entra assolutamente nulla con Garibaldi.
Uno dei gravi difetti del neomeridionalismo (rispetto al meridionalismo, che fu tutt’altra cosa) è di mescolare tutti i temi risorgimentali suscitando un vomitevole ignorante e infantile ripudio del risorgimento. E’ pieno di idoti che dall’adesione a talune narrazioni del brigantaggio post unitario condannano “il risorgimento” ossia il 21, il 31 il 48 la lotta contro il papato, Mazzini, Garibaldi, la spedizione dei mille, la partecipazione dei siciliani al fianco di garibaldi, i 25 mila volontari del sud che entrarono nell’esercito meridionale, in generale il volontarismo di tanti che morirono e sacrificarono beni per tre generazioni, non avendo alcun problema economico ma soltanto per un ideale. Queste persone lasciamole sole. E dedichiamoci a un tema per volta, come fanno tutte le persone dotate di minima intelligenza.