Documento di analisi e proposte dell'ARS: Riformare le controriforme attuate nell’ultimo ventennio
Accanto alle direttive e ai vincoli giuridici provenienti dall’Unione Europea, altre forze, di natura “culturale”, parallele e in parte coincidenti con quelle provenienti dall’Unione Europea, sovente riconducibili alla colonizzazione dell’immaginario degli italiani operata dagli Stati Uniti d’America, hanno spinto, nell’ultimo ventennio, la classe dirigente italiana a modificare molteplici settori vitali dell’ordinamento giuridico italiano.
Tutto è stato riformato o abrogato: il sistema di distribuzione dei poteri normativi e amministrativi tra Stato ed enti locali; il sistema elettorale; settori dell’amministrazione statale affidati ad autorità indipendenti (da chi?), le quali opererebbero per l’affermazione e la tutela di asserite esigenze tecniche; l’Università; la Scuola; il processo penale; la legge fallimentare; il diritto societario; il diritto bancario; il diritto finanziario; le carriere amministrative; la gestione dei servizi pubblici locali; il diritto del lavoro subordinato; gli ordini professionali e le libere professioni; le autorizzazioni all’esercizio del commercio; il diritto industriale; e così via.
Gran parte della disciplina relativa all’intervento pubblico nell’economia è stata smantellata e con essa gran parte delle imprese pubbliche sono state privatizzate.
Tutte le riforme sono andate nella medesima direzione, suggerita o anticipata dal diritto statunitense o imposta dal diritto dell’Unione europea. A prescindere dal giudizio sulle singole riforme, talvolta astrattamente apportatrici di giusti o accettabili principi (ma calati meccanicamente in una realtà diversa da quella dalla quale sono stati tratti), si è omesso di considerare che un ordinamento giuridico statale è una realtà organica, che vive nella storia, realtà che, nei settori nevralgici, va modificata con grande attenzione e prudenza.
Più riformavamo e più le cose peggioravano. Più riformavamo e più problemi sorgevano. Più riformavamo e più diminuiva la nostra competitività rispetto agli altri stati, non soltanto europei. Il fenomeno non ha eguali negli altri stati europei e costituisce al tempo stesso la ragione dell’indebolimento dell’Italia e la prova che la classe dirigente italiana dell’ultimo ventennio (indifferentemente di centrodestra e di centrosinistra) è stata sciagurata e sarà irrevocabilmente condannata dal tribunale della storia. Non che gravi cedimenti non si fossero verificati anche nel decennio precedente; tuttavia nell’ultimo ventennio le riforme degenerative si sono moltiplicate in misura geometrica.
Non ci ha guidato un principio nuovo ma una depressione. Se una persona in poco tempo cambia nome, moglie, città, lavoro, sport preferito e hobby, possiamo essere certi che essa è stata depressa. Così è avvenuto per l’Italia, che ha “riformato” (e talvolta distrutto) moltissimi settori nevralgici dell’ordinamento giuridico italiano.
Sebbene pseudo intellettuali, che in venti anni non ne hanno azzeccata una, continuino a perorare “le riforme”, nel nome dell’efficienza, della competitività, della concorrenza, dell’apertura ai mercati internazionali e dell’adesione alle richieste dell’Unione Europea, dell’adeguamento a istituti e prassi dei paesi “a capitalismo avanzato”, è ormai palese, a chi non intenda bendarsi gli occhi, che l’Italia è stata colpita al cuore proprio dalle mille riforme. E che le prime riforme che è necessario veramente porre in essere consistono nella sottrazione dell’Italia a quei vincoli, politici, giuridici, “culturali”, tutti di carattere sovrannazionale, i quali ci hanno imposto o suggerito riforme distruttrici di ben efficaci e giusti assetti d’interesse che avevamo ereditato dalla nostra storia e che forse dovevano soltanto essere ritoccati con pazienza, sperimentando le riforme, dapprima in singole città o Università o Scuole, o settori per verificarne la bontà.
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