Immigrazione e ideologia dominante: quando le cose richiedono più di una spiegazione
di RICCARDO PACCOSI (ARS Bologna)
Faccio due esempi di altrettanti enunciati dell’ideologia dominante che, per essere confutati, necessitano di più gradi d’argomentazione.
1)
Il primo enunciato-esempio recita: “gli italiani non fanno più figli, dunque per sostenere il sistema previdenziale e sanitario, abbiamo bisogno di milioni di immigrati in più”.
Dinanzi a questo slogan noi – working class e ceto medio impoverito – siamo tutti impotenti. Non perché lo slogan affermi il giusto ma perché, al fine di confutarlo sul piano etico, sono necessari almeno due livelli di argomentazione.
– Primo livello: in effetti sì, negli ultimi quarant’anni si è diffusa una cultura tendenzialmente ostile alla riproduzione e, per averne riprova, è sufficiente fare un sondaggio presso i ventenni e quindi registrare in quale percentuale essi rispondano “non farò mai figli nella vita”; si tratterà, difatti, d’una percentuale elevatissima.
– Secondo livello: eppure, malgrado quanto appena detto, è anche vero che l’ingresso tardivo nel mondo del lavoro – e l’ancor più tardivo passaggio dai “lavoretti” a una forma di precariato contrattualizzata – sottraggono desiderio, motivazione e possibilità concreta alla generazione di figli da parte dei giovani – e tutto questo fino ad età molto avanzata.
2)
Il secondo enunciato-esempio, invece, è quello che recita “i migranti fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare”.
Anche qui si è impotenti, giacché la confutazione dello slogan richiede almeno due passaggi argomentativi.
– Primo passaggio: in effetti sì, per tutti gli anni ’90 e buona parte del primo decennio dei Duemila, il settore col tasso di crescita percentuale più elevato fra gli ingressi nel mercato del lavoro, è stato quello dei mestieri creativi/cognitivi a discapito dei lavori usuranti. Infatti, era l’epoca in cui si parlava di “economia della conoscenza”, “classe creativa” e altre categorie che poi si sarebbero rivelate – in seguito alla crisi 2007-2008 – nulla più che suggestione poetica o, per dirla più brutalmente, pura e semplice fuffa.
– Secondo passaggio: d’altro canto, la tesi degli “italiani che non vogliono più fare certi lavori” può essere sì considerata valida per i due decenni sopra citati, ma non è più – nella maniera più assoluta – applicabile al contesto odierno. La situazione è difatti mutata profondamente e, per averne riprova, è sufficiente essere italiani, andare a cercare un lavoro “umile” e riscontrarne, quindi, l’evidente scarsità (ovviamente, chi scrive parla per esperienza diretta). Le uniche prestazioni che il mercato del lavoro oggi richiede – anzi, delle quali vi è carenza – sono quelle tecnico-manuali a elevato grado di specializzazione.
3)
Conclusione: quando i fenomeni storico-sociali richiedono spiegazioni complesse, semplificare a fini comunicativi costituisce un errore strategico. Sul terreno della semplificazione, l’ideologia dominante vince sempre: vuoi per maggiore potenza di fuoco (controllo dei media), vuoi perché qualunque cosa suddetta ideologia enunci viene venduta come innovazione, come un “guardare avanti”; e tutto ciò che si contrappone è facilmente stigmatizzabile, grazie a questa retorica neo-moderna e neo-futurista, come un “guardare indietro”.
Pertanto, occorre svolgere un lavoro lento e pedagogico che abitui le platee fisiche e telematiche alle argomentazioni pluristratificate, al ragionamento lungo e articolato, all’applicazione di rigore epistemologico nel momento in cui si deve assumere o confutare un dato concetto.
Altra strada, per combattere l’ideologia dominante, credo non sia percorribile
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