Appunti sovranisti
di CARMINE MORCIANO (ARS Bologna)
E’ trascorso un anno di militanza ed è giunto il momento in cui è interessante fermarsi, ragionare ed esternare. Un momento di analisi. Non tanto una valutazione di bontà, ma il punto della situazione di quanto appreso, ascoltato, accaduto, susseguitosi. Potrei semplicemente proporre la conclusione alla quale sono giunto ed allora affermerei “la politica è il canale, la Costituzione è il mezzo, riappropriarci della cultura dominante è il fine”. Fine anche dell’articolo, ma per fotografare il punto di vista della mia militanza e non scemare in un prosaico racconto, voglio proporre i termini che maggiormente denotano l’anno appena trascorso, associando ad essi idee, fatti vissuti o sentimenti provati, a seconda del bisogno che avverto: esternare le percezioni del militante o puntualizzare concetti che ho sentito mettere in discussione con ardita leggerezza.
Patria. Mi sento un patriota. Questa proposizione, un anno fa, non l’avrei potuta pronunciare a ragione, e ciò mi fa sentire meglio. Non che un anno fa non avessi capito che tutto andava male, che i problemi erano strutturali e prima di tutto macro-economici, per non dire marco-giuridici (dove macro acquisisce la nuova accezione di macroscopici), ma non ero un patriota. Mi limitavo ad urlare contro la tv, per passare poi a scrivere i primi appunti, dall’istante in cui ho avvertito che udivo troppe baggianate ai tg e nei talk per tenerle tutte a mente; ogni mio appunto doveva essere registrato per poi, magari, essere riordinato. Ero un italiano incazzato come tanti altri. Diversamente da altri, perché la mala-politica non è mai rientrata tra i miei valori differenziali tra “quando si stava bene” ed oggi, ma pur sempre semplicemente incazzato.
Per diventare un patriota c’è stato bisogno di un pomeriggio nel quale ho detto a me stesso che prima di auto dichiararmi pazzo, dovevo cercare qualcuno che la pensasse come me. E sapere che non si è soli al mondo, sapere che non si è pazzi, da un lato rincuora e dall’altro lato ti fa pensare che magari internet e la rete può essere uno strumento di controllo, di indirizzo e di tutto quanto volete, ma che dall’altro canto può essere un immenso boomerang, un mezzo a disposizione della vita reale per coordinarsi, agire, costruire. Uscire dalla critica e cercare di costruire, quel giorno è successo, quel giorno mi sono liberato ed ho iniziato a sentirmi meglio, perché essere patrioti è essere se stessi, tale è l’immanenza del concetto Patria.
Pazienza. Bisogna avere tanta pazienza. Siamo troppo abituati ai risultati. Siamo abituati ad essere giudicati dai risultati fin dall’infanzia. Vai a scuola, fai un compito in classe, hai un risultato. La domenica vai a giocare con la squadra di calcio del tuo quartiere, hai un risultato. Abbiamo la fissa dei risultati. Diamo i risultati ancor prima che i risultati maturino attraverso gli exit poll. Scommettiamo sui risultati. Ma ad una attenta analisi della storia, la battaglia per la Patria non ha un risultato, men che meno un risultato finale. Ha tanti risultati intermedi, giornalieri se volete, ma non uno finale, inteso nel senso di assoluto, immodificabile, senza un domani. In economia si dice che non è uno stock ma un flusso, in matematica si usa la locuzione “senza soluzione di continuità”, ma di fatto ci saranno tanti risultati continui che verranno dettati dalla situazione contingente.
La guerra per la Patria non ha vincitori e vinti definitivi. Non c’è una finale da giocare dopo la quale non ce ne sarà un’altra. Ci sono i giorni che passano, e ogni giorno che passa con la Patria in queste condizioni abbiamo perso. Così come se un giorno dovessimo tornare ad essere uno Stato Sovrano non avremmo vinto vita natural durante. C’è da combattere ogni giorno della nostra vita. E quando noi non ci saremo più, ci saranno i nostri figli e i nipoti ed essi stessi dovranno combattere, sia che si trovino nella nostra situazione sia che vivano ad Utopia. Comunque, Utopia, per rimanere Utopia, avrà bisogno di tutti i propri cittadini e della loro capacità di combattere, vigilare e gioire per un mondo in cui la redistribuzione non è solo un principio di cui tener conto, ma il faro della società, in cui ognuno si rallegra per le gioie altrui, così come per le proprie.
E se quindi questa è una guerra senza tempo, se è esistita prima di noi e continuerà dopo di noi, perché avere fretta? Fretta di fare cosa? Di andare in Parlamento, al Governo? Magari, ma nessun Parlamento e nessun Governo riuscirà ad essere diverso dagli attuali se non si cambierà prima chi quel Parlamento lo ha eletto, la cultura dominante. Può aiutare entrarci, ma non basta. Ed allora la militanza la si trova in una discussione politica a lavoro con i colleghi, al bar con gli sconosciuti, a cena con gli amici. Militare è in ogni azione della propria vita ed essere patriota significa avere a cuore la Patria, questo immenso sostantivo che rimarrà generazioni e generazioni dopo la nostra. L’orizzonte temporale è intergenerazionale e per cambiare le generazioni bisogna cambiare le menti, bisogna parlare alla testa. Non, come troppo spesso sento, alla pancia, altrimenti non si può crescere insieme, non c’è confronto, non c’è costruzione, non c’è patriottismo.
Il sovranismo non avrà vinto quando entrerà in parlamento, ma quando entrerà nei cuori della gente. Per questo ci vuole pazienza.
Politica. C’è carenza di partecipazione politica. Ciò che è cambiato maggiormente dal secondo dopo guerra ad oggi non sono i politici. Sono cambiati anche quelli, vero: meno competenti, più focalizzati sul marketing, più corrotti (forse) e meno tante altre cose. Ma siamo cambiati di più noi. Io non ero nato, ma ho letto e visto servizi come tutti. Le autogestioni scolastiche non erano la settimana di vacanza di metà novembre. Ci credevano, e magari ancora non votavano. I circoli di partito non erano stanze semi-deserte per giocatori di carte che dalla società non si aspettano più nulla se non una serena vecchiaia. Erano pieni, pullulavano, pulsavano. Non per eventi particolari, ma per la partecipazione popolare. Facciamoci un esame di coscienza e diciamo insieme: siamo cambiati più noi dei politici. Ed allora la consecutio qual è: “i politici sono cattivi ed allora io mi disinteresso di politica” oppure “nessuno partecipa alla politica ed i politici possono fare ciò che vogliono”?
Politica rappresentativa. Bando alle ciance. Bisogna focalizzarci sul termine rappresentativa e cercare di far riemergere il significato letterale della parola.
Ho sentito dire che la democrazia rappresentativa è la forma di governo che ci ha portato al disastro attuale e per questo va ripensata. Ma non ho sentito come. Non ho neanche capito se andasse riformata solo la democrazia rappresentativa o Montesquieu in generale. E non nascondo che anch’io pensavo che la democrazia rappresentativa dovesse essere ripensata. Personalmente lo pensavo perché percepivo che era troppo marcia, la catena della rappresentatività era marcia dalle fondamenta, dai circoli di quartiere dei “partiti”, e ciò creava barriere all’ingresso che rendevano vana la possibilità di crescita per qualsiasi personalità con fini nobili che volesse cercare di emergere. Pensandoci bene, però, ho capito che la barriera non era posta dalla forma di governo, dalla democrazia rappresentativa in sé, ma dagli attori che la popolavano. Erano lì le barriere all’entrata nel mercato della politica, non nella forma, non nei canali da navigare, ma negli attori, nelle navi da carico.
Ed allora ho capito che qualcosa si poteva fare. Si poteva creare una scialuppa, che poi sarebbe diventata un battello, che poi sarebbe diventato un traghetto, che poi sarebbe diventato una nave da carico, al secolo partito politico, che avrebbe potuto usare il canale “democrazia rappresentativa” nell’unica maniera consona, posta l’etimologia del binomio: rappresentare la cosa pubblica. Ho provato a non partire dalla scialuppa, ho cercato ed ho trovato ARS, che al tempo avrei definito un battello ma che oggi definirei un traghetto, un traghettatore verso il risorgimento sovranista italiano. Per amor di Patria perché il risveglio della Patria non può che passare per la via della rappresentatività. Torniamo a partecipare e la nostra classe dominante tornerà ad essere dirigente.
Il nostro tempo. Cos’è essere patrioti oggi? E’ partecipare. Ci hanno insegnato che Mazzini, Garibaldi e gli altri grandi uomini d’Italia erano combattenti, ma in realtà erano pensatori, erano sognatori con l’annoso problema del loro tempo. Erano sognatori solo nella misura in cui la realtà che vivevano era un incubo, l’incubo di una Patria occupata, oppressa, priva del sacro principio dell’autodeterminazione dei popoli. Sono stati spinti ad essere combattenti, ma se avessero potuto agire unicamente per via politica lo avrebbero fatto. Se avessero vissuto il nostro tempo, il nostro suffragio, avrebbero impiegato molto meno tempo di quanto è stato necessario nella realtà della storia per giungere alla vittoria.
Come è vero che se domani uscissimo dalla NATO e qualcuno mandasse un esercito ad occuparci, credo che lotterei per la libertà, come credo che farebbero lo stesso molti di quanti stanno leggendo queste parole ora. Quindi è tutto relativo al tempo ed al luogo che una persona vive, con la conseguenza logica che è un vero delitto civico non adempiere al proprio compito di cittadini del nostro tempo. Oggi, al nostro tempo, questo compito è cercare di far rivivere la democrazia rappresentativa. E dato che il problema sono gli attori, al nostro tempo, il compito è creare nuovi attori, che riprendano il percorso interrotto, da lunghissimi ed interminabili trentanni, di applicazione della nostra Carta Costituzionale.
Costituzione. In quest’anno trascorso ho sentito addirittura criticare la Costituzione, a quanto pare contaminata sin dal principio per lasciarci alla mercé del grande capitale americano, non appena questo avesse voluto.
Vogliamo modificarla e renderla più stringente nei confronti della lotta al liberismo? Va bene, aboliamo l’art. 81 del pareggio di bilancio e lo sostituiamo con un bel art. 81 comma 1 “il tasso di interesse non può essere superiore al tasso di inflazione” comma 2 “i salari sono adeguati automaticamente al tasso d’inflazione”, e vivremo tutti più sereni. Ma da qui a dire che la Costituzione è strutturalmente da ripensare ce ne passa, e di che tinta. Non sono un costituzionalista e mi pare anche superfluo lodare la nostra Magna Carta ma una logica affermazione di un caro amico di tante battaglie voglio porla alla vostra attenzione: “perché allora stanno cercando di distruggerla? Se non fosse un arma in mano ai cittadini, perché distruggerla?”. Semplice, conciso, inopinabile. Quindi qualcosa è, un mezzo è. Anche se bisognerebbe usare l’articolo determinativo: la Costituzione è il mezzo. E’ il mezzo che abbiamo e non possiamo mettere in discussione ciò.
Costruire. Cos’è costruire nella situazione che ci troviamo dinanzi agli occhi? E’ tante cose, talune piacevoli, altre meno, ma tutte aventi un profumo di gioia nel cuore dettato dalla consapevolezza che si sta agendo in funzione del benessere e del futuro della Patria. Costruire, in un mondo di distruzione, è capire dove si sta sbagliando, ed agire per migliorare. Studio ed azione, in un’ottica di ritorno ad una sana mentalità, ad una cultura della collaborazione. Per costruire serve un ritorno alla cultura dominante dei nostri padri. Giorni fa, nel mezzo del trasloco che sto subendo provando ad ultimarlo, è emerso dagli scatoloni di mio padre un libro di Federico Caffè, gigante sovranista. Ecco, per concludere, per definire il concetto di costruire e ricordare a tutti il concetto ormai abbandonato di “politica economica”, vi riporto le ultime righe della prefazione: “La ragion d’essere della politica economica e i motivi della sua rilevanza vengono in tal modo individuati non già nel mero fatto storico dell’intervento pubblico nella vita economica e del suo progressivo estendersi, ma nella struttura stessa dell’indagine economica, considerata nell’integralità dei due centri di interesse che sono a essa connaturali: la comprensione e spiegazione dei fenomeni e l’uso della conoscenza come guida dell’azione” (Lezioni di politica economica, ed. Boringhieri).
Torniamo a partecipare, conoscere, agire e torneremo liberi.
Viva l’Italia!
Sono di Bologna e mi interessa la vostra associazione. Dove siete?
Marcella, se mi autorizzi uso la tua email per metterti in contatto con qualche socio. Se poi hai un profilo facebook, è tutto più facile. Basta che linki il tuo profilo e ti veniamo a cercare.
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