Quel "flirt" antico tra rosso-bruni e leghisti
di MATTEO LUCA ANDRIOLA (politologo)
Una delle più interessanti iniziative politico-culturali in seno al radicalismo di destra nel nostro paese è stato il mensile Orion, nato nel 1984 come un bollettino di informazioni bibliografiche, edito dalla Società Editrice Barbarossa di Maurizio Murelli, vicino alle posizioni di Franco Freda. Attivo nella polemica contro il “mondialismo” – come a destra viene definita la globalizzazione neoliberista –, a Orion collaborarono quasi tutti i più significativi esponenti del radicalismo di destra italiano, Orion fu tra i primi periodici a dare spazio alle tematiche negazioniste, creando una rubrica apposita sull’argomento, affidata a Carlo Mattogno. Ancora negli ultimi anni ha pubblicato articoli di Robert Faurisson, esponente più rappresentativo del negazionismo europeo. Su quasi ogni numero non mancano, infine, articoli antisionisti, percepito sia come “potere occulto” che come forza di occupazione in Palestina.
Dopo avere appoggiato il regime islamico di Teheran, le attenzioni dei redattori si spostarono verso i circoli e le riviste “nazionalcomuniste” russe, la cosiddetta area rosso-bruna, comprendente i veterostalinisti del Pcfr e i vari nazionalisti neozaristi – fra cui il teorico eurasiatista Aleksandr Dugin. Negli anni ’90 il mensile è diventato espressione italiana del gruppo di Synergies européennes (Sinergie europee), un’aggregazione di natura culturale che ha visto la confluenza di esponenti del radicalismo di destra e quelli più radicali della Nouvelle droite, fra i quali il fiammingo Robert Steuckers.
Sul modello del Grece di de Benoist, Orion e Synergies européennes organizzavano annualmente le Università d’estate per simpatizzanti, una scelta critica verso l’approdo sincretico et-et, e nell’edizione del 2000, tenutasi a Gavirate (Va), vennero poste le basi per CasaPound. Pochi, però, sanno che Orion, fra la fase ‘nazionalista rivoluzionaria’ e quella rosso-bruna, ha un flirt con le prime leghe, divenendo uno dei principali laboratori di tale avvicinamento.
Infatti prima della nascita della rivista, Murelli, attorno alla Società Editrice Barbarossa, nel 1979 dà vita al Centro culturale Barbarossa di Saluzzo (Cn), dove l’editore era in semilibertà vigilata, un sodalizio originalmente legato a Freda e alle Edizioni di Ar, formato da ex ordinovisti e personalità provenienti dal gruppo torinese di Europa civiltà, altro gruppo di estrema destra. Orion diviene il “laboratorio politico” privilegiato per tale fenomeno.
In Piemonte infatti, fra i primi partiti localisti spicca il Moviment d’arnàssita piemontéisa, detta ‘Lista Piemont’, guidato da Roberto Gremmo, che nelle prime tornate – che corrispondono al primo periodo di vita del Centro culturale Barbarossa – prenderà risultati piuttosto deludenti, cioè lo 0,80% alla regionali del 1980, lo 0,58% alle politiche del 1983 e lo 0,39% alle europee del 1984. L’esplosione del “piemontesismo” avviene nel 1987, quando ‘Piemont’ (Gremmo) raccoglie l’1,85% (7.000 voti), mentre un’altra lista scissionista, Piemont autonomista di Gipo Farassino – affiancato dall’avv. Mario Borghezio, ex direttore di Orion-finanza – inserto del mensile murelliano – ex militante dell’organizzazione nazionalcomunitarista Jeune Europe e frequentatore del Centro culturale Barbarossa – ottiene il primo dato significativo, cioè il 3,41% (13.000 voti), superando in provincia partiti storici quali il Psdi, il Msi e altre formazioni “nuove”, come i radicali e i verdi.
La scissione di Piemont autonomista è dovuta alla strategia “isolazionista” di Gremmo, critico verso una strategia unitaria a favore della federazione delle varie leghe nel Nord Italia. L’affermazione avviene in contemporanea al crollo della Łiga veneta, che non andrà oltre lo 0,73%, mentre si registrerà l’affermazione della Lega lombarda, che prende l’1,8% ed elegge un senatore, Umberto Bossi, e un deputato, Giuseppe Leoni. Da notare che ben “prima del riassetto del panorama politico realizzatosi nel 1994, nella Lega Nord confluirono risorse umane e soprattutto organizzative provenienti dall’ala destra della vecchia Dc e soprattutto dal Msi” (A. Trabucco), senza contare la destra radicale.
Piemont autonomista, si caratterizza per la ricerca di interlocutori settentrionali senza abbandonare i temi etnocentrici, com’è evidente dal convegno tenutosi a Torino lo stesso anno, in cui viene stabilito che “l’identità etnico-culturale piemontese è uguale a tutela e salvaguardia della lingua, della cultura, dei modi di essere e dei valori; è senso civile della convivenza, della legalità, dello Stato di diritto, per la difesa dei diritti naturali delle etnie”. Il concetto di etnia è simile a quello di razza: “I diritti naturali delle etnie affondano le loro radici nel tempo dell’evoluzione storica. […] L’etnia va intesa come un momento evolutivo-bilogico-socio-culturale unitario. […] Queste realtà biologiche e queste realtà etno-culturali non sono mai state percepite dalle ideologie tradizionali”.
La regione, infatti, “è concretamente quel che la nazione non sempre è, il contesto entro cui si affermano le culture minoritarie. Il regionalismo, l’etnismo, sono nomi moderni dell’eterna rinascita delle patrie carnali”. La destra radicale infatti, all’astrazione della sinistra contrappone idee-forza reali, concrete, come la Nazione, la Razza, il Sangue, il Suolo e l’Heimat, che non necessitano di spiegazioni razionali, che possono invece essere agitati ed evocati giacché le parole “alla fine si rivelano più limitative che rappresentative delle idee” (F. G. Freda).
Il minimo comun denominatore con Orion fa sì che dal 1987 si assiste sul mensile ad un maggiore interesse per il regionalismo e il leghismo, e si concretizza quando Murelli pubblica nel numero di novembre il Manifesto dell’Etnocrazia, in cui si dichiara che solamente il radicamento etnoidentitario che parte dal basso, cioè dai quartieri, dai municipi, dalle città e dalle regioni, è l’unico mezzo per smuovere le acque stagnanti dell’impasse di un’Italia uscita duramente e con grandi difficoltà dagli anni di piombo.
Seguirà quella che potrebbe apparire una penetrazione che ha fra le sue figure chiave Alberto Sciandra, studente universitario e poi dirigente leghista piemontese, il futuro on. Guido Rossi (teorico dell’alleanza antimondialista con l’Islam, «che la destra radicale ha scoperto vent’anni prima della sinistra») e Francesco Littera, anche se a fondare nell’89 la prima sezione leghista a Cuneo – la prima in provincia, guarda caso, è a Saluzzo – contribuiranno personalità provenenti da diversi ambienti politici, ex del Psi, ex liberali, ex dc e addirittura ex comunisti.
La figura di Mario Borghezio era un po’ diversa da quella di oggi: filoislamico e ferocemente antigiudaico all’epoca, l’interesse di questi per l’Islam, protrattasi durante il primo governo Berlusconi, quando l’esponente leghista, all’epoca sottosegretario alla Giustizia, si batte per un concordato fra Stato italiano e l’Unione delle comunità islamiche italiane, è archiviato con gli attentati dell’11 settembre 2001 al World Trade Center, sposando le tesi fallaciane della maggioranza, forti anche negli ambienti della destra cattolica, una lobby forte nel Carroccio.
Il leghista Scianda non nasconde le sue posizioni, “un po’ le suggestioni della Nuovelle droite francese, un po’ il tradizionalismo alla Julius Evola”, e approda alla destra radicale – frequentando a Saluzzo il Centro culturale Barbarossa – nonostante il background familiare, padre partigiano ferito in combattimento – come reazione al sinistrismo dei coetanei. È grazie alla lettura di Evola che Sciandra fa discendere la sua scelta di fare politica, frequentando il circolo di Saluzzo con l’amico Rossi dopo aver frequentato il gruppo Piero Micca, una società di rievocazione storica composto da figuranti con divise dell’esercito piemontese del 1705–1706, che ricostruivano l’assedio di Torino: la conoscenza della storia locale, l’esaltazione di episodi passati carichi dell’inequivocabile emotività potevano essere usati come miti aggregativi e spesi nell’arena politica e, spiega Marco Tarchi, politologo e ideologo della Nuova destra, sottolineando l’urgenza di “saper creare miti fondatori, quindi di aver capacità mitopoietica, e di saper esprimere una liturgia, una sorta di rito comunitario”.
Le leghe regionaliste vengono viste dal sodalizio attorno a Orion come un mezzo per scardinare il sistema liberale, retto dalla partitocrazia. Murelli, spiegando ai lettori l’avanzata della Lega lombarda in alcuni comuni della provincia di Varese e di Bergamo a scapito della Dc e del Pentapartito, parla di “Etnocrazia alla riscossa”. Il direttore sosteneva che “è pur vero che il discorso politico-culturale che va sfiorando [la Lega] è di estremo interesse e di estrema sintonia con le posizioni già espresse in Orion, almeno potenzialmente. Per questa ragione invitiamo i nostri lettori lombardi ad avvicinarsi alla Lega apportando il loro contributo per una visione più profonda della concezione etnocentrica”.
Fra l’87 e l’89 Orion pubblicizzerà eventi culturali patrocinati dalle varie leghe regionali, ma pure dall’Union valdotaine, schierata a sinistra, e alle elezioni europee del 1989, la rivista dedicherà un’intera pagina pubblicando il seguente appello: “Alle consultazioni per l’elezione del Parlamento europeo si presenteranno alcune liste autonomiste. La nostra indicazione è quella di votare per esse. Non è certamente attraverso queste votazioni che riusciremo a riscattare il destino europeo, ma un piccolissimo contributo lo si può dare utilizzando il voto a favore delle leghe autonomiste siano esse lombarde o sarde. Quantomeno si provocherà profonda irritazione nel sistema partitocratico nazionale e, in caso di successo, oltre a scompaginare i disegni partitocratici, si getteranno le promesse per un tipo di politica radicata al suolo, agli usi e costumi delle diverse popolazioni. Noi ci batteremo per un’Eurasia delle mille bandiere, un’Eurasia senza più nazioni colonizzatrici, confini territoriali imposti a tavolino dal Mondialismo. Contribuiamo tutti alla distruzione dei partiti! Votiamo per le leghe autonomiste tanto al nord quanto al sud! Contribuiamo a scardinare la logica mondialista!”
Quella di Orion è quindi una fase padanista, neocelticista che innalza tutte le regioni etniche a baluardo contro l’omologazione mondialista, arrivando a pubblicizzare Etnie, periodico nato nei primi anni ’80 che si batteva per la difesa dei dialetti e delle tradizioni locali di tutto il globo – il cui direttore parteciperà ad parteciperà ad un numero di Diorama letterario, organo della Nuova destra italiana –, di comunicati della Lega lombarda e di recensioni di libri di collaboratori che si avvicineranno in seguito al leghismo.
Ma l’attrazione per il soggetto animato da Umberto Bossi, che con Tangentopoli inizia la sua ascesa, inizia a scemare quando la Lega diventa un fenomeno di massa. La redazione si era accorta che con la caduta del Muro di Berlino il capitalismo, la struttura, per sopravvivere necessitava di cambiamenti radicali in ambito sovrastrutturale, archiviando lo Stato-nazione, l’interventismo statale e puntando tutto su una struttura liquida, federale, funzionale al libero mercato. Il primo ad accorgersi di tutto è il collaboratore Renato Pallavidini, ex esponente del Pci cossuttiano (vicino negli anni ’80 a Interstampa e all’Associazione culturale marxista) passato al fascismo rosso e poi al nazionalcomunismo, il cui background marxista gli permette di spiegare che la Lega Nord è funzionale al disegno mondialista.
I motivi che spingevano Bossi a fare politica erano tutt’altro che solidaristi e sociali: “… da un lato un vergognoso sentimento antimeridionale […], dall’altro la volontà egoistica e godereccia di poter usufruire senza problemi, e per intero, di questa ricchezza; una volontà, questa, che è lo specchio fedele di un modello di società individualistica, e frantumata in una miriade di interessi corporativi e reciprocamente contrapposti” (R. Pallavidini). Il Carroccio è espressione degli umori di vasti settori di ceti medi e di piccola borghesia, e “può diventare uno strumento delle trame politiche del capitale finanziario italiano e delle forze imperialiste e mondialiste”.
Le istanze autonomiste erano funzionali alla logica capitalista come quelle che aveva condotto il grande capitale ad appoggiare il fascismo per poi “sovvertirlo” definitivamente, trasformandolo in un movimento antiproletario – Pallavidini, vicino al socialismo nazionale e alla Cisnal, in quota rautiana, elogia il fascismo-movimento e non il fascismo-regime. La Lega, caratterizzata dalla presenza delle classi medie e da un carattere filo-capitalista e neoliberista seguirebbe la stessa identica logica: “Nel ’22 dalla protesta dei ceti medi nacque il Fascismo-regime, oggi sono sorti la Lega Nord e il vento separatista, ma nella sostanza si riproduce, entro forme politiche, programmi, valori diversi, un medesimo ribellismo piccolo-borghese che, privo di una guida cosciente, orientato spontaneamente su un falso obiettivo strategico, rappresentato dalla sola classe politica, può diventare uno strumento del potere economico”.
Non solo: le manovre economiche dei primi anni ’90 in senso neoliberale – svalutazione della lira, privatizzazioni in vista del trattato di Maastricht ecc. – servono a “rafforzare i grandi gruppi capitalistici nazionali e transnazionali: modifica la struttura del pubblico impiego, del sistema sanitario, di quello pensionistico, liberando risorse per gli investimenti privati e sottraendole a stipendi e pensioni”. La Lega Nord, col suo liberismo, continua ad esistere perché non fa paura ai poteri forti: “Sino ad oggi lo hanno lascito crescere (Bossi), e in parte la Lega serviva a distruggere, al Nord, il consenso sociale ed elettorale dei vecchi partiti, sulle ceneri si vogliono costruire quelle riforme e quel nuovo su cui ci siamo dilungati”, un nuovo che predica il libero mercato a destra quanto a sinistra.
Orion abbandonerà in parte il filoleghismo quando si renderà conto che le tesi di Pallavidini erano tutt’altro che infondate, e che la Lega Nord, avvicinandosi sempre di più alla stanza dei bottoni, avrebbe abbandonato ben presto il discorso etnocratico per sposare temi poujadisti, antifiscalisti e apertamente neoliberisti. Lo dimostrano le dichiarazioni di alcuni esponenti del Carroccio, come Franco Castellazzi che dichiarerà: “Noi siamo per il liberismo della piccola e media impresa, a fianco del siur Brambilla, per dire, e non per quello di Gardini. Perché è nel modo di produrre della piccola e media impresa che noi ci riconosciamo, in cui troviamo i valori di vita, le tradizioni, la cura dell’ambiente che ci appartengono” (Il Giorno, 1º marzo 1991) o come Umberto Bossi, che affermava: “Noi siamo ostili ai grandi gruppi, ma vogliamo che il liberalismo conviva con la società. Non abbiamo nulla contro il capitale multinazionale, vogliamo salvare altri valori” (Corriere della Sera, 7 novembre 1990) concetti ribaditi espressamente nel primo Congresso della Lega, dove la piccola e media impresa è assunta a “base sociale e civile contro l’inciviltà dei partiti”, come “la spina dorsale dell’economia italiana”, senza alcun riferimento ai lavoratori salariati.
Senza contare quanto scritto dalla stampa straniera, come il Wall Street Journal (4 ottobre 1991) che definì il partito bossiano “il più influente agente di cambiamento della scena politica italiana”. Il settimanale britannico The Economist, il 28 febbraio 1992, “si spinse addirittura oltre, invitando gli elettori italiani a dare il loro voto proprio alla formazione di Bossi oppure al Pri di La Malfa, considerati entrambi come gli unici fautori di rinnovamento all’interno del decadente panorama politico italiano”. Tutte posizioni che sembrano cozzare col solidarismo di Orion.
Il flirt coi leghisti sembra aver termine, nonostante nel 1993, per le amministrative a Milano, Orion appoggi la lista civica Federalismo (2.247 voti, corrispondenti allo 0,3%), sostenendo la candidatura di Piero Bassetti, mentre Carlo Terracciano – orionista proveniente dalla nuova destra, introduttore della geopolitica e dell’eurasiatismo sulle pagine del mensile – è in lista a Firenze per il Movimento autonomista toscano. Ma col partito di Bossi, però, le cose cambiano.
Di fronte a una Lega Nord che cerca di presentarsi come forza antisistemica fondandosi sul neoliberismo – contro il centralismo e l’assistenzialismo di Roma ladrona ai danni del nord produttivo –, il gruppo, disilluso da ogni progetto politico parlamentare, decise di sperimentare nuove sintesi molto più radicali rispetto a quelle precedentemente viste: all’Est infatti, nella Russia postcomunista di Boris El’cin, sarà possibile concretizzare l’idea di nuova sintesi, unendo al tutto le suggestioni geopolitiche introdotte sul mensile da Terracciano nel 1986-1987.
Orion da quel momento diventerà il laboratorio per un’eresia politicamente scorretta, il nazionalcomunismo, divenendo “Mensile di opposizione globale” (dal n. 99, dicembre 1992, archiviando così la precedente dicitura di “Organo di Stampa del Fronte Antimondialista”) e trasformandosi, come recitato sulla copertina del n. 100, del gennaio 1993, in “Un punto rosso nella galassia nera, un punto nero nella galassia rossa”. Nasce così il nazionalcomunismo”; attorno ad Orion si coagulerà definitivamente il grosso della galassia rosso-bruna italiana, costituendo la più importante rivista dell’area.
fonte: Comunismo e Comunità
Molto interessante!
Molto interessante!
Leggendo l’articolo viene da prnsare che forse servirebbe una rivista che di voce alle varie sfumature di sovranismo democratico.
Potrebbe essere un luogo di incontro e di riflessione meno vincolante, ma non meno efficace di un partito/associazione.
Poi, naturalmente, ciascuno procede nella vostruzione dei soggetti politici che vuole.
Saluti
Molto interessante.
Aggiungerei che con Salvini è intervenuto un riavvicinamento, almeno a chiacchiere anche da parte di Salvini.
C’è la conferma che il rossobrunismo – quello vero, non quello che i residui gruppettini antifascisti , angosciati nel loro isolamento identitario, vedono ovunque – è agli antipodi del sovranismo. Non è un caso che in tre anni e mezzo si saranno avvicinati a noi 2-3 rossobruni, i quali poi o non sono entrati o, dopo essere formalmente entrati, sono andati via senza nemmeno muovere un dito e salutare. In effetti, simili ideologie presuppongono psicologie particolari, anzi a mio avviso sono tutt’uno con quelle speciali psicologie.
Non discuto quello che tu dici, Stefano.
Intendo affermare un’altra cosa, ovvero l’utilità di riviste e giornali quali “ponti” o addirittura mezzi di aggregazione fra gruppi diversi, ma con alcune idee in comune. Questo a prescindere dal fatto che nel caso descritto si trattasse di rossobruni, potrebbe valere pure per i giallo verdi….
Mi pare che dall’articolo si possa trarre anche questo insegnamento.
Cesco non replicavo a te. Ciò che tu hai proposto lo penso anche io. Ci ho pensato a lungo. Per ora non abbiamo sufficienti energie. Quando si fa qualcosa la si deve fare al massimolivello. Tutto decade e niente si innalza. Perciò ho rinviato l’idea di un paio di anni. Ho già in mente anche il titolo. :) Ovviamente, aggiungo, tra i sovranisti democratici non ci sono i rossobruni :)
Stefano tu hai fatto tantissimo già cosi.
Peraltro, anche in qusto caso, hai perfettamente ragione sulla condotta da tenere in concreto.
Porrerei una questione ancora in maniera ancora più radicale. Le famose tre ideologie novecentesche (liberismo, fascismo e comunismo) sebbene diverse tra loro hanno in comune una cosa: una diversa visione del mondialismo.
Pensiamoci bene, il mondialismo in senso liberista lo conosciamo bene: liberoscambismo, concorrenza al ribasso, ecc…
Esiste anche il mondialismo comunista, più conosciuto con il nome di “internazionalismo”, che è stato però declinato come supina obbedienza nei confronti dell’URSS, tant’è che tutti quei partiti che sono sempre stati allineati con il PCUS alla caduta di quest ultimo sono finiti sotto le macerie insieme, mentre gli altri partiti che hanno cercato una via autonomista, come in Cina e per certi versi in Jugoslavia hanno avuto una storia diversa.
E poi c’è l’altro mondialismo, quello fascista, eh sì perchè che ne dicano costoro anche la loro ideologia è mondialista, perchè volere un mondo completamente conforme a una certa visione biologica, razziale e culturale possiamo chiamarlo come ci pare ma la sostanza è quella.
Ecco perchè le cosiddette sintesi sono perfettamente inutili, buone solo a guardarsi il proprio ombellico e chiudersi in un vuoto settarismo. Non sono nient’altro che sintesi di diversi MONDIALISMI.
E come no…
Direi di no. Il fascismo su pochi punti aveva una posizione ideologica chiara ed univoca. Uno di questi era la religione della Patria. Un qualcosa di decisamente incompatibile con il mondialismo.
Non che il fascismo avesse anche lui l’abitudine di esportare la civiltà e di avere una visione mutietnicista almeno fino al 1938.
Comunque dovremmo dire che non esiste un solo fascismo, ma molti fascismi.
Sono colpito dall’incredibile ossessione antifa per quei 20 anni della storia patria, al punto da riuscire ad attribuirvi tutti, ma proprio tutti i mali del mondo, pure in contraddizione fra di loro.
Un tempo, quando Togliatti ed il resto dei comunisti erano rigorosamente e felicemente anti-italiani gli si attribuiva il fatto di essere un movimento veteronazionalista piccoloborghese ottocentesco.
Ora, che i discendenti degli stessi giocano a fare i patrioti fuori tempo massimo, il fascismo diventa cosmopolita.
Misteri della fede.
Un pochino come Holliwood, che quando non sa a chi far fare il cattivo, rispolvera fuori i nazisti dalla naftalina.
Deve essere stato proprio un periodo interessante quello, se l’ossessione perdura ancora.
Figlio mio, se ti riferisci a me io nè antifa, nè antiqì nè antiquò, nè antiquà.
A me non me ne frega una fava delle vostre beghe tra fratellastri.
Comunisti, fascisti e liberisti (soprattutto quelli della scuola austriaca) provengono tutti dallo stesso seme: l’idealismo tedesco, una cloaca di sublimi stronzate intrise di aerofagia culturale.
Insomma, comunisti fascisti e liberisti sono tutti figli dello stesso padre ma di diversa e ignota madre.
E a me non me ne può fregare una fava!
L’umanità è vissuta per XV secoli senza idealisti tedeschi, potrà continuare in futuro a viverne senza!
Continuassero pure a raccontare fregnacce dandosi una tintarella di presunta immortalità (Gesù Cristo era il primo comunista, bla bla bla SBROC SBROC, Giulio Cesare era il primo fascista bla bla bla SBROC SBROC,) e poi lamentarsi di essere discriminati e fanculizzati dai “benpensanti” (quelli che con l’idealismo ci si puliscono il deretano) e fare il broncio come Calimero, che era piccolo e nero (o rosso, o rosso-bruno, o giallo-nero).
Sempre meglio: Smith e Ricardo figli di Fichte ed Hegel.
SE fossi realmente suo figlio inizierei a pensare all’ereditarietà della follia.
E io se fossi in tè penserei a tornare a scuola che mi sa che quando ti hanno insegnato a leggere eri assente per influenza.
Io ho specificato liberismo della scuola austriaca, no liberismo e basta. Mises Hayek, Rothbard e Hoppe. Hoppe lo conosci? Come non andare d’accordo con zio Hoppe? Lui e le sue fregnacce.
Ha scritto SOPRATTUTTO, e se scrive soprattutto io leggo IN PARTICOLAR MODO MA NON ESCLUSIVAMENTE.
Per il resto, anche volendo limitarci alla scuola austriaca, il paragone non regge ed in effetti è la prima volta che leggo una simile idiozia.
Basti pensare che, laddove l’idealismo presuppone che l’oggetto (il divenire storico) discenda dal soggetto (l’Uomo storicamente determinato), Hayek fa viceversa una critica serrata di ogni “costruttivismo”, come lo chiama lui, cioè dell’idea di poter cambiare con la volontà la storia.
Praticamente, dice l’esatto opposto di Fichte o Hegel, o se è per questo Marx.