Utilitarismo e neoliberismo: due facce della stessa medaglia
di MARTINA CARLETTI (ARS Umbria)
“Basta ai giovani contestatori staccarsi dalla cultura, ed eccoli optare per l’azione e l’utilitarismo, rassegnarsi alla situazione in cui il sistema si ingegna ad integrarli. Questa è la radice del problema: usano contro il neocapitalismo armi che in realtà portano il suo marchio di fabbrica, e sono quindi destinate soltanto a rafforzare il suo dominio. Essi credono di spezzare il cerchio, e invece non fanno altro che rinsaldarlo.”
(Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società)
“Agli occhi del costruttore di imperi, gli uomini non sono uomini ma strumenti.”
(attribuita, Napoleone Bonaparte)
L’individualismo, o ricerca dell’utile e del piacere individuale, sembra aver fagocitato ogni questione etica e morale nella riflessione politica del bene collettivo. Il vuoto lasciato dalla morte della Chiesa cattolica in Occidente ha sottratto un principio unificante di autorità: la religione, che con il nome di “fede”, definiva la filosofia del popolo e agiva in un campo sociale di formazione del sentimento collettivo, è stata ormai sostituita completamente dalla manipolazione dei mass media.
La religione interpretava i bisogni materiali e spirituali del popolo, e ne dava un contenuto etico a prescindere dalla regola scientifica e filosofica: i bisogni materiali e spirituali della collettività sono stati via via interpretati dal mondo consumistico sotto forma di merci ed, attraverso la creazione di finti bisogni, ciò ha massimizzato il potere del mercato capitalistico.
Quali sono, dunque, i principi morali che sono stati trasferiti in campo politico, nella contemporanea società neoliberista?
Una buona narrazione di uno di questi principi, l’utilitarismo, moralmente assai discutibile poichè sfrutta i sentimenti umani, si troverà in Giuseppe Abbà, Quale impostazione per la filosofia morale?, Las, Roma 1996: in questo saggio, arriva dal suo punto di vista alla conclusione che l’utilitarismo, in fin dei conti, deve decidere tra l’allontanamento dall’esperienza morale (dall’ethos comune) o la perdita della propria identità e purezza teorica.
La giustificazione morale di un’azione (utilitarismo personale) o l’assetto politico della società (utilitarismo sociale) dipendono esclusivamente dalla sua utilità, ossia dal valore delle conseguenze a essa connesse in termini di benessere per gli individui. In termini di prescrizioni, gli approdi dell’utilitarismo sono stati diversissimi e a volte contrapposti, anche se ha prevalentemente attratto i riformatori sociali, convinti che il benessere può essere perseguito attraverso tecniche di ingegneria sociale. Considerare gli uomini dei meri “strumenti” per i propri fini, anche se tali possono essere considerati onorevoli, è scendere allo stesso linguaggio ed impersonare i principi della dottrina neoliberista.
Nel suo I sistemi e la democrazia. Pensieri, Mazzini parlò della teoria utilitaristica come come la maggiore responsabile del materialismo imperante nelle dottrine democratiche e socialiste: al materialismo e alla dottrina dell’utile, Mazzini contrappose un’idea di dovere e sacrificio.
Quale può essere, dunque, un principio educatore superiore, che non sia la semplice soddisfazione edonistica e l’utile individuale, o esclusivamente il “dovere” di mazziniana memoria? Quale evoluzione può permettere alla società contemporanea di non cadere nell’oblio dell’egoismo?
Tutto vero.
In generale, direi che l’utilitarismo è uno dei pilastro fondamentali del mondialismo (non neoliberismo, che è una parola che non esiste essendo il marginalismo vecchiotto), insieme ad altre dottrine solitamente afferenti al mondo liberal-massonico anglosassone: giusnaturalismo, liberismo, ambientalismo, empirismo ed appunto utilitarismo.
Per questo, di fatto, probabilmente abbiamo perso, perchè i valori alla base del mondialismo sono penetrati in profondità nella nostra cultura di massa.
Crediamo tutti che esistano diritti individuali inalienabili; crediamo tutti che l’intervento pubblico in economia sia nefasto; crediamo tutti che le risorse siano finite; crediamo tutti che l’uomo sia un animale che può imparare dalla mera esperienza; crediamo tutti che la “felicità individuale” sia un valore, ecc…
In effetti, cosa hanno in comune tutte queste dottrine britanniche?
L’allontanamento dell’individuo dalla società nel nome della “fratellanza universale”.
Quanti danni ha fatto l’escatologia.
Matteo, leggo con ESTREMO interesse i tuoi articoli sul PN e faccio mio l’elenco delle dottrine nefaste per questo lembo d’Eurasia: ‘giusnaturalismo, liberismo, ambientalismo, empirismo e appunto utilitarismo’. Ti chiedo se potresti, però, chiarire gli aspetti negativi dell’empirismo (credo comunque di averli già compresi allorché tu scrivi: ‘Fino a Hume, per cui siamo semplicemente degli animali incapaci di conoscere altro che quello che ci dicono i nostri sensi e che quindi al massimo possiamo agire da individui sradicati in difesa del nostri piccolo interesse’). C’è però un utente di un forum che a te (ironicamente) piace (vabbè Destra Radicale), che dice che il termine empirismo può dare adito a confusione. Propone di usare la parola ‘sensismo’. Vorrei, se possibile, un tuo parere.
Scommetto che l’utente in questione è cattolico.
Solo i seguaci delle nefaste dottrine papaline in effetti utilizzano questa definizione che in realtà ha ben poco senso essendo troppo vaga.
Ai loro occhi, però, questa vaghezza è un bene perchè consente loro di mettere nello stesso calderone praticamente chiunque, da Democrito a Nietzsche.
L’empirismo è la dottrina secondo cui l’uomo è un animale passivamente ricettivo nei confronti della realtà circostante grazie esclusivamente ai propri sensi.
Come un cane o una scimmia glabra.
Io non ho mai visto una scimmia progettare un reattore nucleare.
Peggio, Matteo: ha cominciato con Evola per poi virare verso un nichilismo luciferino con cui si diverte a trollare (efficacemente, perché è dotato di notevole capacità dialettica con una forte personalità al limite della sociopatia) in quella piattaforma forumistica gli sprovveduti che cadono in contraddizione coi loro post. Recentemente si è anche definito parecchio humeano.
Secondo il mio modesto parere la questione è molto semplice. Alla morale religiosa, tutelatrice del sociale in toto ma imperante e costrittiva dell’individuo, abbiamo sostituito il mero utilitarismo, ignorante di progettualità comuni di un destino obbligatoriamente comune a tutti i viventi del pianeta. Non siamo mai passati ad una fase intermedia e cioè al’Etica.