Erano solo Italiani
di MICHELE VIETRI (ARS Bologna)
«Ci chiamavano fascisti – recita un verso della canzone dello spettacolo – eravamo solo italiani, italiani dimenticati in qualche angolo della memoria, come una pagina strappata dal grande libro della storia».
Simone Cristicchi è stato insignito alla Camera dei Deputati, ieri 21 dicembre 2015, del premio “NORMA COSSETTO – 10 FEBBRAIO” per il controverso e coraggioso spettacolo teatrale-musicale Magazzino 18 .
Il magazzino 18 è un edificio del Porto Vecchio di Trieste. Parte da lì il racconto dell’esodo degli italiani dall’Istria, un luogo dove è ammassata un’enorme catasta di sedie: tutte aggrovigliate una sopra l’altra fin quasi a toccare il soffitto. Una metafora del dramma dello sradicamento del popolo istriano costretto ad abbandonare la propria terra, dopo che con il trattato di pace del 1947 l’Italia ha perso i territori dell’Istria e della fascia costiera, passati alla Jugoslavia. Quelle sedie, come altri oggetti lasciati all’interno del magazzino e mai più reclamati, sono il simbolo di un’identità strappata.
E’ uno spettacolo che non fa sconti a nessuno. La narrazione parte dalle politiche attuate dal fascismo di Italianizzazione delle terre di confine italo-jugoslave di Istria e Dalmazia, con persecuzioni e discriminazioni ai danni dei cittadini di lingua e cultura slava. Dopodiché prosegue fino alla Seconda Guerra Mondiale e al ribaltamento delle vicende, con l’occupazione di queste terre da parte dei partigiani comunisti del Maresciallo Tito e le persecuzioni ai danni degli Italiani, le foibe e le stragi connesse, l’annessione di queste terre alla Jugoslavia titina, la fuga della maggior parte degli italiani verso la loro nazione, dove si ritrovarono a vivere per anni in condizione di miseria e povertà in campi profughi sparsi per la penisola italiana.
Per l’artista è un avvicinamento al teatro di narrazione. Un successo e 200 repliche ogni anno in cui magistralmente Cristicchi unisce il teatro civile al suo mondo cantautorale: un musical civile. Quest’opera nasce con un motivo di fondo: far emergere un capitolo da troppo tempo insabbiato e scomodo della storia d’Italia; far venire la voglia di approfondire.
Le canzoni non sono retoriche e danno importanza alla memoria, per una vicenda, come questa, senza colore politico: valori familiari, dal basso, perché tutta la vicenda sostanzialmente parla di cose accadute alla povera gente, intere famiglie che se ne andavano. Oltre ai mobili spuntano le lettere d’amore o le pagelle scolastiche: sembra di entrare nelle abitazioni delle persone, nell’intimità dei profughi. Nello spostamento da un magazzino all’altro, tutte queste cose si sono mescolate tra loro, come un terremoto, come un’ulteriore distruzione di un’identità. La costruzione della poetica teatrale sembra voglia proteggere, risarcire o riabilitare cose, vicende o situazioni ingiustamente violentate dalla storia, ridare dignità a situazioni consunte.
Gli esuli sono un popolo così vasto che comprende tutti. Questa storia non ha colore politico. A guerra finita, gli istriani si sono sentiti improvvisamente stranieri indesiderati, drammaticamente anche in Italia; per la maggior parte hanno poi votato Dc, sempre strumentalizzati dalla politica per prendere voti.
Ma di fronte ad un tentativo così coraggioso di raccontare una tragedia, che ha sradicato 350.000 italiani da una regione della Penisola ceduta come bottino di guerra agli jugoslavi, puntando sull’umanità e sulla compassione civile, ci sono state molte reazioni isteriche, fuori luogo e oggettivamente coincidenti col teppismo: come al solito quando si tratta questo tema e quando i “contestatori” si ritengono depositari dell’unica ‘verità’ possibile per tutti, pena altrimenti la censura fascistoide.
A Trieste per proteggere la prima teatrale sono arrivate le camionette dei Carabinieri. Fuori del Teatro Rossetti un folto gruppo di contestatori stigmatizzava la ‘scorrettezza’ storica del lavoro di Cristicchi.
Ma ancora peggio e fatto di inaudita gravità riguardo alla libertà di espressione, al teato Aurora di Scandicci quelli di “Firenze Antifascista” sono saliti sul palco in 50 prima dello spettacolo e su un grande striscione hanno scritto: “La storia non è una fiction”. Sono persone tutte riconducibili agli ambienti dei centri sociali e hanno interrotto lo spettacolo lanciando volantini, impedendone al pubblico la visione. In sala c’erano anche esuli istriani e dalmati.
Un atto di arroganza intollerabile, quello di occupare uno spazio, come un teatro, per manifestare contro un musical civile che ha riscosso un consenso trasversale per la sua obiettività e per il suo valore artistico. Prova ne sia che la Rai lo ha trasmesso sul primo canale televisivo in occasione della Giornata del Ricordo, al fine di mantenere viva la memoria in ordine a dei fatti storici sulla cui gravità vi è stato un colpevole silenzio delle istituzioni durato oltre cinquant’anni.
Lo spettacolo Magazzino 18 non criminalizza la Resistenza. Racconta alcune zone ‘grigie’, scheletri nell’armadio con cui è venuto il tempo di fare i conti. Ma evidentemente per gli oltranzisti duri e puri questo è impossibile. Un lavoro di ricerca che ha portato Cristicchi, negli anni, a frequentare molti confini delle vite degli uomini e che viene stupidamente e in modo autoritario bloccato dalla solita pestilenziale mentalità assolutistica e prevaricatrice di chi si autodefinisce con il termine, questo sì parossisticamente fuori dal tempo e ora più che mai carico di bieca prepotenza, “antifa”.
Questi facinorosi hanno visto dietro lo spettacolo una manipolazione della realtà voluta da chissà quale “lobby massonica”, mentre per essi le foibe sono state un atto giusto da parte dei partigiani: giusto buttare in quelle buche italiani, squadristi, fascisti, un centinaio di preti. Chissà poi cosa c’entravano i preti con il fascismo.
Non basta. Alla luce delle polemiche di quei giorni, alcuni esponenti dell’Anpi hanno tolto all’artista la tessera onoraria, che in passato gli avevano attribuito come riconoscimento ‘culturale’, a mo’ di esempio per chiunque in futuro faccia deroghe al dettato della loro verità storica. Auspico un paese in cui ci sia possibilmente una memoria condivisa: come esiste sull’Olocausto, dovrebbe esistere anche per queste persone che sono state sotterrate da sessant’anni di silenzio. E l’orrore, sono sicuro, è che qualcuno pensi che le foibe siano stato un atto giusto, una conseguenza o una vendetta ai vent’anni di soprusi del Fascismo: questo è abominevole. Non si può giustificare un crimine con un altro crimine. Io credo che vadano condannati entrambi i crimini, senza metterli in relazione tra loro.
Ad alcuni non andava giù che questa storia fosse raccontata da un artista vicino alla sinistra. Ma alla sinistra va imputato il fatto di aver lasciato che questa storia diventasse patrimonio della destra. Non è una storia di destra o di sinistra. È una storia di gente, italiana, che ha davvero pagato per tutti. Ed è ora che si conoscano davvero i fatti.
Cristicchi si macchia così di una grave colpa: alimenta “una propaganda anti-partigiana”.La tragedia degli esuli giuliano-dalmati fa ancora paura, il suo j’accuse è rivolto a quelli che hanno voluto rimuovere questa storia. La Dc e il Pci, in primis su tutti.
Ad un’anziana signora, esule istriana, è stato chiesto, alla fine dello spettacolo di Scandicci, un commento :“Noi siamo rimasti senza parole a vedere raccontata la nostra storia rimasta nascosta per più di cinquant’anni, in questo spettacolo in cui ci rispecchiamo molto. Ci sentiamo italiani due volte. Una per essere rimasti attaccati e non aver rinunciato alle nostre origini e due per essere riusciti a ricominciare una nuova vita qui nonostante le sofferenze. I giovani non devono dimenticare.”
Occorrerebbe fare un parallelo attuale tra l’esodo di un popolo e i cosiddetti rifugiati del nostro tempo.
Successe all’epoca che a Bologna in segno di spregio rovesciarono il latte destinato ai bambini stipati in quello che veniva chiamato dai miei concittadini (della allora città più rossa d’Italia) “il treno della vergogna”. Quello che trasportava i profughi istriani in fuga e che sostò alla stazione per una notte, sigillato e lugubre, iconografia ormai classica dei deportati, proprio come ci rimandano le stesse immagini dell’olocausto nazista con i carri da bestiame pieni di ebrei destinati ai lager.
Oggi però essi non riescono a fare differenze, anche banali, tra chi si traveste da ‘migrante’ in fuga da una guerra e chi davvero è scampato alla morte. I cittadini della città più “comunista” d’Italia (c’è da riderne) accolgono tutti e non si sognerebbero mai di versare il latte a terra in segno di offesa. Anzi si sentono “migliori per tradizione o pedigree”, con idee compiaciute sulla propria umanità. Inteneriti da chiunque eserciti con perizia il mestiere del rifugiato. Una retorica infinita.
Se vedono un italiano che rovista nella spazzatura non provano nessuna emozione: questa è solo l’immagine meritata di un Occidente colpevole e in decadenza.
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