Lettera ai parlamentari italiani
Onorevoli Parlamentari,
tra breve sarete chiamati a convertire in legge il decreto legge sulle liberalizzazioni. Come cittadino e come studioso di diritto, mi permetto di sottoporvi alcune osservazioni relative all’articolo 1 del decreto legge, rubricato “Liberalizzazione delle attività economiche e riduzione degli oneri amministrativi sulle imprese”, sperando che possano esservi utili nell’adempimento dei vostri doveri di rispettare la Costituzione Italiana e di emanare norme tecnicamente dignitose e comunque non obbrobriose.
1. Intanto, pur volendo soprassedere sulla sussistenza dei requisiti di necessità ed urgenza con riguardo all’introduzione delle discipline puntuali contenute in altri articoli del decreto, con l’art. 1, come 3, il Governo vi chiede di delegarlo ad emanare entro il 31 dicembre 2012, uno o più decreti “per individuare le attività per le quali permane l’atto preventivo di assenso dell’amministrazione, e disciplinare i requisiti per l’esercizio delle attività economiche, nonché i termini e le modalità per l’esercizio dei poteri di controllo dell’amministrazione, individuando le disposizioni di legge e regolamentari dello Stato che, ai sensi del comma 1, vengono abrogate a decorrere dall’entrata in vigore dei regolamenti stessi”.
E’ il Governo stesso ad ammettere che in questa materia manchino la necessità e l’urgenza. In forza della nostra Costituzione, una simile delega dovrebbe essere contenuta in una legge delega nella quale sia il Parlamento ad indicare i principi e i criteri direttivi ai quali il Governo si deve attenere nell’esecuzione della delega. Qui siamo in presenza, invece, di un Governo che prevede i criteri ai quali si dovrà attenere e chiede al Parlamento di essere delegato ad applicare quei criteri! E’ vero che è già accaduto altre volte; tuttavia, è pur vero che il “governo dei professori” non mostra di amare la Costituzione più dei non professori.
2. Ben più grave è il fatto che il Governo abbia chiesto al Parlamento di essere delegato ad abrogare “le norme che prevedono limiti numerici, autorizzazioni, licenze, nulla osta o preventivi atti di assenso dell’amministrazione comunque denominati per l’avvio di un’attività economica non giustificati da un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l’ordinamento comunitario, nel rispetto del principio di proporzionalità”. Se la disposizione normativa fosse convertita senza modifiche ne deriverebbe che il Governo sarebbe delegato ad abrogare anche le norme che pongano limiti giustificati da un interesse generale, costituzionalmente rilevante, sebbene non compatibile con l’ordinamento comunitario, nel rispetto del principio di proporzionalità.
Il Governo, in attuazione della delega, abrogherebbe anche norme costituzionalmente legittime – perché giustificate da un “interesse generale costituzionalmente rilevante” – ma in contrasto con l’ordinamento comunitario. Chi assicura il Popolo italiano, e il Parlamento che lo rappresenta, che le svariate discipline, risultanti dall’abrogazione di norme costituzionalmente legittime (ma incompatibili con l’ordinamento comunitario) siano costituzionalmente legittime? Chi assicura il Popolo Italiano, e il Parlamento che lo rappresenta, che l’abrogazione di norme costituzionalmente legittime ma reputate (dal Governo) incompatibili con l’ordinamento comunitario non dia luogo a discipline che sacrificano tutti gli interessi pubblici e collettivi coinvolti, in favore del solo interesse allo svolgimento dell’iniziativa economica privata?
Nella delega chiesta dal Governo è sancita la supremazia del diritto dell’Unione Europea rispetto alle norme italiane, anche di rango costituzionale, che disciplinano i rapporti economici. Il Governo chiede una autorizzazione ad abrogare (anche) limiti costituzionalmente legittimi all’esercizio dell’attività economica, se essi sono incompatibili (a parere del Governo) con l’ordinamento comunitario, a prescindere dal fatto che le discipline che residuerebbero dall’abrogazione siano costituzionalmente legittime o invece illegittime in ragione del sacrificio di interessi pubblici costituzionalmente rilevanti in favore dell’interesse al più agevole svolgimento dell’iniziativa privata.
Più coraggioso era stato chi aveva proposto di modificare l’art. 41, terzo comma, della Costituzione, il quale prevede che “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata a fini sociali”. L’art. 1 del decreto sulle liberalizzazioni è invece un tentativo per aggirare surrettiziamente l’ostacolo costituzionale e abrogare norme costituzionalmente legittime con il rischio che la disciplina risultante dall’abrogazione sia costituzionalmente illegittima ma conforme all’ “ordinamento comunitario”.
D’altra parte è singolare, e direi assurdo, che il Governo chieda al Parlamento la delega ad abrogare le norme che pongano limiti alla libertà di iniziativa privata, i quali non siano giustificati da un interesse generale di rilevanza costituzionale. Quelle norme, se contenute in leggi o atti aventi forza di legge, sono già costituzionalmente illegittime. E la illegittimità deve essere accertata dalla Corte Costituzionale. Se invece sono contenute in fonti di secondo grado, esse devono essere disapplicate dai Giudici. Dunque con riguardo alle norme incostituzionali o illegittime il governo pretende di sostituirsi alla Corte Costituzionale o all’ordine giudiziario. Con riguardo alle norme costituzionalmente legittime, il governo chiede la delega ad abrogarle, per adeguare l’ordinamento italiano all’ordinamento dell’unione europea senza curarsi se la disciplina risultante dall’abrogazione sia costituzionalmente illegittima (perché non indirizzerebbe e coordinerebbe l’iniziativa economica, pubblica e privata, ai fini sociali).
3. Ugualmente gravissima è la disposizione contenuta nel secondo comma dell’art. 1, la quale prevede che “Le disposizioni recanti divieti, restrizioni o condizioni all’accesso e all’esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate e applicate in senso tassativo…”.
Con questa disposizione il Governo propone di vietare a priori e in via astratta la applicabilità analogica delle “disposizioni recanti divieti, restrizioni o condizioni all’accesso e all’esercizio delle attività economiche”. Si pensi, per esempio, ad una disposizione che, in ragione di una particolare pericolosità di un’attività economica, preveda una o più “condizioni” (accertamenti tecnici, svolgimenti di analisi e altro). Lo sviluppo della tecnica potrebbe consentire al capitale di valorizzarsi in una attività simile o analoga alla prima ma più pericolosa. Ebbene, se il Parlamento approvasse la norma “proposta” dal Governo – salvo quanto sto per osservare – le disposizioni che prevedono “condizioni” per lo svolgimento della prima non potrebbero essere applicate analogicamente (si può ricorrere all’analogia, in presenza di una apparente lacuna, quando nell’ordinamento è presente una disposizione che disciplini un caso simile o una materia analoga: art. 12, 2° comma delle disposizioni sulla legge in generale).
Le disposizioni che prevedono divieti, restrizioni o condizioni all’accesso e all’esercizio di un'attività economica non sono disposizioni eccezionali, insuscettibili di applicazione analogica (l’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale esclude l’analogia per le disposizioni eccezionali). Se può essere respinta la tesi secondo la quale l’iniziativa economica privata è stata (dalla Costituzione) funzionalizzata all’utilità sociale, si deve comunque ammettere che la libertà d’iniziativa economica è un bene costituzionale tra i tanti beni costituzionali; un valore tra i valori; un interesse generale tra gli interessi generali. Il diritto di intraprendere e svolgere una iniziativa economica privata non è un prius, quasi di origine naturalistica, eccezionalmente limitato a tutela di uno o altro interesse generale costituzionalmente rilevante. Le norme che il Governo vorrebbe abrogare, assieme a tante altre, esprimono, invece, il bilanciamento e la ponderazione tra interessi costituzionali di pari grado, tutti da tutelare e tutti in qualche modo sacrificabili, per realizzare gli altri. Quelle norme, dunque, non fanno eccezione ad alcuna altra norma e sono la regola di bilanciamento tra vari interessi pubblici.
Probabilmente, anzi direi certamente, la disposizione che il Governo vi invita a confermare è incostituzionale per violazione del principio di ragionevolezza. E’ assurdo, irragionevole e frutto di fanatismo ideologico stabilire a priori, e non con riguardo a una o altra precisa disposizione, che tutte le disposizioni che pongono limiti “divieti, restrizioni o condizioni all’accesso e all’esercizio delle attività economiche” non possano essere applicate per analogia.
4. Assurdo e dilettantesco – altro che governo dei professori! – è poi il fatto che il Governo abbia imposto ai Giudici, con riguardo alle medesime disposizioni, ossia quelle “recanti divieti, restrizioni o condizioni all’accesso e all’esercizio delle attività economiche”, l’interpretazione "restrittiva". Si tratta di delirio napoleonico, rispetto al quale le pretese di Berlusconi di sottomettere i giudici al potere del governo erano capricci fanciulleschi.
Due sono le ipotesi che tradizionalmente si lasciano ricondurre alla formula “interpretazione restrittiva”.
Da un lato, la polisemia delle parole e delle frasi pone spesso l’interprete dinanzi a due opzioni interpretative, delle quali una comporta l’applicazione della disposizione a determinati casi e l’altra (l’opzione restrittiva) soltanto ad alcuni di essi.
Dall’altro, accade che il legislatore si sia espresso male, nel senso che l’adozione dell’unico senso letterale conduce ad applicare la disposizione a casi che né il legislatore aveva considerato né, razionalmente, sono assimilabili ad altri che pure si lasciano ricondurre nello spazio semantico della disposizione. L’esempio di scuola del quale solo solito avvalermi è il seguente. Una disposizione dice “E’ vietato sfilare dietro la bandiera rossa”. Essa non sarà applicata ai tifosi di una squadra di calcio che festeggiano la vittoria del campionato. Lo si deduce dalla mancanza di ratio e/o dalla collocazione sistematica della norma e/o dai lavori preparatori. In questo caso l’interpretazione restrittiva è, per così dire, “obbligatoria” ed è in realtà una forma di interpretazione correttiva. L’interprete corregge il legislatore e, aggiungendo un elemento alla fattispecie (“è vietato sfilare dietro la bandiera rossa per motivi politici”), restringe l’applicazione della disposizione ad alcuni soltanto dei casi che ad essa si lasciano ricondurre. In queste ipotesi non è necessario che il legislatore imponga la interpretazione restrittiva. Essa, per così dire, si impone da sé.
Nel primo caso, invece, stabilire se una disposizione debba essere intesa in un significato che la rende applicabile a un gruppo ampio di casi (ai casi A, B e C) o a un gruppo più ristretto di essi (ai soli casi A e B) dipende da una serie di argomenti (la ragione, il collegamento sistematico con il comma precedente o seguente, i lavori preparatori, i precedenti storici e altro) e non ha alcun senso che il legislatore stabilisca a priori che norme aventi un certo contenuto devono essere interpretate restrittivamente. Dall’assurda previsione normativa potrebbero derivare un trattamento diverso di casi molto simili o addirittura la disapplicazione di una norma proprio a quei casi che, come eventualmente emerga dai lavoratori preparatori, il legislatore voleva disciplinare e che si lasciano ricondurre nello spazio semantico della disposizione.
Anche la imposizione della interpretazione restrittiva, dunque, è assurda, irragionevole e frutto del fanatismo ideologico del governo.
5. Concludendo, la lettura dell’art. 1 del decreto legge sulle privatizzazioni mostra:
che il “governo dei professori” non ha alcun rispetto per il Parlamento e la Costituzione, visto che osa scrivere i criteri e i principi dei quali il medesimo Governo dovrebbe tener conto in sede di attuazione della “delega” (in realtà è un Governo che sta tentando di delegare se stesso);
che il “governo dei professori” intende conformare un settore rilevante della disciplina dei rapporti economici all’ ordinamento dell’Unione europea, abrogando discipline legittime sotto il profilo costituzionale, disinteressandosi del fatto che le discipline risultanti dalle abrogazioni siano o meno conformi alla nostra costituzione economica;
che il “governo dei professori” muove da una vergognosa, deplorevole e satanica concezione della libertà di iniziativa economica come dato naturale gerarchicamente sovra-ordinato all’ordine giuridico e, perciò, la sovra-ordina agli altri valori e interessi pubblici di rango costituzionale;
che il “governo dei professori “intende sostituirsi alla Corte Costituzionale, ai giudici deputati a sollevare le questioni di costituzionalità e alla dialettica processuale nella competenza a eliminare dall’ordinamento disposizioni reputate (dal governo) incostituzionali;
che il “governo dei professori” chiede una delega in bianco per poter procedere a innumerevoli bilanciamenti (alquanto “sbilanciati”) tra la libertà d’iniziativa privata e altri valori costituzionali;
che il “governo dei professori” non ha rispetto per la Costituzione quando, irragionevolmente e fanaticamente, pretende di vietare, a priori, l’applicazione analogica di disposizioni che non hanno o possono non avere carattere eccezionale;
infine, che il “governo dei professori”, spinto dal fanatismo ideologico, non si vergogna di voler imporre – contro la logica e la tradizione giuridica, senza tener conto dei fondamenti del diritto che si apprendono sui banchi delle facoltà di Giurisprudenza durante le lezioni del primo anno, e contro il costituzionale principio di ragionevolezza – l’interpretazione restrittiva di un gruppo di norme individuate in astratto, in ragione della materia da esse disciplinata.
Onorevoli Parlamentari, la semplice lettura dell’art. 1 del decreto sulle liberalizzazioni dimostra che il “governo dei professori” è di gran lunga il peggior governo della storia repubblicana. Voi siete i rappresentanti del popolo. Spetta a voi farlo cadere e cancellare la pagina più vergognosa della Storia dell’Italia.
Stefano D’Andrea
Professore associato di diritto privato nell’Università della Tuscia
Caro Stefano,
per potere cancellare "la pagina più vergognosa della Storia di'Italia" bisognerebbe prima percepirla come tale. Invece siamo così abituati ad abusi e soprusi che uno più, uno meno, ci sembra che alla fine non cambi nulla.
Abbiamo perso la capacità di scandalizzarci perchè tali e tanti erano gli scandali da non poterli più enumerare. Con questa tecnica strisciante e pervasiva sono riusciti a rovesciare il "principio di ragionevolezza", dove questo principio viene ormai fatto coincidere con il danno minore: riuscire a dormire comunque, e riuscire a mangiare senza vomitare.
E' "ragionevole" bombardare un popolo con barzellette, quiz, giochi a premi, cucù, conflitti di interessi, varietà, disinformazione, falsi valori e ideali, veline e calciatori, miliardi come se piovesse, felicità tout-court, politiche schizofreniche, repressioni brutali, bombardamenti umanitari e avanti così per altre (tante) pagine?
Dovremmo quindi interrogarci su cosa sia la "ragionevolezza". Secondo me è quel valore che permette una visuale olistica dei problemi, e pone al centro della questione il benessere di ampi strati della popolazione. Il che è esattamente il contrario di quanto Monti & co. abbiano a cuore. E prima di lui altri…..
Capirai quanto staranno ad ascoltare noi cittadini quei traditori che occupano impunemente i palazzi della Nazione. Oggi sentivo che i partiti alla quasi unanimità (legaioli eccettuando) hanno ignominiosamente supplicato il "governo" Monti di accelerare il progetto atto a rendere nuovamente l'Italia un'espressione geografica, e che va sotto il nome di Stati Uniti d'Europa.
Non sanno cosa dicono. Propongono cose che non potrebbero mai accadere. negano il palese errore tecnico dell'euro. Lodano Monti, il peggiore primo ministro di sempre. Forse tutto ciò è un bene. Forse servirà a coagulare forze nuove. Bisogna stare dentro a tutti i fenomeni interessanti che sorgeranno. I forconi sono una cosa nuova; il litigio all'interno della lega è una cosa nuova; i sindacati di base e dicono che si deve uscire dalla Ue sono una cosa nuova. Che esista una patria, che è la casa della quale dobbiamo prenderci cura, si scopre soltanto quando la patria è in pericolo.
Permettetemi dire un mio parere e cioè, io non trovo opportuno dimissionare ora, questo governo tecnico!…in tanto ed in quanto non si cambia la legge elettorale, in tanto ed in quanto non si verifica l'aver risanato la grave situazione in cui ci trovavamo di fronte al resto dell' europa ovverosia come membri dell'UE!!!!!… e questo, accadeva, molto prima di "dover insediarsi" detto governo. Secondo poi, non trovo una vera alternativa di governo nel caso di una "caduta" come Lei propone, soprattutto ripeto, senza aver cambiato la legge elettorale!. Riguardo poi, tutti i fattori scatenanti, secondo Voi di fatti di totale "illegalità" da parte di questo governo…motivo per il quale secondo Voi, signor D'Andrea, uno dovrebbe dire di "vergognarsi" e considerare il "peggior governo" da quando è istituita la Repubblica…mi dispiace dover contraddirla seccamente ma, è doveroso per me, richiamarla all'attenzione invitandola a non cadere in esagerazioni, non potendo condividere in assoluto le sue parole!!!!…Con tanto di rispetto, penso che Lei, esprimendo ciò gode politicamente parlando di MEMORIA CORTA!!…
Gentile Dorotea,
io non voto alle elezioni politiche dal 2001. Può immaginarsi quanta stima io abbia avuto, a torto o ragione, per i governi di centrosinistra e centrodestra che si sono succeduti.
Li ho disprezzati per le posizioni assunte nelle guerre contro l'Iraq, l'Afghanistan e la Libia. Questo governo, appena arrivato ha già peggiorato quelle posizioni. Il ministro della difesa ha già dichiarato che da adesso in avanti, con i nostri aerei, bombarderemo l'afghanistan.
Li ho disprezzati per le tante riforme liberistiche e globaliste che hanno introdotto.
Questo governo, appena arrivato, ha già colpito le pensioni, coloro che pensavano di andare in pensione tra pochi anni, e molteplici categorie di ceti medi pauperizzati.
Li ho disprezzati per le privatizzazioni. Qui Monti ancora non si è mosso ufficialmente. Ma adesso arriverà la fase tre. Copio e incollo, a conclusione di questo commento, da uno stato fb che le consiglio di controllare nei prossimi giorni.
La signora Dorotea soffre clamorosamente di silviocentrismo cronico ed acuto.
Concordo con Stefano, non tanto sulla lettera (che nessun parlamentare leggerà, perchè non ha la cultura per comprenderla) ma per la risposta alla sig.ra Dorotea. Credo che il governo Monti, anche per me il peggiore di sempre, stia scombussolando la politica italiota. Il PDL è una cadavere oramai senza furturo, la Lega non è messa bene, il PD pure. Glii unici a godere di buonaa salute sono i centristi del Terzo Polo. Le coalizioni come le conosciamo adesso si staanno frantumando. Il primo partito italiano, il PDL, non esiste, nei fatti, più (e le prossime elezioni amministrative saranno il de profundis), adesso come non mai si stanno aprendo spazi nuovi. E qualcuno continua a rompere i maroni con il solito ritornello della "nuova legge elettorale".
Caro Giancarlo,
se non la capiranno per mancanza di cultura non lo so. Io l'ho inviata ai capigruppo dell'Italia dei valori e al sito della Lega, nonché a Libero quotidiano. E' questa oggi l'opposizione istituzionale al governo Monti!
Leggo con qualche sconcerto la letterina …
Rivolgersi ai parlamentari liberaldemocratici che votano le controriforme del governo fantoccio di Monti, in cambio del mantenimento dei loro privilegi, mi sembra di un'ingenuità disarmante. Non si tratta di "rappresentanti del popolo", ma semplicemente di comparse dei cartelli elettorali sottomessi all'unico Partito della Riproduzione Neocapitalistica.
Il fatto che le manovre montiane passino per il parlamento, e sia ancora richiesto il voto formale, a maggioranza, delle scamorze chiamate deputati e senatori, per la loro “validazione” formale, è dovuto esclusivamente al mantenimento della finzione liberaldemocratica e della fantomatica “legalità costituzionale”. Questi miserabili, presunti rappresentanti del popolo (in realtà impiegati di basso rango, anonimi e spesso incapaci, della classe dominante), si fanno comprare con poco, tutto sommato. Se per noi sono tanti quindici o più mila euro mensili, il loro prezzo è in realtà relativamente modesto, insignificante, per una classe dominante che muove nel mondo seicento trilioni di dollari (secondo certe stime, secondo altre anche di più) di “prodotti finanziari” …
Piuttosto che scrivere una letterina a questi infami, che mentono sapendo di mentire, rubano sapendo di rubare, e si vendono al miglior offerente, sarebbe bene far capire al più grande numero possibile di persone che il nostro nemico sul piano politico è la liberaldemocrazia (il volto politico, appunto, del Nemico Principale neocapitalistico) e che questo sistema deve essere respinto in toto, ed anzi, combattuto senza risparmio di forze.
Saluti
Eugenio Orso
Eugenio, ho già osservato a Gainfranco che ho inviato la lettera ai capigruppo dell'Italia dei valori e al sito della Lega, nonché a Libero quotidiano. E' questa oggi l'opposizione istituzionale al governo Monti! Nella speranza che qualcuno sollevi il problema. Per altro si tratta di un normale articolo, che pone in risalto questioni apparentemente un po' tecniche delle quali la contro-informazione e la contro-riflessione non si è interessata.
Vedremo se, magari per tornaconto personale, la lega e l'Italia dei valori o libero-quotidiano solleveranno le questioni in sede di conversione. Intanto ho cercato di informare i lettori di questo blog e del forum di CDC. La lettera è stata poi ripresa da alcuni siti (Megachip, I Lupi di Einstein, TNEPD e Wallstreetitalia) ed è stata postata da qualcuno sul blog di Foa.
La forma dell'articolo aspirava ad avere una certa diffusione. Questo è ciò che sono in grado di fare. Certo sarebbe ora che cominciassimo ad organizzarci meglio. Vediamo di impegnarci assieme accettando tutti un programma inclusivo. Ti farò sapere. Ciao
Per Stefano D’Andrea
Sappiamo che l’IdV e la Lega stanno facendo un’“opposizione” di facciata, elettoralistica, senza sbocchi sociali e di mobilitazione della popolazione contro il governo. Anzi, guardando oltre le apparenze (e in questo caso non è neppure difficile …) è certo che i suddetti non si sognano neppure di porre istanze sociali e politiche concrete, o di “lavorare “ seriamente affinché la piazza faccia cadere Monti (in parlamento, come sappiamo, ciò non accadrà), ma sperano di vivacchiare fino a quando i dominanti concederanno le elezioni politiche, incamerando i voti, rispettivamente, di Pd e Pdl in forza di un’opposizione furbesca, inefficace e di facciata.
Non ti offendi se dico che sei un ragazzo ingenuo, sia pur di buoni principi e in buona fede?
D’altra parte, io sono paragonabile ad un vecchiaccio sospettoso e disincantato, il quale dopo innumerevoli delusioni crede fermamente che l’unica speranza che ci rimane, seppur debole, è il proliferare dei disordini di piazza, la “rottura dei recinti” del politicamente corretto e del pacifismo strumentale, i sommovimenti dei “brutti, sporchi e cattivi” che si trascinano dietro gli altri, fino a quel momento inerti o dediti agli scioperi rituali ed inefficaci “alla Camusso”. All’inizio questi sommovimenti (proteste, semirivolte, eccetera) si manifestano senza una chiara prospettiva di alternativa politica, ma servono, se non ottengono risultati eclatanti e immediati, per aumentare la distanza – già molto grande, arrivati al punto in cui siamo, fra le masse abbandonate al loro destino da partiti e sindacati e il sistema che oggi ha iniziato a giocare (pericolosamente?) allo scoperto.
Quanta acqua dovrà passare sotto i ponti, prima che si riesca ad intravedere la fine del tunnel? Chi lo sa, comunque, per quanto riguarda il programma politico alternativo, che oggi rappresenterebbe una priorità, ma del quale non c’è ancora alcuna traccia, mi rifaccio alle parole di Costanzo Preve, il quale da tempo sostiene che uno specifico programma politico, nuovo ed anticapitalista, non può nascere a tavolino, ma inevitabilmente nascerà “sul campo”, dalla prassi rivoluzionaria …
Saluti
Eugenio Orso
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