La falsa coscienza dell'estrema sinistra
Di fronte alla crisi di civiltà che ci aspetta, sembrerebbe naturale rivolgerci alle varie realtà anticapitalistiche, presenti in tutto il mondo occidentale, per trovarvi almeno i semi di nuove forze sociali e politiche capaci di affrontare gli enormi problemi che si stanno delineando. In particolare sembrerebbe naturale trovare ciò che stiamo cercando all’interno del variegato mondo che fa riferimento al marxismo. Si tratta, dopotutto, di un mondo che fa riferimento alle teorizzazioni di critica al capitalismo che sono le più profonde e serie attualmente disponibili. Ebbene, la conclusione che si può ricavare da un esame spassionato di tale mondo è che in esso non si trova quello di cui abbiamo oggi realmente bisogno, cioè la capacità di impostare un’azione politica che si ponga nell’ottica di contrastare la crisi di civiltà che si sta delineando.
Il mondo dell’estrema sinistra antisistemica è una realtà talmente complessa, articolata, sfaccettata, con una storia altrettanto complicata alle spalle, che di certo nessuno può pretendere di conoscerlo fino in fondo. Si tratta di un mondo che ha ormai quasi un secolo di storia alle spalle: possiamo infatti indicarne l’atto di nascita negli anni Venti del Novecento, quando la sconfitta dei tentativi rivoluzionari in Occidente e l’affermazione dello stalinismo in URSS portano alla “normalizzazione staliniana” dei partiti comunisti ufficiali e alla separazione/contrapposizione fra questi ultimi e la frange di comunisti “eterodossi”.
Ebbene, di fronte a questa realtà così ricca e multiforme, una cosa possiamo affermarla con tranquilla sicurezza: questo mondo, la cui essenza, per definizione, è la rivoluzione anticapitalista, non solo non ha mai fatto nessuna rivoluzione, ma non si è neppure mai lontanamente avvicinato ad essa, e non è neppure riuscito ad avere un qualche peso politico significativo. Non si tratta di rivoluzionari sconfitti: si tratta di rivoluzionari che non sono mai stati neppure nelle condizioni di progettare i primi timidi passi di un processo rivoluzionario. Questo nell’arco di circa ottanta o novant’anni, nei paesi e nelle situazioni storiche più diverse (l’unica eccezione, che al solito conferma la regola, è forse rappresentata dalla guerra civile spagnola). Il mondo della rivoluzione anticapitalista da ottanta o novant’anni si riproduce in sostanza eguale a se stesso senza minimamente avvicinarsi alla rivoluzione, e senza che nessuno al suo interno sembri disturbato da ciò.
Ci sembra allora evidente che a questo mondo si può applicare la categoria della “falsa coscienza”. Si tratta anzi, a nostro avviso, di un caso evidente, solare, di falsa coscienza. Questo mondo rappresenta se stesso come rivoluzionario, ma tutto quello che fa, lungo ottant’anni, non porta a nulla che possa assomigliare ad una rivoluzione. La rappresentazione di se stessi come rivoluzionari è dunque una falsa immagine che copre una verità che non si è in grado di dirsi. Per capire la verità di questo mondo, bastano in realtà alcune considerazioni di buon senso. Basta guardare con occhio lucido cosa si fa realmente all’interno di questo mondo. Che cosa fanno le persone nel mondo dell’estrema sinistra? Fanno tante cose diverse: organizzare incontri e assemblee o partecipare ad essi, gestire realtà di vario tipo (centri sociali, circoli culturali, piccole case editrici, pubblicazioni), gestire le relazioni con altre analoghe realtà (altri gruppi, altre riviste), partecipare a manifestazioni. Si tratta quasi sempre di attività che non attirano la grande maggioranza delle persone comuni, che le vivrebbero come impegni gravosi e noiosi. Il pensiero della maggioranza degli esseri umani è, più o meno, che tali attività siano un sacrificio che ha senso fare in nome di uno scopo. In effetti anche le persone interne a quel mondo pensano alle proprie attività come indirizzate ad uno scopo: la trasformazione del mondo, la giustizia, il socialismo, il comunismo, la rivoluzione e così via. Il punto cruciale, però, sta nel fatto che assegnare un tale scopo all’insieme delle attività del mondo dell’estrema sinistra è una pretesa priva di ogni fondamento: dopo aver provato per circa ottant’anni, nei modi più diversi, nei paesi più diversi, nelle situazioni storiche più diverse, e dopo aver constatato la propria totale impotenza politica, il mondo dell’estrema sinistra non può più pensare che le proprie attività abbiano qualcosa a che fare con la rivoluzione, il socialismo o altri concetti analoghi. A qualsiasi cosa servano quelle attività, l’unica sicurezza è che non servono a cambiare il mondo. Ma allora, se mantenessimo il punto di vista delle persone comuni, dovremmo concludere che il mondo dell’estrema sinistra dovrebbe essere scomparso, e da tempo. Perché mai infatti continuare in attività faticose e poco gradevoli, se esse non servono minimamente allo scopo dichiarato? Se però il mondo dell’estrema sinistra si riproduce uguale a se stesso da circa ottant’anni, bisogna concludere che le cose non stanno come pensano le persone comuni. Il ragionamento delle persone comuni muove da due premesse: l’attività concreta che si svolge in quel mondo è faticosa e poco gradevole, ma ha un nobile scopo (prima premessa). Essa però ha rivelato la propria inutilità rispetto allo scopo (seconda premessa). Quindi logicamente andrebbe abbandonata e il mondo dell’estrema sinistra dovrebbe scomparire. Dove sta l’errore? Poiché la seconda premessa mi sembra indiscutibile, l’errore sta evidentemente nella prima premessa. Se le persone nel mondo dell’estrema sinistra continuano in quelle attività che sono del tutto inutili allo scopo dichiarato, è perché non provano per esse quella ripulsa e quel fastidio che provano le persone comuni. Le persone interne al mondo dell’estrema sinistra trovano una loro soddisfazione nella loro attività militante, nelle assemblee, nelle manifestazioni, nelle discussioni e in tutto quanto il resto. Se si accetta questo punto, si capisce anche facilmente perché l’inadeguatezza allo scopo non ha nessuna importanza. Queste attività vengono perseguite per sé, non per la rivoluzione. I militanti che gestiscono un circolo che organizza dibattiti sono contenti di questo: di organizzare dibattiti. Gli attivisti che gestiscono i concerti di un centro sociale vogliono solo organizzare concerti, e sono soddisfatti di poterlo fare. I black bloc che si scontrano con la polizia, sfasciano vetrine e lanciano bottiglie molotov, desiderano proprio scontrarsi con la polizia, sfasciare vetrine e lanciare bottiglie molotov. I militanti che vendono “Lotta comunista” per strada sono felici di vendere “Lotta comunista” per strada, e il fatto che questo non abbia nulla a che fare né con la lotta né col comunismo non ha nessuna importanza.
La falsa coscienza di questo mondo non sta, ovviamente, nel fatto che in esso varie persone si dedichino a varie attività per esse gratificanti. Sta nel fatto che queste attività vengono surrettiziamente definite come politica, e addirittura come politica rivoluzionaria. La falsa coscienza sta nel sovrapporre a queste attività uno scopo col quale esse non hanno il minimo collegamento.
Il mondo dell’estrema sinistra è in definitiva realmente interessato a quello che esso realmente fa: gestire un centro sociale, un circolo, un giornale, un gruppo di spaccatori di vetrine. Trova in questo la sua soddisfazione e il senso della propria esistenza. Il resto, la giustizia, la rivoluzione, il comunismo, è un insieme di parole vuote.
A partire da queste osservazioni è forse più agevole inquadrare una serie di fenomeni che hanno sempre colpito tutti coloro che hanno avuto a che fare con questo mondo. Uno di questi fenomeni è quello della sua estrema litigiosità interna, il fatto cioè che esso si frammenta di continuo in piccole cerchie ostili l’una all’altra, e sembra incapace di una azione unitaria. Si tratta di un fenomeno apparentemente di non facile comprensione. Infatti questo mondo sembrerebbe condividere una impostazione culturale generale e una serie di finalità fondamentali, che sono quelle che dovrebbero strutturarlo (appunto la rivoluzione, il comunismo, la giustizia). Su queste basi non dovrebbe essere impossibile costruire un movimento unitario. Si pensi ad un gruppo di persone che hanno una finalità comune da realizzare, per esempio, in una comunità contadina, costruire una casa o coltivare un terreno. Ci possono essere divergenze e antipatie che rendono penoso il lavoro comune, ma è difficile che esse blocchino tale lavoro, se esso è considerato vitale: perché un compito da svolgere nella realtà struttura e impone una prassi precisa, che i litigi e gli scontri non possono mettere in questione, se si vuole che il lavoro sia portato a termine. Queste osservazioni ci chiariscono cosa succede nel mondo dell’estrema sinistra: succede che ciò che dovrebbe rappresentare lo scopo comune del lavoro comune (la rivoluzione, il comunismo) è un nulla, un vacuo suono, che non può minimamente strutturare l’azione comune, appunto per la sua nullità. Poiché il vincolo comune in realtà non esiste, lo spazio è totalmente libero per le antipatie, le vanità, le nevrosi, le tante piccole cose meschine di cui è fatto il legno storto dell’umanità. Tanto più libero, tale spazio, quanto più alto il tasso di falsa coscienza: cioè, tanto più spessa sarà la nebbia di parole altisonanti e vuote (rivoluzione, comunismo) calata sulle reali motivazioni dell’agire, tanto più facile sarà che queste reali motivazioni agiscano inconsciamente facendo fallire i tentativi di lavoro comune.
Stante queste caratteristiche strutturali di tale mondo, è chiaro che da esso non può sortire nulla che sia d’aiuto nella difficile crisi di civiltà verso la quale ci stiamo incamminando.
Questo articolo è pubblicato anche sul blog Badiale&Tringali: http://www.badiale-tringali.it/2016/04/la-grande-estinzione-delle-speranze-iii.html
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