Il piano Marshall e l'americanizzazione dell'Europa
di LORENZO VITELLI (giornalista)
Era il 5 giugno del 1947 quando all’università di Harvard il segretario di Stato George Marshall lanciò un appello agli europei con il quale si stabilì lo stanziamento da parte degli Stati Uniti di quasi 100 miliardi di dollari (attuali) nelle economie del vecchio continente. Da inserire nelle logiche della guerra fredda il cosiddetto piano Marshall servì a Washington per mantenere il suo raggio di influenza sull’Europa Occidentale. Raramente vengono mosse critiche a questo progetto che dal 1947 al 1951 innescò un nuovo paradigma: il postmoderno. In Italia si attuò il miracolo italiano, in Francia lo chiamarono le trente glorieuses, per tutti fu un successo a cui seguirono modificazioni strutturali della nostra società, una nuova idea di sviluppo, nonché un radicale mutamento delle mentalità.
Tra le prime conseguenze non possiamo omettere il nascente fenomeno dell’americanismo: ovvero l’ammirazione incondizionata verso tutto ciò che era americano. Ad esso va aggiunto, però, l’assioma fondante dell’era postmoderna, ovvero l’equazione “nuovo = buono” a cui, in quanto Paese giovane, si è associata l’incognite America. Il mito del progresso e dello sviluppo, dell’innovazione e della crescita, non poterono trovare più alta espressione se non nella liberal-democrazia statunitense e nel suo agire pragmatico a cui tutta l’Europa fece riferimento.
A questo processo seguì la relativa americanizzazione delle economie, e prese forma la dialettica del capitalismo indistintamente in tutto il tessuto sociale standardizzando la realtà nel rapporto tra produzione – industriale, secondo il modello fordista – e consumo. Dall’economia rurale, povera, lenta, si passò all’economia dell’abbondanza.
Alla penetrazione commerciale e all’insediamento delle multinazionali nel nuovo cortile europeo, succedette la penetrazione ideologica, la creazione oltre che del Mercato, dei mercanti e dei consumatori. L’Europa fu artificialmente fagocitata dal mito dell’american way of life, adeguandosi marxianamente al principio secondo il quale la cultura diviene espressione dei bisogni ideologici del mercato. L’individualità divenne allora idealmente costituita sul riflesso delle istanze che regolavano la società capitalistico-liberale.
Il piano Marshall, finalmente, oltre a contribuire alla creazione dello spazio del libero mercato globale, rese gli abitanti psicologicamente conformi al suo modello economico. Il tutto passò sotto il silenzio dell’intellighenzia europea felicemente stipendiata dalle riviste appositamente create dalla Cia. Intanto nella banalità del quotidiano si andavano minando le fondamenta e le identità dei popoli europei: chi poteva sospettare di una lattina di Coca-Cola, dei blue jeans, del cinema, del juke-box?
Fonte: L’Intellettuale Dissidente
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