Viva il latino
di NICOLA GARDINI (poeta e italianista; Università di Oxford)
Ho deciso di scrivere il libro Viva il latino [ed. Garzanti, 2016 ndr] per esprimere la mia gratitudine e la mia ammirazione crescente verso una lingua che non solo mi ha aiutato e tuttora aiuta a vivere, ma che ritengo essenziale per la felicità di tutti. Pertanto, volevo anche difendere il latino dagli attacchi e dalle critiche irresponsabili di molti, che parlano per pura ignoranza sia del latino sia delle grosse questioni che lo studio del latino comporta: la missione del sapere umanistico, il rapporto tra le scienze cosiddette esatte e le scienze storiche, i concetti stessi di sapere e di formazione, l’idea di utilità, la funzione della cultura nello sviluppo della vita civile, i doveri della scuola, il posto della tradizione nel presente.
Il latino (intendo la grande letteratura scritta in questa lingua) è una scienza immensa, che ha per oggetto principale la mente e le capacità espressive dell’essere umano. Nel latino si è formato il sistema intellettuale ed emozionale del mondo in cui ci troviamo. Il latino è il codice genetico dell’Occidente; se vogliamo, pure il suo sistema immunitario, ovvero, per rimanere nella metafora biologica, la fonte prima del principio di identità. Eppure in Italia si trovano ancora individui, a cominciare dai politici, che lo vorrebbero abolire. Questi, per una distorta, presuntuosa idea di attualità, non sanno che il latino è uno dei vanti del sistema scolastico italiano.
Grazie al latino (e al greco) la formazione secondaria italiana, a confronto con quella di molti paesi europei e degli Stati Uniti, può senz’altro dirsi un esempio di pedagogia avanguardistica. Non ci si potrà mai rallegrare a sufficienza di aver offerto a generazioni di giovani il privilegio di crescere umanamente e intellettualmente sui magnifici testi di Cicerone, di Virgilio, di Seneca e di altri antichi.
I nemici del latino, tra l’altro, non tengono minimante conto del fatto che ai giovani il latino piace. I giovani, quando non sono impediti dalle circostanze e se guidati da insegnanti capaci e appassionati, sono aperti alle avventure più impegnative dell’intelligenza. Sono gli adulti i pigri e i disfattisti, quelli che cercano ragioni laddove la ragione è la cosa stessa. Quanti tra i miei lettori tornano al latino appunto per sentirsi giovani!
Vorrei far notare che in un’università come quella di Oxford, dove io insegno, il latino attira ogni anno più studenti, dei quali solo una minoranza troverà impiego nel sistema scolastico o accademico. Conosco vari classicisti che lavorano alla City o che, seguito un corso integrativo, hanno preso la strada della politica o dell’avvocatura. In Italia la curiosità per il latino si è assopita, purtroppo, sotto una coltre di ceneri, alimentata da assuefazione, noia istituzionalizzata, preconcetti, diffidenza verso la complessità e la bellezza dell’interpretare, demagogia. Ma credo che basti soffiarci sopra con un po’ di buona volontà perché i tizzoni riprendano ad ardere. Io proporrei anche di diffondere corsi di latino fuori della scuola. Perché uno può studiare l’inglese o anche il cinese, e non il latino? Io stesso già più di vent’anni fa tenevo corsi serali di latino alla New School di New York. Il mio pubblico era fatto della gente più varia: artisti sotto i trenta, madri di famiglia, qualche uomo di mezza età. Volevano incontrare l’antichità, confrontarsi con la grande cultura di Roma. Dopo un anno traducevamo già passi dell’Eneide.
Conoscere il latino è importante quanto conoscere la riproduzione delle cellule o la fisica quantistica. Molti non sanno nulla neppure di queste faccende. Però nessuno si sogna di contestarne l’importanza, perché le ritiene scienze di oggi, mentre il latino è roba passata. Pregiudizi. Non sanno che la fisica e la biologia sono a loro volta costruzioni storiche tanto quanto il latino. Qualunque studio, pur nella sua pretesa di assolutezza, è inevitabilmente rivolto all’oggi. Il caso dell’archeologia mi sembra illuminante: quello che salta fuori dallo scavo entra in contatto con un tempo diverso. Donde la necessità di capire il reperto, ricollocarlo nel suo contesto, usarlo per capire che cosa è avvenuto tra il suo tempo e il nostro.
Bisogna accettare che l’oggi è fatto di ieri, di moltissimi ieri. Il mazzo che vedi dall’alto non è solo la carta che sta in cima. O non c’è partita.
fonte: http://www.illibraio.it
Commenti recenti