Debito Target2, il record italiano non vuol dire che siamo tornati nel 2012
di ECONOPOLY (Francesco Lenzi)
La notizia che la Banca d’Italia ha raggiunto nel mese di agosto scorso il nuovo record del saldo debitorio verso l’Eurosistema TARGET2 ha provocato in alcuni siti e blog la consueta analisi di un imminente avvio di una nuova crisi dell’euro, di un sistema che spinto da queste forze centrifughe si avviava verso la propria dissoluzione, come nel 2012.
Abbiamo già parlato ormai numerose volte del sistema TARGET2, descrivendolo in sostanza come il sistema che permette alle banche centrali dei Paesi aderenti alla moneta unica di scambiarsi in tempo reale le risorse che occorrono per il funzionamento di ciascun sistema finanziario nazionale. Il saldo che ogni fine mese viene diffuso da ciascuna banca centrale nazionale, e ricavabile dal database della Bce è espressione della posizione debitoria o creditoria verso la Banca Centrale Europea di ciascuna Banca Centrale Nazionale.
Il dato appena diffuso rileva per la Banca d’Italia una posizione debitoria nei confronti dell’Eurosistema di circa 327 miliardi di euro, in aumento di 35 miliardi rispetto alla posizione debitoria di fine luglio. Il dato aggiorna nuovamente ed abbondantemente il record raggiunto all’apice della crisi dell’euro del 2012, che fu di circa 290 miliardi, prima che Mario Draghi annunciasse l’intenzione della Banca Centrale Europea di fare qualsiasi cosa fosse nel mandato per preservare l’esistenza della moneta unica. Il dato numerico crudo e semplice sembra quindi essere espressione di una rinnovata sfiducia nella tenuta della zona euro, di una nuova fuga di capitali dall’Italia (e dagli altri Paesi periferici) verso i Paesi Core, principalmente la Germania.
Così come avvenuto nel 2011-2012 sembrerebbe che i capitali, temendo la rottura della zona euro ed il ritorno alle valute nazionali, escano dai Paesi periferici che vedrebbero svalutarsi la loro nuova divisa, per approdare nei Paesi che invece rivaluterebbero la propria moneta. Se questa fosse però la lettura corretta, così come nel 2012, avremmo dovuto rilevare nella struttura dei tassi d’interesse una qualche forma di tensione. Sebbene i tassi d’interesse dei titoli pubblici siano sotto l’ombrello della BCE, una fuga di capitali di circa 160 miliardi di euro in 18 mesi avrebbe dovuto muovere i tassi di mercato a breve/medio termine. Invece tutto fermo. I tassi d’interesse praticati alla clientela privata, sia imprese che famiglie, sono in discesa da diversi trimestri rinnovando ogni mese i minimi storici.
La lettura corretta è in effetti diversa, ed è legata piuttosto a come il Quantitative Easing, avviato lo scorso anno dalla BCE, ha fornito nuova linfa per gli investimenti esteri dei soggetti residenti in Italia. Abbiamo infatti visto in un post del marzo scorso come l’espansione del bilancio della Banca d’Italia, successivo all’avvio del QE abbia segnato l’evoluzione del saldo verso l’eurosistema TARGET2. La liquidità creata in Italia infatti non è rimasta all’interno del nostro sistema finanziario trasformandosi in liquidità in eccesso, ma è defluita verso l’esterno dando impulso alla dinamica del saldo TARGET2.
Per comprendere chi muova questi capitali e verso quali strumenti affluiscano occorre dare uno sguardo al conto finanziario della bilancia dei pagamenti italiana. In particolare, nel grafico 1, tratto dall’ultimo bollettino economico di Banca d’Italia, si nota come dall’inizio del 2014, superata la fase acuta della crisi, gli investimenti di portafoglio (azioni, quote di fondi comuni e obbligazioni) all’estero dei soggetti residenti in Italia abbiano decisamente preso la direzione in uscita dal paese.
Grafico 1. Saldo TARGET2 e flussi cumulati della bilancia dei pagamenti.
Se nel 2011-2012, a causa della crisi in corso, delle tensioni presenti sul mercato domestico, numerosi soggetti italiani hanno dovuto rimpatriare capitali per far fronte alle proprie esigenze finanziarie (ed anche fronteggiare le difficoltà di ottenere nuovi finanziamenti), nel 2013 si è assistito a una sostanziale stabilizzazione di questi rimpatri. Dal 2014 la direzione si è invertita e gli investitori italiani hanno ripreso a far investimenti all’estero. Da gennaio 2014 a giugno 2016 il totale degli investimenti di portafoglio fatti all’estero dagli italiani ha raggiunto complessivamente i 265 miliardi di euro: 160 miliardi sono stati investiti in quote di fondi comuni stranieri, 10 miliardi in azioni estere e 95 miliardi in obbligazioni estere.
Però, mentre in tutto il 2014 ci sono stati afflussi di capitali esteri in Italia che hanno pressoché compensato i deflussi dei capitali degli italiani, e mantenuto perciò il saldo TARGET2 di fine anno sullo stesso livello di inizio anno, dal 2015 tali afflussi si sono arrestati ed è stato grazie alla nuova liquidità fornita dalla Banca d’Italia che gli Italiani hanno potuto continuare ad investire all’estero al ritmo dell’anno precedente: 98 miliardi di euro nel 2014, 112 miliardi nel 2015, 54 miliardi da inizio 2016 fino a giugno.
Può interessare il fatto che in questi due anni e mezzo, se non ci fossero stati i surplus di partite correnti e nuovi afflussi di capitali esteri in Italia, il saldo TARGET2 (che a fine 2013 era di circa 200 miliardi) avrebbe superato i 460 miliardi, battendo il record assoluto registrato dalla Banca Centrale di Spagna nell’agosto del 2012. Questi flussi di capitali che, come abbiamo visto, sono dovuti alle decisioni di investimento delle istituzioni italiane, stanno determinando due principali conseguenze, una di carattere interno ed una di carattere esterno.
La conseguenza di carattere interno è che la liquidità immessa dalla Banca d’Italia, non rimanendo all’interno del sistema italiano, non si è trasformata in liquidità in eccesso e non ha pertanto prodotto l’effetto di schiacciare i tassi a breve termine in Italia verso livelli prossimi al tasso -0,4%, che è il tasso di deposito presso la Banca Centrale. Le banche italiane infatti, non avendo riserve in eccesso, vedono remunerata la loro liquidità a tasso zero, ma non negativo. In questo modo tutta la struttura dei tassi in Italia, sebbene molto migliore rispetto a tre anni fa, è ancora più elevata rispetto ai Paesi che hanno liquidità in eccesso.
La conseguenza di carattere esterno, o meglio nei rapporti con l’estero, riguarda invece la voce dei redditi primari del conto di partite correnti. L’Italia, essendo un Paese debitore nei confronti dell’estero, dovrebbe, in linea teorica, avere un saldo passivo su tale voce. Se infatti ci sono più debiti che crediti verso l’estero ed i tassi al quale debiti e crediti sono remunerati sono gli stessi, allora è chiaro che i redditi pagati all’estero saranno superiori a quelli riscossi. Questo però avviene se i tassi sono gli stessi. La realtà può essere però un po’ differente, ed il fatto che i tassi medi di finanziamento delle istituzioni italiane siano scesi così tanto negli ultimi tre anni (con la Banca d’Italia che ha accesso ad una linea di credito illimitata, attualmente a tasso zero, presso l’Eurosistema TARGET2) ha permesso di abbassare decisamente i rendimenti pagati sui debiti esteri.
E così, con redditi da capitale più bassi pagati all’estero e maggiori redditi riscossi dall’estero (derivanti dall’aumento della quantità di investimenti esteri) è stato possibile nell’anno solare chiuso nel giugno scorso ricavare un saldo attivo nella voce redditi primari. Cosa che non avveniva dal 2006, prima che la cosiddetta crisi dei sub-prime USA facesse completamente sballare il conto dei redditi primari dell’Italia a causa della frammentazione del mercato bancario internazionale e l’esplosione del premio al rischio per finanziamenti cross-border.
La frammentazione del mercato interbancario intra-eurozona, che aveva inciso pesantemente in termini di tassi di finanziamento del nostro sistema bancario, sembra così essere ormai alle spalle. Nonostante siano usciti dal sistema finanziario italiano 111 miliardi di euro nell’ultimo anno, i tassi d’interesse hanno continuato la loro costante discesa. È quindi comprensibile perché, anche nel consueto discorso del primo giovedì del mese, il numero uno della Banca Centrale Europea abbia sottolineato come gli attuali saldi TARGET2 non siano segno di frammentazione del mercato interbancario.
Però, se si vuol esser precisi, occorre far presente che la frammentazione che si era manifestata nel 2012, non potendo esser risolta con le operazioni LTRO (operazioni di rifinanziamento a tre anni), è stata semplicemente affogata di liquidità dalla BCE. Le banche che non potevano finanziarsi all’estero non hanno più bisogno del mercato interbancario, avendo a disposizione ogni mese (se in condizioni di solvibilità) nuova liquidità da utilizzare. L’attuale dinamica dei saldi TARGET2 invece di riflettere il timore di rottura della zona euro, riflette piuttosto le diverse decisioni di investimento degli operatori dei vari Paesi. E gli operatori italiani, stante la ripresa ancora alla porta ed i tassi estremamente bassi sui titoli a reddito fisso, preferiscono andare alla ricerca di rendimenti più interessanti all’estero. La liquidità per fare ciò, se non la trovano sul mercato internazionale, gli viene semplicemente fornita dalla Banca d’Italia.
fonte: http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2016/09/09/debito-target2-il-record-italiano-non-vuol-dire-che-siamo-tornati-nel-2012/?uuid=OuSuiodI
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