Come la scuola rafforza le diseguaglianze

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Una risposta

  1. Paolo Di Remigio ha detto:

    Un articolo costruito su principi assurdi, che usa come concetto fondamentale l'”uguaglianza”, senza un minimo di critica, anzi con un irriflesso rigetto sentimentale. Eppure è chiaro che gli individui sono naturalmente disuguali, sia sotto il profilo degli interessi che di quello delle capacità. Ancora più chiaro è che la scuola NON serve ad eliminare la disuguaglianza, serve anzi a SVILUPPARLA. Un piccolo esempio: molti personaggi geniali hanno avuto fratelli che hanno frequentato la stessa scuola; prima di entrarvi erano ugualmente ignoranti, finita la scuola gli uni sono diventati geniali gli altri sono diventati persone normali. La scuola ha dunque moltiplicato una disuguaglianza dapprima irrilevante. Se non lo avesse fatto sarebbe stata una scuola che lascia gli individui ignoranti come li trova, una scuola inutile. Tutto ciò implica che la disuguaglianza abbia in sé qualcosa di positivo, che la scuola deve riconoscere e sviluppare. Certo, la disuguaglianza non è soltanto qualcosa di positivo: le si legano l’ammirazione per chi è superiore e il disprezzo per chi è inferiore. Ma innanzitutto esistono una giusta ammirazione e un giusto disprezzo, che si dirigono NON ai tipi di lavoro, ma a come sono stati svolti: chi non ammira il lavoro, qualunque lavoro, ben fatto? Chi non disprezza l’inettitudine a qualunque livello? In secondo luogo il processo per cui non il lavoro, ma il capitale diventa fondamento della società, e questo è adorato quello è disprezzato, nasce dalla rinuncia dello Stato alla politica di piena occupazione; QUESTA rinuncia, non la disuguaglianza degli esiti e degli orientamenti scolastici, provoca quell’eccesso di offerta di lavoro che lo svaluta e lo precarizza, quell’inferiorità del lavoro in generale che offende il senso di giustizia. Parlare di uguaglianza e riferirla, anziché alle politiche neoliberali, all’essenza della scuola, è un’operazione francamente ridicola.

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