Novembre 2011. Tutti sapevano dell’invasione imminente e pure di Monti
di SINISTRA IN RETE (Dante Barontini)
Quando è avvenuta la resa formale dello Stato Repubblicano nato dalla Resistenza al potere dei mercati?
La data più importante, per quanto riguarda l’autonomia di bilancio e molte delle conseguenze che ne discendono, è certo il 1992, quando vengono sottoscritti – probabilmente senza neanche capirli fino in fondo, da parte del governo italiano d’allora, strizzato tra Tangentopoli e le stragi mafiose collaterali alla “trattativa” – i trattati di Maastricht. E certo fa oggi riflettere quella miserevole classe politica stretta tra due trattative in cui fa la parte del vaso di coccio orientata com’è – in entrambi i casi – da “prestigiosi esponenti delle istituzioni” che collaborano attivamente con “il nemico”. A Palermo come a Bruxelles…
Ma la data della resa formale, quella in cui “la politica” getta la spugna e accetta consapevolmente – e per sempre – la primazia dei “mercati” incarnata dalle scelte dell’Unione Europea, è certamente il novembre 2011, quando nel giro di pochi giorni lo scettro del comando passa d’autorità nelle mani di Mario Monti, ex Commissario Ue frettolosamente nominato da Napolitano senatore a vita (9 novembre) per dare una parvenza di “gesto istituzionale” alla già programmata investitura come premier (16 novembre).
Allora, mentre i turlupinati seguaci del centrosinistra festeggiavano sotto il Quirinale, inquadrammo quella svolta come l’invasione, guardando soprattutto alle scene da “paese conquistato” che si svolgevano in Parlamento, con “‘ commissari ‘ [europei, ndr] che bloccano la presentazione in aula del maxi-emendamento, per controllare fino all’ultimo istante che contenga soltanto quello che loro avevano deciso “.
N on molti, lì per lì, furono altrettanto consapevoli. E dire che persino all’interno di settori importanti della vecchia scuola socialdemocratica c’era chi aveva studiato e capito per tempo quello che si stava preparando, addirittura mesi prima che “l’invasione” venisse realizzata.
Pubblichiamo dunque questo articolo apparso su una delle tante riviste della Cgil, a firma di Rodolfo Ricci, perché dà la misura di quanto si andava discutendo nei corridoi di Corso Italia, quindi anche della preoccupazione con cui si assisteva alla deriva ultraliberista del Pd (e Renzi non era ancora all’orizzonte!, si parlava de ” Il progetto lettiano, casinian-finiano, [che, ndr] si traduce nel governo tecnico direttamente gestito dai mercati”), impersonificata in quel momento da Enrico “stai sereno” Letta.
Articolo importante anche per la data di pubblicazione, addirittura precedente quella “lettera della Bce”, firmata dal subentrante Draghi e dall’uscente Trichet, in cui di esplicitava il “piano di riforme” che i governi successivi hanno cominciato a realizzare, senza peraltro aver ancora completato l’opera infame (per riuscirci al meglio serve l’approvazione della “riforma costituzionale” Renzi-Boschi).
Preoccupazione e consapevolezza che il vertice della Cgil – sì, c’era già la Camusso sulla sedia piùà importante – si guardava bene dall’esprimere in pubblico, presa com’era dallo spalleggiamento dello stesso Pd in funzione antiberlusconiana.
Il programnma del Pd bersaniano e lettiano, prima ancora della “lettera della Bce”, era già perfettamente in linea con quelli che poi avremmo chiamato diktat. Leggere per credere:
tra gli emendamenti del PD, ve ne era uno, decisivo, che mirava allo smembramento della SNAM rete gas dall’ENI, e la messa sul mercato quindi, della parte più redditizia della multinazionale energetica a partecipazione pubblica; lo stesso emendamento conteneva la proposta di mettere sul mercato tutte le quote eccedenti il 20% di proprietà pubblica di ENI, Enel, Poste, Ferrovie e Finmeccanica e di privatizzare totalmente le circa 20.000 imprese partecipate degli enti locali (regioni, provincie, comuni, ecc.), secondo la visione salvifica della crisi del debito italiano, offerta da Enrico Letta, nella sua intervista a La Repubblica dell’11 luglio.
Questa proposta è pienamente condivisa da Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini, che la aveva già fatta intravedere in un suo intervento di poco più di un mese fa (“stiamo lavorando ad un grande piano per la salvezza dell’Italia”) e pare corrispondere anche agli intendimenti di D’Alema, che di privatizzazioni se ne intende. Non è invece condiviso da Fassina, responsabile economico del PD, le cui posizioni sono tuttavia messe in sordina dall’apparato mediatico e praticamente ininfluenti.
Altrettanto lucida e perfettamente consapevole appare la disamina dell’offensiva mediatica contro “la casta”, come delegittimazione definitiva di ogni personale politico legittimato da elezioni e invocazione di una gestione tecnocratica presentata ovviamente come “neutrale”:
La nuova e giustificata attenzione alla casta sottoposta a un pubblico processo, analogamente a quanto avvenne agli inizi degli anni ’90, mette in secondo piano (anzi nasconde completamente), i reali obiettivi che ci sono dietro: si tratta del governo tecnico di salvezza nazionale a guida di primari esponenti del mondo finanziario (per esempio, Mario Monti) che dovrebbe succedere a quello di un Berlusconi in pieno disfacimento, ai quali, chissà perchè, viene riconosciuta una superiorità antropologica ed etica rispetto agli esponenti politici.
Persino il nome di Mario Monti – a luglio, non a novembre… – era già sul tavolo. Tutti sapevano, nei palazzi che contavano qualcosa.
E tutti hanno lasciato fare.
Anche se sapevano benissimo quale inutile massacro sociale questa “svolta” avrebbe prodotto:
Che questa ipotesi di salvezza nazionale sia destinata al fallimento in partenza è dimostrato dal fatto che ogni politica di privatizzazione adottata degli ultimi 20 anni non ha portato alcun beneficio, se non provvisorio, alla riduzione del debito che anzi, a partire da queste scelte, è sempre aumentato. Ogni grande privatizzazione si è tradotta e si tradurrà concretamente solo in un trasferimento di enormi valori alla dinamica speculativa della finanza mondiale.
Se ne può trarre qualche conclusione sulla presunta “dialettica politica” in questo paese? A noi sembra proprio di sì….
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