Frank Hahn nel 1992: "con la moneta unica avremo più disoccupati"
Brano estratto da una intervista di Mario Pirani a Frank Hahn del 1992, pubblicata su “La Repubblica”
“Ho tenuto qualche tempo fa una lezione alla Banca d’ Italia dove ho spiegato, dal punto di vista teorico, perché l’ Unione monetaria va contro quasi tutto quello che sappiamo di economia. C’ è una teoria dell’ area monetaria ottimale in cui si dice che la mobilità dei fattori della produzione è cruciale per il raggiungimento degli equilibri, anche se per un keynesiano questa teoria non tiene abbastanza conto di quella che egli considera la variabile centrale: il livello del reddito e, quindi, dell’ occupazione.
Ora la mobilità del lavoro è abbastanza elevata tra Inghilterra e Scozia, ma non altrettanto in Europa, per differenze culturali, di lingua, di costumi sociali e, quindi, fissare i tassi di cambio non è una buona idea.
“Tra l’ altro, ho ricordato che la prima tesi contraria ai cambi fissi fu avanzata proprio da Keynes e si basava sulla difficoltà di riduzione dei salari e, quindi, del livello dei prezzi in un paese, se lo richiede la bilancia dei pagamenti.
Tale difficoltà trasferisce allora il ruolo equilibratore, dal livello dei prezzi, al livello del reddito e dell’ occupazione (in altri termini, quando l’ industria di un paese non è più competitiva si produce uno squilibrio tra importazioni e esportazioni che si riflette sulla bilancia dei pagamenti: per farla tornare in equilibrio il costo di produzione industriale dovrebbe diminuire, grazie a una riduzione dei salari, ma questo è praticamente difficile, se non impossibile, a causa delle resistenze sindacali e politiche, per cui la via scelta è quella di diminuire l’ occupazione e, per questo mezzo, realizzare l’ equilibrio perduto, ndr).
Con l’ Unione monetaria, invece delle fluttuazioni del cambio si avranno fluttuazioni nel tasso di disoccupazione”.
D. Trasferimenti da uno Stato all’altro Perché, allora, l’altra grande area economica mondiale, gli Stati Uniti, che sono storicamente una Confederazione di Stati, hanno una moneta unica e un tasso di disoccupazione più basso dell’Europa?
R. “Negli Stati Uniti trasferimenti delle persone da uno Stato all’altro o da una regione all’altra sono ingenti.
Non credo che gli europei siano disposti ad effettuare migrazioni sufficienti ad alleviare la disoccupazione”.
D. Peraltro non crede che i cambi fissi abbiano il vantaggio di assicurare certezza negli scambi internazionali?
R. “L’argomentazione più comune contro l’adozione di cambi flessibili è, appunto, che essi creano incertezza ma io credo il contrario.
Questo in quanto i mercati valutari sono molto sviluppati; perché ci sono i mercati a termine e ci si può coprire contro i rischi di cambio.
Di contro, come ho detto, i cambi fissi sostituiscono le fluttuazioni del cambio con quelle dell’ occupazione. Il vero motivo per sostenere i cambi fissi è, in effetti, il controllo della classe lavoratrice.
Infatti, fintanto che i governi non creano un meccanismo che leghi loro le mani, non è possibile contenere l’ inflazione salariale.
Credo che i sostenitori del cambio fisso vogliano introdurlo solamente per la paura dell’inflazione e, poichè di questi tempi siamo nelle mani dei banchieri centrali, per i quali il grande nemico è l’inflazione più che la disoccupazione, questa scelta si spiega.
In Gran Bretagna qualcosa tra il 2% e il 4% del prodotto interno è stato sacrificato per combattere l’inflazione. A mio avviso il prezzo da pagare è troppo alto anche se i banchieri centrali non la pensano così e il Cancelliere dello Scacchiere è del loro avviso.
Con i cambi fissi pagheremmo questo prezzo fino in fondo”.
D. Lei, dunque, non teme che l’inflazione sia un pericolo e che, come ha scritto recentemente l’Economist in un articolo che ha fatto discutere, l’unico tasso d’inflazione desiderabile sia zero?
R. “Io temo l’inflazione molto meno di tanti altri: temo molto l’inflazione in fase di accelerazione ma non l’ inflazione di per sé.
L’Economist sottostima l’intelligenza della gente. Gli operatori possono imparare quali sono le variazioni dei prezzi relativi sia con un inflazione al 3% che allo 0%. Non scaturisce niente di speciale da un inflazione a tasso zero: la cosa importante è che l’ inflazione sia costante.
Molti studiosi sono d’ accordo nel dire che l’inflazione pienamente prevista non comporta costi. La gente non vuole l’inflazione quando è inattesa, basta pensare all’ effetto di quest’ultima sul reddito di un pensionato. Tuttavia non dobbiamo nasconderci che in questo ragionamento resta una questione irrisolta e, cioè, come mantenere l’ inflazione costante.
D. Questo è un vero problema”. Come lo affronta? Con la politica dei redditi?
“Io penso che ci sia un tasso d’ inflazione naturale, in quanto molti aggiustamenti che si producono nel mercato avvengono in presenza di prezzi crescenti.
Anche i comportamenti cooperativi tra le parti sociali si realizzano con prezzi crescenti e l’inflazione in questo caso diventa quasi un lubrificante delle relazioni sociali, aiuta a trovare l’ accordo.
Del resto tra il 1945 e gli anni Sessanta c’era un’ inflazione al 2,5 per cento e la disoccupazione all’1,5 per cento e nessuno si preoccupava”.
D. Burocrati e politici corrotti Per quanto tempo prevede si prolungherà l’ attuale situazione di prolungata stagnazione? Se le prescrizioni keynesiane sono inapplicabili quale politica economica potrà riempire questo vuoto?
R. “Non credo che ci sarà una stagnazione. I meccanismi riequilibratori – sia politici che economici – sono potenti.
In Gran Bretagna la recessione è stata indotta dal governo che ha voluto ridurre l’inflazione e se ci dovesse essere veramente una stagnazione politici e banchieri centrali ne sarebbero responsabili.
Peraltro, dall’87, la politica economica in Inghilterra come negli Stati Uniti è diventata più espansiva.
Quanto alle politiche keynesiane non credo che siano state un fallimento, tanto che ora il governo conservatore le sta usando.
Dobbiamo ricordarci, però, che esse sono state formulate per periodi di alta disoccupazione e non per situazioni abbastanza vicine alla piena occupazione.
La gente è portata a concludere che esse hanno fatto fiasco solo perché oggi non ce n’ è bisogno, ma se diventasse opportuno mettere in atto quelle ricette, allora potremmo utilizzare tutte le conoscenze che abbiamo acquisito, da Keynes in poi”.
D. Perché è contrario a una Banca centrale europea indipendente?
R. “I lati positivi di una banca centrale indipendente sono evidenti.
Essa, però, fa, comunque, parte delle istituzioni politiche e sociali di un paese e coloro che la dirigono non saranno totalmente impolitici e terranno ben presenti gli interessi delle loro stesse economie: ad esempio la Bundesbank finì per seguire Kohl al momento della riunificazione.
Ma non c’ è all’ orizzonte un governo federale europeo e non si capisce perché si debba avere una banca centrale sovranazionale: è difficile pensare a una istituzione politicamente più destabilizzante”.
D. Resta, comunque, il fatto che il Regno Unito, malgrado le difficoltà che inizialmente frappone ad ogni passo dell’ integrazione europea e alle eccezioni che oppone alla piena attuazione delle istituzioni comunitarie, in un secondo momento finisce in genere per accettarle. Come spiega questo atteggiamento?
R. “Il motivo principale per cui la Gran Bretagna è riluttante a far parte dell’ Europa è che una larga maggioranza della popolazione è contraria a questa idea per vari motivi. In primo luogo una certa xenofobia di vecchia data e la convinzione che l’ Europa significhi burocrati e politici corrotti.
Gli inglesi, invece, sono molto fieri, e a ben ragione, delle loro istituzioni politiche e non vogliono perderle.
Il motivo per cui alla fine cedono sta nel timore di rimanere isolati, soprattutto dal punto di vista economico.
Una Europa unita piace molto ai politici, ed è un bene per loro, ma non per tutti noi. Io vedo il futuro dei popoli in piccole unità che si autodeterminano il più possibile: un enorme Stato europeo, controllato da Bruxelles è una prospettiva che mi fa paura”.
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