Perché alla Germania conviene ridurre il surplus
da IL SOLE 24ORE (Vito Lops)
Sul punto che la Germania violi da anni le regole europee sul surplus non ci piove. Anche se è un concetto più complicato da far passare (più complicato certo rispetto al debito pubblico) ormai – benché forse siano passati tre anni dalle prime informazioni in merito e da quando anche gli Stati Uniti hanno sollevato il problema- il punto è entrato nel dibattito politico.
In attesa di conoscere se anche il governatore della Bce Mario Draghi lo affronterà domani, quando è atteso al Bundestag, può essere utile ricordare che esportare troppo (e oltre il consentito) non solo danneggia gli equilibri già precari dell’Eurozona, ma danneggia la stessa Germania.
Per capirlo bisogna fare un piccolo passo indietro e ripescare il concetto che in macroeconomia è conosciuto come equilibrio dei saldi settoriali. Teorizzato dall’economista britannico Wynne Godley (in questo senso un apripista dato che nel lontano 1992 disse che senza una politica fiscale comune ci sarebbero stati problemi tra i firmatari del trattato di Maastricht) questo principio indica che la somma dei saldi tra i tre macrosettori economici di uno Stato (saldo pubblico, ovvero la differenza tra spese e tasse, saldo privato, ovvero la differenza tra risparmi e investimenti, e saldo estero, ovvero la differenza tra esportazioni e importazioni) è uguale a 0.
Considerando che i Paesi dell’area euro hanno aderito al principio del pareggio di bilancio (in Italia è persino entrato a far parte della Costituzione nel 2012 nel novellato articolo 81) e che quindi il saldo pubblico deve essere per definizione nullo (la Germania rispetta a pieno questo parametro vantandosi appunto del raggiungimento del pareggio di bilancio) l’equazione dei saldi settoriali si può ridurre a: saldo privato + saldo estero = 0.
Se spostiamo il saldo estero dall’altra parte la formula diventa: saldo privato = saldo estero. Ovvero che la differenza tra risparmio privato (S dall’inglese saving) e investimenti privati (I) coincide con la differenza tra esportazioni (E) e importazioni (M). Da cui si arriva alla formula: S-I = X-M.
Bene, questa formula ci dice anche che un Paese che ha una X (esportazioni) molto più grande di M (importazioni) deve avere necessariamente degli investimenti (I) molto più bassi dei risparmi (S). Ergo: un Paese che esporta troppo non può algebricamente azionare in modo massiccio la leva degli investimenti.
Questa formula spiega in termini tecnici quello di cui viene accusata oggi la Germania, ovvero di esportare troppo e di investire poco per rinnovare strade, scuole, infrastrutture nel proprio territorio. Questa formula ci dice però anche che il saldo degli investimenti in Germania negli ultimi anni non è frutto solo di una scelta politica ma innegabilmente collegato alla strategia di concentrare lo sviluppo economico sulle esportazioni, che da più di 8 anni violano quanto previsto dalle regole europee sugli squilibri macroeconomici in base alle quali un Paese non può avere un saldo delle partite correnti, nella media a tre anni, superiore al 6% del Pil. In Germania siamo all’8,8 per cento.
Nel 1945 il Fondo monetario internazionale è nato con l’obiettivo (scritto nel suo Statuto) di regolare gli squilibri macroeconomici tra Paesi. Un obiettivo definito in modo chiaro subito dopo la Seconda Guerra mondiale proprio perché gli squilibri commerciali tra i Paesi sono stati in passato spesso uno dei fattori che hanno contribuito ad alimentare tensione e conflitti.
E forse anche per questo a distanza di oltre 70 anni il Fmi ha nel 2013 bacchettato le eccessive esportazioni tedesche, sollecitando a più riprese il Paese a investire di più. Come visto, la Germania non può avere la “botte piena e la moglie ubriaca”. Se deve investire di più deve necessariamente ridurre il surplus. Agendo in tale direzione – e normalizzando gli enormi squilibri macroeconomici all’interno dell’Eurozona evidenziati dai saldi Target 2 secondo cui la Germania oggi vanta un credito di oltre 600 miliardi nei confronti del sistema di pagamenti europeo a fronte di un debito di quasi 300 dell’Italia – la Germania farebbe un favore per prima a se stessa e ai suoi cittadini.
«Una scarsa propensione agli investimenti in manutenzione e sviluppo delle infrastrutture è in gran parte dovuta a una concezione, a mio avviso, errata delle politiche di gestione del bilancio statale, che sembrano idealizzare una soluzione di bilancio in pareggio. Nella situazione attuale, seguita alla crisi globale del 2008, caratterizzata da una grave mancanza nella domanda aggregata rispetto ad un eccesso di risparmio a livello globale, è cruciale che lo Stato intervenga invece a sostegno della spesa ed un deficit di bilancio è utile a mantenere l’equilibrio economico e prevenire la deflazione – spiega Chen Zhao, co-director of global macro research di Brandywine Global (gruppo Legg Mason) -. La mancanza cronica di investimenti a lungo termine ed il deterioramento delle infrastrutture pubbliche che ne consegue rappresenta in realtà un’opportunità per i governi per impiegare capitale in maniera produttiva nella ricostruzione».
«Purtroppo, al contrario, molti Paesi – Germania inclusa – non stanno andando in questa direzione, sprecando così un’interessante opportunità di investimento e rilancio – conclude Zhao. Il fatto che il governo tedesco supporti un surplus fiscale in un momento in cui i bond offrono rendimenti negativi è assurdo, a mio avviso; infatti, non è solo controproducente per la ripresa economica e per la battaglia anti-deflazione dell’economia tedesca e dell’Eurozona, ma è anche una grande occasione d’investimento perduta, che potrebbe rendere invece la Germania ancora più competitiva in futuro».
A parere di Alessandro Picchioni, presidente e direttore investimenti di WoodPecker Capital «The sick man of Europe is Germany again. Sembra una provocazione ma non lo è, forse non è la malata d’Europa ma è la portatrice sana di una malattia che sta minando l’Unione e la stabilità della moneta unica. Il surplus commerciale tedesco verso il resto della Comunità Europea eccede costantemente i parametri da anni. Keynes diceva che l’equilibrio di un gruppo di nazioni in un regime di moneta unica è incompatibile con un surplus commerciale strutturale di una singola nazione verso le altre. Il monito vecchio di 80 anni rimane inascoltato, così come lo sono i recenti appelli della Bce».
« Il mercantilismo – prosegue Picchioni – è un’idea fondante della Germania post-1945, il commercio estero rappresenta la cornice nella quale inquadrare la sua presenza nel mondo ed in questo momento, dopo 17 anni di moneta comune, è all’origine di molti dei mali europei, a partire dalla deflazione per arrivare alle politiche di austerity che molti Paesi sono costretti ad adottare. Dalla riunificazione, la Germania ha approfittato del debito creato da alcuni Paesi come una forma di “vendor financing” per incrementarvi le esportazioni, ha poi dato il via alla compressione salariale ed alla delocalizzazione selvaggia nell’Europa dell’est. Il surplus commerciale è il frutto di un progetto pluriennale sul quale si fonda la politica tedesca. Adottato come strategia all’interno di una comunità di nazioni che condividono la stessa moneta, ha un effetto di alterazione dell’equilibrio tra le stesse nazioni e rende la moneta unica l’epicentro della propagazione degli squilibri».
«Al momento il surplus tedesco è addirittura fuori da qualsiasi agenda politica comunitaria e viene derubricato come un problema minore, del resto molti dei Paesi europei, sotto il giogo del debito, non hanno la forza necessaria a determinare le priorità dell’agenda dell’Unione. Keynes diceva che nazioni debitrici e creditrici sono co-responsabili dei disavanzi commerciali permanenti e che la colpa ricade su entrambi, mentre al momento in Europa qualsiasi colpa ricade esclusivamente sui Paesi debitori. In assenza di un riequilibrio dato da politiche fiscali accomodanti e da trasferimenti netti di ricchezza da un Paese all’altro (l’unione fiscale), i persistenti squilibri macroeconomici stanno minando la tenuta politica all’interno dei Paesi membri».
«Ed anche la Germania, ottusamente immersa nella sua “weltanshauung”, è attraversata da venti di protesta simili a quelli del resto d’Europa, non dettati esclusivamente dalla xenofobia ma che hanno radici profonde anche e soprattutto nell’insoddisfazione crescente di una classe media impoverita e, soprattutto, che ha la sensazione di un peggioramento nella fornitura dei servizi statali. Uno degli effetti collaterali del “surplus a tutti i costi” è infatti il contenimento degli investimenti pubblici».
Insomma la Germania si sta comportando come una famiglia che accumula risparmio a più non posso e che non spende mai per l’abbellimento della propria casa. Non spende persino quando sui muri si iniziano a intravedere delle crepe.
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