Ecco le differenze tra l’emigrazione italiana e l’attuale invasione
di AZIONE CULTURALE (Pietro Ciapponi)
Dalla caduta della Libia di Gheddafi nel 2011 ad oggi, l’Italia ha subito un perenne flusso migratorio in costante aumento. Questo tipo di immigrazione ha messo a dura prova le finanze dello Stato e la pazienza degli italiani, al punto da far sorgere veri e propri movimenti con l’obbiettivo della chiusura delle frontiere.
C’è chi però non trova in tutto ciò un problema ma, al contrario, si ostina a supportare le politiche dell’accoglienza. Cavallo di battaglia di questa corrente di pensiero è una tiritera che ormai si ripete da un quindicennio buono: poiché lo scorso secolo molti italiani migrarono verso l’estero, ora l’Italia avrebbe il dovere di accogliere tutti coloro che hanno intenzione di trasferirsi, o anche solo transitare, nel Bel Paese. Quel “siamo stati un popolo di migranti” ormai stampato come slogan perpetuo, per intenderci.
Mai uscita fu più errata, ovviamente: l’emigrazione italiana ha ben poco a che vedere con questo esodo migratorio che si sta abbattendo sull’intera penisola e sull’Europa in generale. Il fenomeno della prima grande emigrazione italiana è da inquadrare, infatti, tra il XIX e il XX secolo e le mete privilegiate dagli italiani erano Argentina, Stati Uniti e Brasile, alle quali si aggiunsero nel XX secolo le colonie patrie.
Il Paese allora era una nazione governata malamente da una classe politica inadatta e parassitaria, dove l’industrializzazione che si stava sviluppando in tutta l’Europa del centro-nord tardava ad arrivare, mentre i Paesi dove i nostri bisnonni e antenati migrarono erano luoghi scarsamente popolati, e nei quali la richiesta di manodopera e di “nuovi cittadini” era funzionale – per non dire vitale – alla nascita della nuova società che si stava creando e alla sua prosperità economica. Gli italiani emigrati, inoltre, non ricevevano nessun tipo di aiuto dagli Stati che li “accoglievano”, ma al contrario avevano l’obbligo ed il dovere di rimboccarsi le maniche e lavorare.
La seconda grande ondata migratoria, quella della seconda metà del XX secolo, si distingue dalla precedente per un cambio di destinazione: non più il Nord America ma la vecchia Europa, rappresentata da Francia, Belgio, Svizzera e Germania. Questo anche a causa di un deciso cambiamento delle politiche migratorie statunitensi, non più orientate ad accogliere chiunque ma a “selezionare” prevalentemente popoli di origine nord-europea.
Tornando all’emigrazione “europea” degli italiani, sebbene i paesi di cui sopra all’epoca fossero già sviluppati e con un’ economia ben strutturata, c’è da precisare un aspetto: le aziende tedesche e francesi erano alla ricerca di manodopera per massimizzare le loro opere nel campo minerario e nell’ industria pesante. C’era, tra l’altro, una grossa ondata “di ritorno” in quanto, spesso e volentieri, finiti i lavori i “nostri” tornavano in patria.
Se confrontiamo questi fenomeni storici con i dati e le statistiche dell’attuale invasione che l’Italia e l’Europa stanno subendo, viene fuori un quadro ben diverso. Secondo i numeri del Quirinale, tra gli 87.974 immigrati giunti nel nostro Paese, senza bypassare i controlli delle autorità, solo un totale di 1950 arriva da Siria, Somalia ed Eritrea, ossia dalle zone considerate di guerra.
Quest’ultimi sicuramente hanno diritto d’asilo politico, ma il quadro complessivo ci mostra come i primi sei paesi di provenienza dei ‘migranti’ (nell’anno 2015) sono: Nigeria, Pakistan, Gambia, Senegal, Bangladesh e Mali, con rispettivamente 18.174, 10.403, 8.022, 6.386, 6.056 e 5.455 arrivi. Al contrario di quanto propinato dai media nessuno di questi Paesi è stato recentemente in stato di guerra, ad eccezion fatta per il governo del Mali che ha siglato la pace con la fazione ribelle del paese nel 2013.
Come se non bastasse, anche i dati dell’Economist riguardanti il sesso dei migranti arrivati nel 2015 affermano che il 90% è maschio, un elemento che ci fa dedurre che la scusa della guerra non regge. Abbastanza sorprendente poi, e vero dito nelle piaga, sono i dati di crescita del PIL di questi Paesi: il Gambia ad esempio, all’anno 2013, era in crescita del 6,4%, seguito da Nigeria con 6,2%, Bangladesh 5,4%, Mali 4,8%, Senegal 4% e Pakistan 3,6%. Se si pensa che l’Italia nel medesimo anno era in perdita del 1,8%, la questione diviene come minimo paradossale.
Il fenomeno migratorio non è quindi legato a fatti bellici, ma a motivazioni di convenienza economiche, seppur i paesi più poveri come Malawi, Togo o Sierra Leone non entrino nemmeno nelle statistiche del Quirinale. Si può quindi nettamente affermare che l’emigrazione italiana fu un fenomeno migratorio completamente diverso da quello che sta subendo l’Europa negli ultimi anni.
Comparando le due grandi emigrazioni italiane all’apocalittico flusso migratorio odierno si può evincere, pensando alla prima, che i nostri antenati affluirono in paesi semidisabitati (cosa che di certo non si può dire dell’attuale Europa), e con delle condizioni economicamente ed industrialmente disagiate in patria: nessuno può sostenere che i Paesi africani vivano un’era di splendore, sia chiaro, ma scoprire di avere a che fare con delle aree addirittura in crescita rende tutto il quadro ancora più incredibile.
Pensando invece alla seconda, i nostri concittadini fluirono in paesi che richiedevano un certo quantitativo di manodopera per far decollare la propria economia, una cosa che sicuramente non si può sostenere per l’Italia di oggi, visto anche il semplice tasso di disoccupazione: al contrario si può ricordare per l’ennesima volta come vengano calpestati i diritti dei lavoratori italiani, sostituiti marxianamente dal famoso esercito industriale di riserva.
A questo punto ci sentiamo di consigliare a Boldrini e seguaci radical-chic di piantarla, un giorno magari remoto, di utilizzare il “biblico” “anche noi siamo stati un popolo di migranti” e di aprire gli occhi sulla portata dell’ invasione e sul suo sostegno totalmente ingiustificato.
Fonte:http://www.azioneculturale.eu/2016/09/le-differenze-lemigrazione-italiana-lattuale-invasione/
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