Con la Svizzera per uno Stato vero, contro le menzogne liberal e l’assedio global
di AZIONE CULTURALE (Stelio Fergola)
Con l’approvazione di Prima i nostri, il Canton Ticino, regione confinante della Svizzera italiana, ha votato per un referendum di iniziativa popolare a favore di una legge che dia la precedenza ai lavoratori residenti nel paese nell’assegnazione di qualsiasi impiego.
Inutile dire che l’approccio utilizzato dagli elvetici rappresenta quell’idea di Stato, ormai completamente sotto assedio, che dovrebbe interessarsi della propria comunità in via esclusiva e prioritaria, pena le sua stessa esistenza, otre che utilità.
Ovviamente, c’è poco da cantare vittoria: la piccola Svizzera, pur non essendo parte dell’Unione Europea, è a tutti gli effetti imbrigliata in vari modi nel complicatissimo e ingerente sistema occidentale, quel mondo economico liberista e americanocentrico che con vari strumenti (NATO, FMI, ONU e, in misura non minore, Bruxelles) soffoca la libertà di gran parte dei Paesi che ne fanno parte.
Non è la prima volta che da sponda elvetica si votano proposte del genere, ma senza successo: nel 2014 un’atra “iniziativa” (così vengono chiamate le richieste di modifica costituzionale concesse una tantum alla popolazione) denominata Contro l’immigrazione di massa era stata approvata senza esito positivo, scontrandosi con l’accordo del 2002 che Berna, pur non essendo membro dell’Unione, aveva sottoscritto impegnandosi sulla libera circolazione dei lavoratori.
Il mondo liberal – anche svizzero – ha ovviamente reagito a suo modo contro Prima i nostri con quell’approccio intriso di pseudoscientismo che tradizionalmente lo contraddistingue. Secondo l’IRE (Istituto di Ricerca Economica dell’Università della Svizzera italiana) i lavoratori italiani verrebbero assunti in settori in cui i residenti non dimostrerebbero pari competenze: sanitario ed alberghiero. Coincidenza abbastanza strana, queste “competenze inferiori rispetto agli stranieri” “coincidono” anche con un livello degli stipendi più alto, considerando che gli italiani vengono pagati, mediamente, di meno nel loro Paese di origine (vi ricorda qualcosa?).
Dobbiamo dedurre che, quando le cattivissime frontiere erano in piedi a pieno regime anche per la povera Svizzera, nessun elvetico potesse dimostrarsi in grado di lavorare in un albergo o in un’ospedale, e che la stessa efficienza delle strutture del Paese sia stranamente peggiorata non appena la libera circolazione ha preso piede.
n realtà, la protesta del Canton Ticino è nata per varie ragioni, di cui due fondamentali: la prima è che l’ingresso di lavoratori stranieri abbassa (come sempre) il costo del lavoro, e la concorrenza nei settori in cui “gli svizzeri sono poco competitivi” ha naturalmente privilegiato i lavoratori italiani transfrontalieri, provenienti da un Paese che, guarda un po’ che caso, ha un reddito pro capite molto più basso della Svizzera. È abbastanza immediato dedurre che, per un italiano, uno stipendio basso elvetico sia comunque un bel miglioramento, a tutto danno del cittadino svizzero e del proprio potere d’acquisto, per non parlare dello sfruttamento che, in questi casi, finisce con il coinvolgere tanto il residente che l’immigrato nel lungo periodo.
La seconda ragione è che inconsciamente i ticinesi si sono schierati, in modo assolutamente legittimo, anche contro una presunta (e non suffragata da nessun dato oggettivo, ma solo da un’opinione espressa in massa da aziende con conflitti d’interesse ben visibili sugli stipendi) impreparazione dei lavoratori elvetici. Compito di uno Stato dovrebbe essere anche quello di formare i propri cittadini, non colpevoli sempre e comunque solo per il fatto di cercare un lavoro e venire scavalcati da uno stipendio più basso.
Sui social network, le reazioni mentalmente aperte hanno raggiunto il solito grado di estremizzazione. Pur essendoci un parallelismo con il lavoratore straniero che arriva in Italia (e che con uno stipendio più basso fa concorrenza sleale al cittadino italiano, danneggiato esattamente com quello svizzero nella fattispecie di cui sopra), è anche vero che in questo caso i transfrontalieri italiani sono, per la Svizzera, immigrati assolutamente regolari con un regolare contratto di lavoro, situazione che è assolutamente chimerica per gran parte degli immigrati stranieri che arrivano in Italia quasi sempre in modo irregolare.
Ma si tratta di una pura constatazione atta a precisare meglio la situazione, non certo di un elemento che possa far crollare le argomentazioni degli anti-immigrazionisti: Prima i nostri non licenzierebbe tutti coloro che, ad oggi, lavorano negli alberghi elvetici, anche perché sarebbe un’operazione tecnicamente impossibile. Semplicemente agirebbe per ostacolarne l’arrivo futuro e dare precedenza ai nativi e agli autoctoni, come sarebbe giusto che fosse per qualsiasi Stato che abbia veramente a cuore la tutela dei propri membri.
Non ci illudiamo, la Svizzera purtroppo dovrà chinare il capo anche in questo caso. Però la sua battaglia può essere utile in prospettiva, insieme a tante altre che, da qualche anno, stanno dando testimonianza in questa Europa disastrata.
Noi ci permettiamo di sostenerla, pur consapevoli del suo stato attualmente minoritario. È una protesta che ben evidenzia i limiti spaventosi dell’architettura di Bruxelles, la sua mancanza di sensibilità non solo per valori importanti come quelli della Patria e delle culture nazionali, ma anche per questioni pratiche molto serie che, di fatto, svuotano la macchina statale di qualsiasi significato, incapace com’è di garantire tutela ai propri abitanti, il tutto per assecondare una logica della follia, della miseria economica, della distruzione reciproca e delle tensioni etniche.
Fonte:http://www.azioneculturale.eu/2016/09/la-svizzera-uno-vero-le-menzogne-liberal-lassedio-global/
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