Christine Lagarde: far funzionare la globalizzazione per tutti
Traduzione di FEDERICO MONEGAGLIA (FSI Trento)
È un discorso significativo, su cui riflettere attentamente, quello pronunciato dal direttore del Fondo Monetario Internazionale (https://www.imf.org/en/News/Articles/2016/09/13/sp09132016-Making-Globalization-Work-for-All) e tradotto qui di seguito. Una scelta di parole a effetto (“integrazione”, “apertura”, “accoglienza”) che, in una versione squisitamente ordoliberista della “pappa del cuore romantico” hegeliana, ripropone l’elogio del libero mercato e della competizione nel nome del progresso. I loro limiti sono infatti riconosciuti solo in apparenza, ed espressi sempre e comunque in subalternità ai vantaggi che, si dice, essi hanno apportato in termini di progresso ed “opportunità”; quanto alle soluzioni, invece, per rimediare ai disastri creati dal libero mercato e dal ritiro degli Stati dalla pianificazione economica, si ripropone la formula del “più liberismo” (F.M.).
Far funzionare la globalizzazione per tutti
di Christine Lagarde, Managing director, Fondo Monetario Internazionale
Sylvia Ostry Lecture, Toronto, 13 Settembre 2016
Buongiorno,
grazie per la sua cortese presentazione, John, e grazie a voi, Bill Robson e il C.D. Howe Intitute, per il vostro invito e per aver ospitato oggi questo splendido evento.
Sono grata per l’opportunità di tenere una lezione in onore di Sylvia Ostry, la grande economista e politica canadese e, soprattutto, la donna pioniera che ha fatto irruzione nel mondo chiuso dell’alta finanza – un mondo ancora prevalentemente maschile.
La dottoressa Ostry, che è qui tra i pubblico, ha avuto successo nell’innalzare il livello degli standard, non solo per gli economisti, ma per tutti quelli che credono che il servizio pubblico sia qualcosa di più di un semplice lavoro.
Sylvia, vorrei iniziare il mio commento di oggi con una cosa importante che una volta dicesti: “Abbiamo una sola risorsa, le persone”. Questo messaggio non riflette solo l’impegno del Canada nell’inclusività e apertura, ma cattura anche l’essenza della politica. E, come argomenterò oggi, questi problemi sono strettamente intrecciati.
L’apertura e la cooperazione internazionale sono sempre state parte del DNA canadese. Il vostro paese è stato uno dei maggiori partner del FMI, con un’influenza incredibilmente positiva sulla nostra istituzione e sugli altri stati membri.
La capacità degli stati di elevarsi al di sopra del proprio interesse particolare ha prodotto un progresso economico senza precedenti negli scorsi 70 anni.
I conflitti sono diminuiti, le malattie sono state sradicate, la povertà si è ridotta, e l’aspettativa di vita è cresciuta in tutto il mondo. Parafrasando John Maynard Keynes, uno dei padri fondatori del FMI: “La fratellanza tra uomini è diventata più di un semplice slogan”.
Ma il progresso non è venuto per tutti allo stesso passo. Non c’è dubbio che la trasformazione delle nostre economie ha anche portato a distorsioni e a difficoltà.
Il cambiamento strutturale operato della globalizzazione e dal cambiamento tecnologico ha profondamente influenzato alcuni settori ed industrie—permettendo all’intera società di beneficiarne. Le preoccupazioni sui salari, sul lavoro e le prospettive future sono reali e pressanti per tutti coloro che non sono ben equipaggiati per prosperare in questo nuovo mondo.
Non è la prima volta che siamo posti di fronte a questa sfida. Dai giorni dell’età del bronzo alla rivoluzione industriale e oltre, i nostri antenati hanno avuto a che fare con il diffondersi di nuove tecnologie e la necessità di adattarsi. I dibattiti circa il commercio e l’accesso ai beni stranieri è vecchio quanto la società stessa.
Ma la storia ci racconta chiaramente che chiudere i confini e aumentare il protezionismo non è la via da percorrere. Molti paesi che vi hanno provato hanno infatti fallito. Invece dobbiamo seguire politiche che estendano i benefici dell’apertura e dell’integrazione e nel contempo allevino i loro effetti collaterali. Dobbiamo far sì che la globalizzazione funzioni per tutti. Questo è centro di queste mie osservazioni.
1. Globalizzazione — il bilancio
Lasciatemi cominciare dai benefici dell’integrazione — dal mettere insieme commercio, migrazione, i flussi di capitale e tecnologia. Questa integrazione ha portato benefici tangibili — reali — per la maggior parte delle persone e la maggior parte dei paesi.
Benefici reali
Le economie emergenti e in via di sviluppo sono state le prime beneficiarie dell’apertura economica.
Secondo la Banca Mondiale, il commercio ha aiutato a ridurre della metà la proporzioni della popolazione globale che vive in condizioni di estrema povertà (1990-2010).
La Cina, per esempio, ha visto un crollo enorme del tasso di povertà — dal 36% alla fine degli anni ‘90 al 6% nel 2011 [1]. Un altro esempio è il Vietnam, che — in una sola generazione — è passato dall’essere uno delle nazioni più povere al mondo ad uno stato di reddito medio — il che ha consentito l’incremento di investimenti in salute e in istruzione.
Oggi il Vietnam può essere orgoglioso di collocarsi ben al di sopra dei suoi “colleghi” più ricchi nelle scienze di base, nella matematica e nell’alfabetizzazione. Il suo punteggio totale nell’ultimo sondaggio OCSE dei quindicenni era più alto di quelli di Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti [2].
Ma anche nelle economie avanzate, l’integrazione economica ha innalzato gli standard di vita—a seguito di una più efficiente allocazione dei capitali, dell’aumento di produttività, e di prezzi più bassi per i consumatori. La ricerca sui benefici per i consumatori suggerisce che il commercio ha grossomodo raddoppiato i redditi reali per la famiglia media. E per le famiglie più povere, il commercio ha incrementato i redditi reali per più del 150% [3].
Assieme ai redditi maggiori, sono stati creati milioni di nuovi lavori che tendono a pagare salari relativamente più alti. Negli Stati Uniti, ad esempio, chi lavora in industrie ad esportazione intensiva guadagna un premio forse maggiore del 15% rispetto a chi lavora nelle altre industrie [4].
Nell’Unione Europea, più di 30 milioni di lavori — che significa uno ogni sette — dipendono dall’esportazione verso il resto del mondo. E in Canada, il commercio internazionale costituisce fino ai due terzi del PIL.
Il Canada costituisce anche il primo esempio dei benefici della migrazione. Dando il benvenuto ad un quarto di milione di migranti all’anno — e aprendo le proprie case e i propri cuori ai rifugiati — i Canadesi stanno sostenendo la crescita, ringiovanendo la propria forza lavoro e incrementando la ricchezza e diversità della loro società.
Come disse l’economista e premio Nobel Amartya Sen: l’integrazione economica globale “ha arricchito il mondo scientificamente e culturalmente, e ne hanno beneficiato economicamente anche molte persone”.
Molte persone sarebbero d’accordo — ma c’è dell’altro.
Effetti collaterali reali
Gli eventi storici dei primi anni ‘90, quando Cina, India, e i paesi un tempo comunisti sono entrati nel sistema del commercio globale, hanno avuto effetti ad ampio raggio. Le dimensioni della forza lavoro globale si sono effettivamente raddoppiate, generando pressioni al ribasso sui salari, specialmente per i lavoratori poco qualificati nelle economie avanzate.
Negli Stati Uniti, la competizione dai paesi a basso salario è stata uno dei fattori che hanno contribuito al declino dell’impiego nella manifattura, assieme all’ondata di automazione [5]. E questa non si è distribuita in maniera uniforme sull’intera economia, ma si è concentrata in alcuni mercati del lavoro locali che si sono trovati a far fronte ai profondi e duraturi effetti della competizione d’oltreoceano [6].
Molti hanno anche sottostimato la globalizzazione del capitale. Tra il 1980 ed il 2007, i flussi di capitale globale sono cresciuti più di 25 volte, rispetto ad un’espansione di 8 volte del commercio globale. Questo ha sostenuto investimenti, soprattutto nelle economie emergenti. Ma ha anche aperto la porta al contagio finanziario e pone interrogativi circa la stabilità dei sistemi finanziari.
E infine, le crescenti disuguaglianze nella ricchezza, nel reddito e nelle opportunità, in molti paesi, hanno amplificato un’ondata di malcontento, specialmente nel mondo industrializzato — una sensazione crescente tra alcuni cittadini per cui “essi hanno perso controllo”, che il sistema è in qualche modo contro di loro.
Le istituzioni finanziarie sono percepite come prive di responsabilità nei confronti della società. I sistemi di tassazione permettono alle compagnie multinazionali ed ai ricchi di non pagare quello che molti considererebbero una giusta parte. La corruzione rimane endemica. E c’è la sfida dei flussi migratori incontrollati, che contribuisce alle ansie economiche e culturali.
Queste preoccupazioni devono essere affrontate. Come possiamo mantenere i benefici della globalizzazione e condividerli più ampiamente? Cosa possono fare i governi?
2. Cosa possono fare i governi?
Il primo ordine di problemi per i governi è quello di stabilire un ambiente positivo per la crescita. Questo richiede che siano distribuiti redditi aggiuntivi e spazio per iniziative politiche.
Sfortunatamente, la crescita è stata troppo bassa per troppo tempo: il 2016 si pone come il quinto anno consecutivo in cui la crescita del PIL globale è inferiore al 3.7%, cioè alla media del ventennio antecedente la crisi finanziaria del 2008.
La crescita è stata anche ineguale: nella maggior parte delle economie avanzate, i redditi del 10% più ricco della popolazione sono cresciuti del 40% nell’ultimo ventennio, mentre sono cresciuti in maniera molto modesta per i più poveri [7]. Se dobbiamo costruire un supporto per economie e società aperte, dobbiamo fare meglio.
Come? Sappiamo che solide politiche e riforme macroeconomiche innalzano la produttività e la crescita potenziale. Sappiamo anche che queste politiche e riforme hanno bisogno di essere adattate in modo da raggiungere i migliori risultati possibili.
Per esempio, quando parliamo di sostegno alla domanda, negli anni recenti sono le banche centrali ad aver fatto la gran parte del lavoro. Adesso le politiche fiscali devono avere un ruolo maggiore in paesi che hanno più margine di spesa. Il Canada, infatti, sta battendo la strada innalzando gli investimenti per le infrastrutture e incrementando i trasferimenti alle famiglie con bambini.
Quando si parla di riforme economiche, i politici devono fare la cosa giusta nella giusta sequenza — e devono farlo ora. I paesi dell’Eurozona, ad esempio, possono incrementare la produttività accelerando le riforme strutturali — riducendo le barriere per l’ingresso nel settore dei servizi, inclusi i servizi professionali, e incrementando la ricerca e lo sviluppo.
Ma per massimizzare i benefici di queste riforme strutturali, esse vanno combinate con le giuste politiche monetarie e fiscali — un approccio ramificato a tre. A metà degli anni 90, ad esempio, l’Olanda ha combinato tagli alle tasse sul lavoro con grandi riforme nel mercato del lavoro e dei prodotti — che hanno dato luogo ad un periodo di forte crescita.
E proprio ora, ovviamente, il governo canadese sta percorrendo la stessa strada intraprendendo azioni coraggiose sulla politica fiscale e sulle riforme economiche.
Ho presentato il caso di questo forte approccio politico a tre rami ai nostri membri ed ai leaders nel recente summit G20 — e spero che molti paesi seguano la leadership globale del Primo Ministro Trudeau. Più paesi l’adotteranno, maggiori saranno i reciproci benefici per la crescita.
Più sostegno e maggiore equità
Ma come rendere la crescita più inclusiva e dare la possibilità di beneficiarne ai lavoratori di tutti i settori economici è una domanda che non si presta allo stesso messaggio politico chiaro. E’ una sfida di ordine diverso, perché ha a che fare con gli incentivi economici, ma anche coi fattori sociali, regionali, e spesso etnici e culturali che è difficile superare —e richiedono soluzioni specifiche per i diversi paesi.
Lasciatemi parlare delle politiche economiche coinvolte, senza creare illusioni sulle difficoltà pratiche delle operazioni. Negli scorsi anni ai suoi paesi membri il FMI ha raccomandato combinazioni dei seguenti strumenti politici:
Primo — incrementare il sostegno ai lavoratori poco qualificati. Questo significa maggiori investimenti pubblici nell’istruzione, nella riqualificazione, e nella facilitazione della mobilità occupazionale e nella mobilità geografica.
• Ad esempio, il sistema di apprendistato in Germania è spesso citato come un modello che ha offerto a generazioni di giovani tedeschi un percorso di successo all’interno del lavoro qualificato senza istruzione superiore.
• Allo stesso modo, espandere le collaborazioni di tirocinio occupazionale tra industria e istituti d’istruzione aiuterebbe a riattrezzare la forza lavoro e a sostenere l’occupazione in paesi come il Canada, la Francia e il Regno Unito.
Secondo — rafforzare le reti di sicurezza sociale provvedendo assicurazioni appropriate per la disoccupazione, sussidi per la salute, e pensioni trasferibili — nonché rafforzando politiche le fiscali e sul reddito.
• Gli Stati Uniti, ad esempio, potrebbero ammortizzare gli spostamenti nel mercato del lavoro incrementando il salario minimo federale ed espandendo il credito d’imposta sul reddito percepito.
• Un altro esempio sono i paesi nordici, dove i lavoratori hanno protezione del lavoro soltanto limitata, ma possono beneficiare di generosa assicurazione contro la disoccupazione che richiede che i disoccupati trovino nuovi posti. Questo modello rende il mercato del lavoro più flessibile — che è buono per la crescita—salvaguardando al contempo gli interessi dei lavoratori [8].
Terzo — sostenere l’equità economica per ricostruire la fiducia e fornire sostegno alle riforme.
• Questo significa, ad esempio, affrontare la mancanza di competizione vigorosa in aree chiave. Pensate alle maggiori industrie — dalle banche al settore farmaceutico ai social media—dove alcune economie avanzate vanno incontro a forti incrementi nella concentrazione del mercato [9].
• Sostenere l’equità significa anche dare una stretta all’evasione fiscale e prevenire lo spostamento artificiale dei profitti del business verso posti a tassazione ridotta. Il FMI sta lavorando intensamente su questo problema, spesso in stretta collaborazione con l’OCSE, le Nazioni Unite, e la Banca Mondiale.
Queste misure possono aiutare a creare feedback positivi: una crescita più forte ed inclusiva riduce le disuguaglianze economiche ed aumenta il sostegno per successive riforme ed aperture.
Ma, come ho detto in precedenza, queste politiche non sono sufficienti — a seconda della situazione di ciascun paese, devono essere accompagnate da sforzi per facilitare uguale accesso alle opportunità per mezzo dell’istruzione e della sanità, per ridurre le discriminazioni etniche e di genere, e per incrementare la mobilità, per citarne alcune.
3. Innalzare la competizione globale
Eccomi al mio ultimo punto.
Forse la più importante intuizione politica degli ultimi 70 anni è che paesi e governi possono fare molto per sostenere il benessere economico, ma non possono farlo da soli.
Come disse una volta Martin Luther King, “Siamo intrappolati in un rete di mutualità ineludibile, siamo legati in un singolo tessuto del destino. Qualsiasi cosa tocchi direttamente uno, tocca indirettamente tutti.”
Rinvigorire il commercio
In nessun settore i problemi dell’interdipendenza economica si avvertono maggiormente che nell’area del commercio. Per vent’anni, prima del XXI secolo, il commercio globale è cresciuto del 7%, o due volte il tasso di crescita dell’economia globale. Oggi, tuttavia, la crescita del commercio è più bassa di quella dell’economia globale — di circa il 2% [10].
Inoltre, c’è un crescente rischio di politici che cercano opportunisticamente uno scranno promettendo di “battere i pugni” con i partner del commercio estero attraverso tariffe punitive o altre restrizioni sul commercio.
Tutto ciò mi preoccupa molto—non solo perché sono stata ministro del commercio, ma anche perché il commercio è stato al cuore del mandato del FMI per più di 70 anni.
E per buone ragioni. Un motore commerciale più forte significa industrie più competitive che hanno più incentivi per l’innovazione. Significa che l’innovazione tecnologica viene trasmessa in modo tale da abbassare i prezzi per i consumatori e per le compagnie.
Per illustrare i benefici per i consumatori, un analista ha recentemente confrontato con oggetti di oggi i prodotti elencati nell’edizione del 1971 del catalogo Sears-Roebuck. Ha trovato che quasi tutto nelle sue pagine era fatto negli Stati Uniti e che oggi, tenuto conto dell’inflazione, i prodotti sono significativamente più economici.
Ad esempio, un condizionatore a tre velocità era pubblicizzato a 139.95$, che costerebbe più di 280$ tenuto conto dell’inflazione. Oggi Frigidaire [11] offre un modello con le stesse caratteristiche per 139.99$ [12].
Come risultato, il lavoratore medio americano oggi lavora circa 17 settimane per vivere allo stesso tenore di reddito del lavoratore medio del 1915. Abbiamo visto progressi simili in tutti i Paesi negli ultimi decenni, e questo è dovuto interamente al commercio: espansione e condivisione dei guadagni in welfare economico attraverso migliori tecnologie tra la popolazione globale [13].
Nuovi accordi
Contro questo sfondo, le recenti notizie circa le negoziazioni sul commercio multilaterale sono state abbastanza scoraggianti. Ma credo fermamente che possiamo ricreare la spinta per le riforme del commercio se i benefici sono debitamente spiegati, e se ci diamo da fare in politiche che portino una crescita più equa e forte come ho sottolineato in precedenza.
Bisogna esplorare, inoltre, le nuove questioni sviluppatesi nel XXI secolo—come il commercio nei servizi. Questo commercio vale già 5 trilioni di dollari, due terzi del PIL globale [14]. Tuttavia, il commercio in servizi deve interfacciarsi con barriere molto restrittive—equivalenti a tariffe che vanno dal 30% al 50% [15].
Un metodo per progredire sarebbe quello di spingere per i cosiddetti accordi “plurilaterali” per il commercio — accordi tra un numero di paesi limitato e con la stessa visione, che accettino di lavorare all’interno del quadro del World Trade Organization. Questi accordi sarebbero aperti—agli stessi termini—a tutti i membri del WTO.
Analogamente, c’è spazio per aumentare il commercio in prodotti digitali, ad esempio, ristabilendo libertà dei flussi di dati che aiutarebbero a realizzare il pieno potenziale dell’e-commerce globale.
Conclusioni
Qualcosa come 50 anni or sono, il filosofo canadese Marshall McLuhan descrisse come la tecnologia avesse trasformato il mondo in un “villaggio globale”.
La generazione odierna di leader e politici sarà misurata dalla sua abilità nel creare un villaggio globale a scala umana — un posto dove le persone possono trovare una dimora sicura e prospera per se stesse e i loro figli.
Il FMI – con le sue risorse analitiche e finanziarie — continuerà a spingere e ad aiutare in questa impresa.
L’apertura economica e la collaborazione sono nel nostro DNA. E’ questa la vera ragione per cui il FMI è stato creato.
Grazie mille.
[1] World Bank figures: World Development Indicators.
[2] OECD Program for International Student Assessment: Report: “PISA 2012 Results in Focus”.
[3] Pablo Fagjelbaum and Amit Khandelwal, 2016, “Measuring the Unequal Gains from Trade,” Quarterly Journal of Economics, 2016.
[4] US President’s Council of Economic Advisers (CEA): Report: “The Economic Benefits of Trade”, May 2015.
[5] Justin R. Pierce and Peter K. Schott: “The Surprisingly Swift Decline of U.S. Manufacturing Employment”, NBER Working Paper , December 2012.
[6] David Autor, David Dorn, Gordon Hanson: “The China Shock: Learning from Labor Market Adjustment to Large Changes in Trade”, NBER Working Paper, February 2016.
[7] Countries: CAN, DEU, ITA, UK, USA. IMF Note: “ Global Prospects and Policy Challenges”, G20 Leaders’ Summit, September 4-5, 2016.
[8] For more information on the Nordic model:IMF note on Labor Market Policies, IMF paper on Jobs and Growth.
[9] Jason Furman: “Benefits of Competition and Indicators of Market Power”, US President’s Council of Economic Advisers Issue Brief, April 2016.
[10] IMF, World Economic Outlook database.
[11] Frigidaire is the American consumer and commercial home appliances brand subsidiary of European parent company Electrolux.
[12] Rob Cox: “Cuts like a knife”, Reuters, Breaking Views Colum.
[13] Autor, 2014, as quoted in F&D, September 2016.
[14] WTO figure.
[15] Fontagné and others, “Estimations of Tariff Equivalents for the Services Sectors,” Paper, Centre d’Études Prospectives et d’Informations Internationales (CEPII), December 2011.
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