Il FMI si schiera contro il raddoppiamento del salario minimo in Ucraina
di L’ANTIDIPLOAMTICO (Eugenio Cipolla)
L’obiettivo è quello di ridare agli ucraini un po’ di dignità e speranza, dopo due anni e mezzo di sacrifici, ma soprattutto di aumentare il loro potere d’acquisto. Così l’altro giorno Petro Poroshenko, per la prima volta da quando è presidente dell’Ucraina, ha avanzato una proposta dal significato sociale forte: aumentare il salario minimo degli ucraini. La misura, che ovviamente ha anche molte sfaccettature politico-elettorali, visto che i sondaggi sul gradimento di Poroshenko sono ormai sotto la doppia cifra, interesserebbe 4 milioni di ucraini che attualmente guadagnano solo 1.450 grivne, qualcosa come 55$ al mese. Una miseria.
Il progetto di Poroshenko e del primo ministro Groisman è quello di aumentare il minimo mensile a 3.200 grivne al mese (circa 125$), raddoppiando in maniera significativa una cifra a tutt’oggi insufficiente per vivere nel paese e paragonabile ai salari minimi di alcuni stati africani. «Dal primo gennaio 2017 in Ucraina non ci dovranno essere più lavoratori che guadagnano meno di 3.200 grivne», ha detto Poroshenko. «Ho chiesto al governo e al Parlamento di adottare misure globali per attuare questa soluzione, evitando peraltro di aumentare ulteriormente le imposte».
L’iter per l’approvazione finale, però, adesso è piuttosto complicato e tortuoso. Nel bilancio 2017, presentato in Parlamento nelle scorse settimane e approvate in prima lettura, il salario minimo stabilito era di 1.684 grivne e adesso con la prossima decisione del Consiglio dei Ministri sarà necessario apportare delle modifiche. «Ora il governo dovrà ri-avviare l’esame del progetto di bilancio. Quello votato in prima lettura non è più attuale, soprattutto per i cambiamenti preannunciati che devono portare a una revisione delle spese», ha detto l’economista ucraino Andriy Novak, citato dal quotidiano Vesti. Il Gabinetto guidato da Groismann si prenderà un paio di settimane, durante le quali conta di rimodulare tutti gli indicatori, modificando entrate e spese. «Dovranno calcolare il costo della misura e rivedere tutto il bilancio. Per finanziare l’aumento del salario minimo bisognerà tagliare ancora i conti delle spese.
Sarà difficile e doloroso», ha affermato invece un altro economista ucraino, Viktor Suslov. La “terza via” è ovviamente stampare nuova moneta, ma questo, secondo Suslov, «potrebbe portare a un balzo dell’inflazione, svalutando ulteriormente la grivna».
Subito dopo Maidan la moneta ucraina, che veniva cambiata a dieci per un dollaro, ha subito un tracollo. Negli ultimi due anni c’è stata una svalutazione del 300%, che ha portato il tasso di cambio a trenta grivne per un dollaro. Ma il problema svalutazione è sicuramente l’ultimo dei problemi che dovrà affrontare Petro Poroshenko per portare fino al traguardo questa misura. Quello principale, ad esempio, si chiama Fondo Monetario Internazionale. Storicamente l’organismo presieduto da Cristine Lagarde è contrario a qualsiasi aumento di spesa che non faccia parte del suo programma di aiuti (al quale l’Ucraina si è sottoposta).
«Questa misura non rientra nella visione del Fondo Monetario Internazionale e non è scritto negli accordi siglati nei mesi scorsi», ha fatto notare l’analista economico Andryi Blinov. «Oltretutto il Fondo richiederà un bilancio in pareggio e si mostrerà sicuramente in disaccordo verso questo squilibrio nei conti». Al momento da Washington non è arrivata alcuna dichiarazione ufficiale, ma il primo segnale lo si è avuto chiaro e netto ieri, quando la missione del FMI che doveva sbarcare a Kiev per controllare lo stato delle riforme ha annullato improvvisamente la propria visita nella capitale ucraina per non meglio precisati motivi. «Il FMI ha rinviato l’arrivo della missione per ragioni interne», ha fatto sapere una fonte vicina ai negoziati. Ma secondo gli analisti questa azione è legata alla misura annunciata giusto qualche ora prima dal presidente ucraino. Sarà questo lo scoglio più duro da superare per Poroshenko, che adesso si trova a un bivio cruciale per la sua carriera politica: fare marcia indietro e scontentare la popolazione dopo averla illusa o andare avanti e procedere sulla strada annunciata, scontentando il FMI e rischiando di perdere i suoi finanziamenti.
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