Tina e Maria Elena. Le due Italie al femminile
di MICROMEGA (Angelo d’Orsi)
Un mio post su Facebook, buttato giù a caldo alla notizia della scomparsa di Tina Anselmi, avvenuta ieri a 89 anni, ha ottenuto una valanga di “mi piace” del tutto inaspettata: non credevo che la morte di una politica fuori dalle scene, una donna mai divenuta personaggio mediatico, sempre mossasi in modo discreto, anche quando ha condotto battaglie epocali, potesse suscitare tanto rammarico, e tante attestazioni di affetto e di stima, testimoniate dai tantissimi commenti e condivisioni del post. Si è trattato per me di una bella sorpresa. E mi sono interrogato sulle ragioni.
Indubbiamente, la battaglia in corso contro la “deforma” costituzionale è stato un formidabile elemento di spinta per rendere omaggio a una protagonista della Repubblica, sia pure quasi sempre sotto tono, una donna che era stata giovanissima staffetta partigiana (“Gabriella”), nella banda del comandante Gino Sartor nel suo Veneto, e che pur senza aver potuto entrare nella Costituente, può essere considerata tra le “madri” della nostra Carta Costituzionale. È facile ritenere che l’ondata di affetto e di stima per la Anselmi, la staffetta Gabriella, abbia molto a che fare con la contingenza politica, con l’impegno che tanti di noi, compresi i miei amici di FB, stiamo ponendo per fermare l’uragano renziano, con i suoi prevedibilissimi effetti di smantellamento della legge fondamentale della Repubblica. Ed è gran peccato che la sua voce non possa farsi sentire in questo ultimo mese di campagna referendaria.
Ma io credo ci sia di più. Nel riconoscimento che “il popolo dei Social”, ben oltre i miei post, ovviamente, ha immediatamente tributato alla Anselmi, v’è il bisogno, vorrei dire l’ansia per la riscoperta di una politica autentica, eticamente fondata, una politica capace di rispondere ai bisogni veri della comunità, e di interpretare in particolare le necessità degli “umili”, per servirsi di un lessico datato che oso pensare non sarebbe dispiaciuto alla Anselmi. Una politica nella quale non si baratti “la propria dignità per qualche poltrona o qualche incarico di potere…”, ha scritto in un commento Carmen Betti, storica dell’educazione dell’ateneo fiorentino: e ha aggiunto: “si può far politica, anche per lungo tempo, senza smarrire la propria moralità”.
Il fatto è che Tina Anselmi ha rappresentato proprio questo: la fondazione morale della politica, che vuol dire innanzi tutto il respiro che solo la ricerca dell’interesse generale può dare all’agire politico: solo in tal senso, e a tale condizione, la politica ritorna ad essere la “nobile arte” che ci hanno consegnato diverse tradizioni di pensiero, da Aristotele a Cicerone, da Machiavelli a Max Weber, animate tutte proprio dal concetto che la politica debba servire la collettività, perseguendo il “bene comune”. E Tina lo aveva perseguito in tutta la sua lunga militanza di cattolica che scelse di impegnarsi in politica, di sindacalista e di deputata, di democristiana che non aveva peli sulla lingua ed ebbe sempre il coraggio di dire la verità, il che se non la fece mai accettare pienamente dalla sinistra, per un pregiudizio (peraltro giustificato, in termini generali), la mise spesso in cattiva luce presso la leadership del suo partito. La “candidatura” alla Presidenza della Repubblica, dopo l’agghiacciante esperienza di Cossiga, in fondo non piacque se non alle solite minoranze illuminate, mentre sarebbe stata un meraviglioso regalo all’Italia, se fosse mai passata al vaglio del voto.
Prima donna ministro, titolare del dicastero del Lavoro e della Previdenza sociale, quindi di quello della Sanità, nei quali mostrò intraprendenza e ferma volontà di attuare una autentica politica sociale, la Anselmi diede il meglio come presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia segreta P2: fu grazie a lei, che furono sventati tentativi di insabbiamento e di copertura, che nella stessa maggioranza politica non mancarono. Fu grazie alla sua tenacia e al suo coraggio, insomma, che si è potuto smascherare le trame di Gelli e capire che non si trattava di un qualsiasi fessacchiotto che giocava ai complotti, ma il regista di una grande operazione politica il cui obiettivo fondamentale era precisamente lo smantellamento della Costituzione. Quello che il governo Renzi sta al contrario cercando di devastare.
Ebbene, Maria Elena Boschi, l’impareggiabile madrina della “deforma”, ha usato Tina Anselmi per, in qualche modo, paragonare, sia pur ellitticamente, il proprio impegno distruttore a quello costruttore della sua un po’ più illustre “collega”. Ha infatti citato la frase della Anselmi, che era riferita all’azione dei nazifascisti e alla propria conseguente scelta di lottare contro di loro, a qualsiasi costo: “Capii allora che per cambiare il mondo bisognava esserci”. La Boschi ha cercato di far passare il messaggio che come la Anselmi anche lei, modestamente, ha scelto l’azione liberatrice. Da che cosa non ha avuto la bontà di spiegarlo.
È difficile immaginare due icone contrapposte come queste due donne in politica (due cattoliche): apparenza contro sostanza, imparaticcio contro cultura, bell’aspetto contro aspetto dimesso, chiacchiera contro rigore, selfie contro discrezione, talk show contro dibattito parlamentare, slogan contro ragionamenti, il “nuovo” che sa di stantio e il “vecchio” che sa di durevole… La belloccia Boschi, dalla sua ha solo la potente famiglia e il potentissimo capo politico di cui è stata finora bandiera acchiappa-consensi, ed è manifestamente priva delle doti di cultura, di passione, e rigore intellettuale di cui la Anselmi abbondava.
Tina ci ha regalato il Servizio Sanitario Nazionale che l’altra, con il suo Partito sciagurato, sta smontando colpo dopo colpo, insieme a tutto ciò che fa parte di ciò che chiamiamo “Stato sociale”; Tina ci ha portato in dote, con i valori resistenziali, i princìpi fondamentali dello Stato di diritto, fondato su una rigorosa divisione dei poteri, su una logica di controlli incrociati, sulla indipendenza dei corpi intermedi (dai sindacati alla magistratura); mentre Maria Elena (e la prendiamo come figura simbolo del “cambiamento” di cui Renzi è l’alfiere) lavora in senso esattamente uguale e contrario: trasformare la Repubblica da democratica a oligarchica, la democrazia da parlamentare ad autoritaria; Tina è stata rappresentante del migliore cattolicesimo sociale, preoccupato degli ultimi, volto a ridurre le distanze tra ricchi e poveri, a superare progressivamente le disuguaglianze sociali, culturali, economiche, politiche; mentre Maria Elena, fedele portavoce del suo Matteo, come tutto il loro governo, lavora per dividere, per frantumare quel minimo di coesione sociale che ancora regge in questo Paese, e di cui la Costituzione nata dalla lotta di liberazione è strumento primo e simbolo altissimo.
Ha ricordato, in un altro commento al mio post, il presidente dell’Anpi piemontese, Ezio Montalenti, che l’ultimo messaggio, a lui inviato dalla Anselmi per il 25 Aprile, terminava con queste parole: “tieni duro, dobbiamo salvare la nostra Costituzione”. Anche per onorare la sua memoria, la nostra battaglia per il NO non deve avere esitazioni né incertezze. Fermare i barbari alle porte deve essere il nostro imperativo, con la stessa forza e lo stesso entusiasmo che Tina ha messo in tutta la sua vita di donna e di politica.
fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/tina-e-maria-elena-le-due-italie-al-femminile/
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