Il come e il cosa di Alternativa/1
di Claudio Martini
Perché iniziative analoghe ad Alternativa finora non hanno portato ai risultati sperati?
Questa domanda parte da due presupposti nient' affatto acquisiti: che vi siano state esperienze veramente analoghe ad alternativa; che le aspettative attorno ai risultati fossero chiare e condivise.
A mio parere entrambi i presupposti sono falsi, o almeno assai discutibili.
Esaminiamoli uno ad uno.
1)Per capire se davvero A. ha avuto degli omologhi e dei precedenti, per quanto sfortunati, bisognerebbe intendersi su quali siano i caratteri peculiari di A. Questi a mio avviso sono quattro:
a) il nostro movimento ha ferma intenzione, almeno a livelli di vertice, di trasformarsi in un partito nel senso tradizionale del termine. Un'organizzazione rigida, pesante, solida, è un progetto decisamente fuori del comune in questi tempi, nei quali scontiamo gli effetti di anni di terrorismo intellettuale contro l'idea stessa del “partito”, intesa come forma, e di capillare discredito di quell'idea e di quella forma presso strati maggioritari della popolazione. Come rilevato anni fa da Chiesa, si attacca la forma per incidere sulla sostanza; e la sostanza è la possibilità operativa da parte dei lavoratori (o, semplicemente, dei “non VIP”) di influenzare e in certi casi determinare la politica nazionale.
b) coerentemente con il punto a), il nascituro partito si pone come antagonista rispetto alle formazioni politiche dominanti, che oggi sono precisamente quelle parlamentari (PDL,PD, LN, UDC, IDV), indicabili, nel loro complesso, come casta o addirittura gilda partitocratica (termini efficaci, ancorché presi a prestito da autori che nulla devono avere a che fare con A). Questa posizione antagonistica, inarrivabile per quei soggetti che hanno rifiutato, quando non denigrato, la forma e la sostanza del partito della gente comune, si distingue dalle posizione estremistiche, proprie dei gruppuscoli neo-fascisti o anarchici, in quanto sfida i partiti parlamentari sul loro terreno, quello dell'egemonia. Ad A. non interessa occupare una nicchia schierandosi contro il “sistema” con impostazioni irrealistiche e parolaie, vuole cambiare lo stato di cose presenti.
c)A. è, prima di tutto, un movimento di superstiti. Superstiti delle idee di sinistra e comuniste. Ne pas se raconter d'histoires: A. nasce nel bacino della sinistra anti-berlusconiana, sull'impulso di un picista di lungo corso come Giulietto Chiesa. Questi superstiti, dalle radici ben precise e non occultabili, vogliono però superarle. Questo è decisivo: propongo di riconoscerci come un movimento di ex-comunisti (ed ex “sinistri”) che hanno deciso di abbracciare il futuro, senza per questo rigettare il passato. Tutto il contrario, a ben vedere, dei rinnegati del comunismo, e Est come Ovest, dall'89 impegnanti, dopo aver annegato il proprio passato, a far strame di popoli, nazioni, classi, a servizio del più orrendo, ancestrale, ricorsivo dei capitalismi. C'è nulla di più invecchiato che sostenere un mondo ad egemonia americana, nel quadro di un economia fondata sulla finanza e sull'automobile? le parole di Marchionne non sono l'avvenire, sono la modernità: nel senso dell'800.
Siamo gli unici a propugnare un superamento dell'identità comunista e della teoria marxista, senza per questo cadere nelle grinfie dei funzionari del capitale. In quanto tali, siamo decisamente all'avanguardia, e sicuramente incompatibili con i disegni “conservatori” (PRC), per non parlare di quelli “reazionari” (SEL).
d)A. fa del rifiuto della menzogna la sua prima ragion d'essere. “Dobbiamo essere noi a dire la verità, perché non lo fa più nessuno”, sono parole del fondatore. Mai come oggi le idee dominanti sono le idee della classe dominante. Assistiamo ad un discorso detestabile, per cui l'Occidente delle democrazie liberali, all'avanguardia nella tutela e nel riconoscimento dei diritti e della dignità degli uomini, si trova sotto attacco dei terroristi, individui carichi di rancore, invidia e tritolo, espressione di civiltà retrograde e feroci, e deve misurarsi con inedite manifestazioni di barbarie (Iran, talebani), nonché con pericolosi ritorni al passato (Russia, Venezuela, Corea del Nord). Per pura coincidenza, l'Occidente avanzato è anche il luogo del capitalismo avanzato, teatro di fenomeni come la “concorrenza”, la “competizione virtuosa”, la “crescita del pil..” La ricchezza, e quindi la civiltà, di una nazione dipende dal grado di favore che in seno ad essa trovano i principi e le verità dell'economia di mercato: le società devono adeguarvisi, con appositi strumenti normativi, pena il loro declassamento e la loro uscita dal club dei paesi rispettabili.
Questo discorso, iniquo e fasullo dall'inizio alla fine, e l'unico ascoltabile dalla masse occidentali, per non parlare degli strati colti semi-colti. Metterne in discussione gli assunti significa sfidare la forza corazzata di coercizione del sistema dei media, in altre parole l'ostracismo e il linciaggio, per ora metaforici; ma A. mette in conto questo rischio, e finora è stata l'unica a puntare l'obiettivo non sui dettagli particolari dell'alienazione e delle storture dell'attuale stato di cose, ma sull'intera “narrazione” degli eventi da parte dei media falsi e bugiardi.
2)Quali erano i fini e le aspirazioni che animavano i precedenti tentativi?
Ammesso che si possa parlare di omogeneità delle esperienze, come discusso nel punto 1), abbiamo ragione di credere che le aspirazioni fossero, ad un tempo, velleitari e di corto respiro, e i fini incerti e improvvisati. A mio parere ciò era dovuto soprattutto al fatto che si trattava di iniziative settoriali. L'analisi concreta della situazione concreta ci dice che le iniziative settoriali sono, oggi, strutturalmente minoritarie e destinate alla sterilità. Le iniziative settoriali si possono dividere in verticali ed orizzontali. Queste ultime sono eminentemente le iniziative localistiche, del tipo tv o radio di quartiere, fogli di controinformazione su fatti del territorio al quale si appartiene, liste civiche incentrate sul cambiamento del borgo, ecc. Quelle verticali sono le organizzazioni che, pur operando su scala non locale e non territoriale, si occupano di un solo segmento della catena di questioni che oggi gravano sulle nostre teste; può essere l'ecologia, la lotta allo smog, la tutela dei migranti (sede, questa, degli errori strategici più marchiani), la salvaguardia della scuola, le rivendicazioni di un popolo oppresso ecc. Ma la somma dei particolarismi non è mai un universalismo, ed è sul piano dell'universalismo che i gruppi dominanti ci rovinano la vita.
All'apparenza alcune esperienze sul campo smentiscono queste tesi. Si pensi ai due movimenti NO TAV e NO Dal Molin. Entrambi nati da posizioni particolaristiche, al limite del “nimby”, entrambi in grado di mobilitare per periodi non brevi masse inusitate e trasversali, conseguendo risultati reali, e incassando una sconfitta (tattica) solo dopo l'accerchiamento di preponderanti forze sistemiche. La contraddizione è però fuorviante: nel caso della Val di Susa, attraverso la lotta particolare dei cittadini interessati si pongono in discussione l'uso dissennato del bilancio pubblico, l'accordo dei potentati affaristici e di quelli partitici finalizzati alla distruzione e al saccheggio, sacrificando la salute e il benessere della gente comune, alla quale viene persino negato il diritto di dissentire, quasi fosse un privilegio concesso, sempre revocabile; si dà persino un giudizio, mentre si prendono manganellate, sull'attuale modello di integrazione europea. Il caso vicentino è, se possibile, ancora più importante, ai fini dello sconvolgimento degli attuali equilibri di dominio: mediante una semplice questione urbanistica (Prodi), si mette in discussione, consapevolmente o meno, il nostro ruolo di portaerei per le scorrerie NATO. Vicentini e Valsusini irrompono nei disegni di gestione dei gruppi dominanti, e trascendono il particolare in direzione dell'universale.
Anche questi fenomeni, così vivi e trascinanti, così giusti, hanno bisogno, per non passare dalla sconfitta tattica a quella strategica, di essere inquadrati in una più vasta visione della realtà del mondo dell'Italia. È assolutamente prevedibile che, di a seguito di ritocchi marginali e di facciata dei progetti in questione, e di fronte all'accusa di anti-americanismo e di anti-modernismo (entrambe posizione deleterie, peraltro, ma estranee alla realtà del movimento), assisteremo al generale riflusso, e alla dissoluzione dei comitati in quanto organizzazioni di massa (le nicchie sterili non ci interessano).
Questa più vasta visione, tendenzialmente universalistica, che punti all'egemonia, è stata la vera grande assente in tutti i sussulti “anti-sistema” degli ultimi anni. Un tempo quella visione era quella comunista, frutto dell'incontro tra teoria marxista, prassi bolscevica e istanze degli oppressi. Questo ircocervo ha consentito all'umanità di effettuare cinque o sei balzi in avanti in meno di un secolo, e appunto come il secolo delle grandi lotte per l'emancipazione di classi e popoli sarà ricordato il Novecento, aldilà dell'immondizia propagandistica. Il comunismo ha esaurito la sua funzione storica, e per quel che ha prodotto gli uomini di buona volontà gli saranno sempre grati. Ora è il tempo di formulare un nuovo pensiero, una nuova teoria e una nuova prassi, che viva e operi nel XXI secolo. Senza questo lavoro, senza questo sforzo, nel quale dobbiamo convogliare tutti i migliori contributi, non c'è possibilità di incidere sul corso reale degli eventi, neanche da parte di A.
Un inciso: se è vero che il “nemico”, la formazione sociale USA e i suoi servi, con la sua religione e i suoi dogmi (libero mercato, democrazia e diritti umani, necessità dello sfruttamento classista) presenta aspetti fortemente ricorsivi, che fanno pensare ad un ritorno all'800, noi non dobbiamo certo seguirlo. È chiaro che è impossibile, e nemmeno auspicabile, ritornare al comunismo così come si è manifestato, perché sarebbe farsesco; ma d'altra parte immensamente peggio sarebbe sia “moderarsi” (non più comunisti ma socialisti, non più comunisti ma di sinistra: ridicolo, quando non criminale), sia superare il nemico nella nostalgia e tornare, di fatto, al pensiero romantico e utopistico ante-Marx. Certe interpretazioni della decrescita, certi peana levati alla civiltà contadina, al bel tempo antico rovinato dalla tecnologia, sono l'equivalente dei vari Proudhon, Fourier, Owen… evitiamo anche qui la farsa.
“Dobbiamo essere noi a dire la verità, perché non lo fa più nessuno”
Sinceramente non saprei che cosa farmene, della Verità. Ho sempre lasciato tale incombenza a preti e guru. Mondi possibili, Verità supreme, Paradisi o Satori, Illuminazioni…me ne sono sempre fregato. Quello che mi interessa è ben altro. Ad esempio dove vanno a finire i soldi. I nostri soldi. Se il punto d) si riferiva a questo, ovvero faceva riferimento ad un certo giornalismo investigativo e all'esposizione mediatica dei risultati prodotti siamo d'accordo. Ma mi sembra comunque una questione mal posta. Molto meglio parlare quindi di accesso alle risorse (quindi anche ai media) piuttosto che rifarsi a certa trita metafisica.
Non ho poi ben capito la conclusione: nè con l'Urss nè con gli Usa (ed i suoi imitatori, Cina, India etc..); d'altronde neanche con l'antieconomia di Latouche e Pallante, rei di avere rinverdito il mito del buon selvaggio. Mito che J.Zerzan da una parte e J.Diamond dall'altra hanno comunque vestito di dignità.
Nè Marx nè Adam, nè tantomeno Latouche e soci. Chi resta?
In cosa consisterebbe questo "nuovo pensiero, nuova teoria e nuova prassi"?
Per quanto mi riguarda considero Alternativa un laboratorio politico, che cerca di elaborare un pensiero politico sistematico, dotato di una certa organicità e coerenza. Non ha verità ma le cerca: indagando certe parole o slogan (decrescita, transizione), prendendo posizione su temi solitamente trascurati (pubblicità), tentando di coniugare questione nazionale e geopolitica.
Fino ad ora ho imparato qualche cosa e ho approfondito certe idee che erano già mie.
Alternativa è poi una componente di Uniti eDdiversi e sta cercando di avviare anche la costruzione di un soggetto politico. Mi sembra un obiettivo nobile. Le diffficoltà sono enormi. Così come non vedo labratori migliori di alternativa, non conosco tentativi di aggregazione più attraenti di Uniti e Diversi.
Perciò mi impegno nei due campi – laboratorio e soggetto politico -, pur sapendo che il percorso sarà lungo e che dovremo essere aiutati dagli eventi. Nessuna verità. Ma non mi sentirei di escludere ogni metafisica, se questa è intesa come comprensiva del dover essere. Nella vita si scontrano forze materiali, idee e volontà. Ognuna delle tre componenti ha la sua rilevanza ed è ineliminabile dal discorso politico-economico.