La maggioranza silenziosa
di CARLO CLERICETTI
Ci mancava solo che Matteo Renzi facesse appello alla “maggioranza silenziosa”, che – ha detto – “sta con noi”. In politica le parole contano, e i simboli ancora di più. E “maggioranza silenziosa” è una definizione che ha un valore simbolico, almeno per chi ha più di cinquant’anni e per chi conosce la nostra storia recente. Si chiamava così un movimento fondato a Milano nel 1971 con il proposito di organizzare mobilitazioni di massa che facessero da contraltare a quelle della sinistra e dei sindacati, allora attivissimi dopo il ’68 e l'”autunno caldo” del ’69. I leader erano il democristiano di destra Massimo De Carolis, poi risultato – guarda un po’ – iscritto alla P2 e vari esponenti della destra neofascista e persino monarchici (in una sede dei quali avvenne l’atto formale di costituzione del movimento).
Furono appoggiati dal Giornale, appena fondato da Indro Montanelli che aveva abbandonato il Corriere della Sera in rotta con la direzione di Piero Ottone. Ottone, un liberale progressista, aveva svecchiato e reso pluralista il giornale della borghesia lombarda retriva, e per questo veniva considerato un “comunista” o quantomeno un fiancheggiatore dei sovversivi: ci faceva scrivere persino Pasolini!
La Maggioranza silenziosa ebbe qualche breve momento di gloria, riuscendo ad organizzare alcune manifestazioni abbastanza numerose, in alcune delle quali, però, gli estremisti di destra provocarono scontri che mal si conciliavano con gli slogan “legge e ordine” del movimento. Quando si tentò di prendere le distanze da questi soggetti risultò però che le piazze restavano vuote, a riprova che i primi successi erano dovuti alla mobilitazione dei neofascisti. Il tentativo si estinse così rapidamente come era nato, lasciando dietro di sé solo l’etichetta di movimento della destra reazionaria associato al suo nome.
Fare dunque un appello alla “maggioranza silenziosa” non è cosa politicamente neutrale. Anche se forse si può spiegare – almeno in parte – anche in altro modo. Il “cambiamento” propugnato da Renzi implica anche una cancellazione della memoria, la memoria dei cambiamenti che ci furono in Italia dal dopoguerra agli anni ’70 e che furono nel senso di dare più protezione e diritti ai lavoratori, di costruire un sistema di protezione sociale che puntava a raggiungere quelle già realizzati negli altri paesi avanzati, di usare quell’intervento pubblico in economia grazie al quale un paese raso al suolo dalla guerra riuscì a diventare la sesta economia mondiale. Tutte cose che da vari anni a questa parte si stanno progressivamente cancellando e che tutti farebbero bene a ricordare di fronte alle glorificazioni del “nuovo che avanza”. E soprattutto quando si andrà a votare per un referendum che promette di far accelerare i cambiamenti in questa direzione.
fonte: http://clericetti.blogautore.repubblica.it/2016/11/22/incapaci-o-criminali-altro-che-il-29/
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