François Fillon, De Gaulle e Jean Monnet
di VOCI DALL’ESTERO (Jacques Sapir)
L’economista francese Jacques Sapir passa al setaccio sul suo blog Russeurope il programma di François Fillon, vincitore al primo turno delle primarie del centrodestra in Francia. La sua promessa di tagli alla spesa pubblica e austerità porterebbe a una politica dolorosa e inutile a risolvere la crisi francese. Mentre la cecità nei confronti degli squilibri legati all’euro e l’adesione ideologica alle regole europee rende privo di consistenza l’orgoglioso richiamo a de Gaulle con cui Fillon si fa bello: la Francia, nell’eurozona, resta in una posizione di sottomissione. E la Storia insegna che non è dalla sottomissione che nasce la cooperazione tra stati.
Uno dei punti forti della campagna per le primarie del centrodestra, il cui primo turno si è tenuto domenica 20 novembre, è stato la spettacolare crescita di consenso per François Fillon. Questo balzo verso l’alto ha comportato un risultato inatteso: François Fillon conquista i voti di oltre il 44% dei 4 milioni di elettori che hanno partecipato a queste primarie, molto più avanti di Alain Juppé (28%) e Nicolas Sarkozy (20%).
Una delle ragioni di questo risultato è sicuramente il desiderio di molti elettori di destra di sfuggire all’alternativa tra Juppé e Sarkozy. È vero che tra la mummia, trasformata dalla stampa in un clone di François Hollande, e l’esaltato in capo, la scelta non è affatto allettante. In un certo senso, la vittoria al primo turno di François Fillon è anche una sconfitta della stampa e del suo tentativo di imporre un candidato dei media.
Un altro motivo potrebbe essere stato il programma di François Fillon. Questo candidato ha prodotto un vero e proprio programma, molto dettagliato. È uno dei suoi punti di forza, rispetto al vuoto siderale di persone come Copé, Le Maire o “NKM” (Nathalie Kosciusko-Morizet ndt); ma è anche una debolezza, perché la precisione stessa del programma logicamente attira un occhio critico. E se si possono condividere alcune delle proposte di François Fillon, altre sono decisamente preoccupanti.
L’uomo del programma
François Fillon ha detto e scritto cose molto giuste su diversi temi. Che si tratti di istruzione, dove intende andare alla caccia dei “pedagogisti”, o di sicurezza pubblica, a proposito della quale ha detto molto giustamente che le leggi e i regolamenti per garantire la sicurezza dei francesi contro il terrorismo esistono già e che la vera questione è quella della volontà dello Stato di far rispettare le sue leggi, non si può che essere d’accordo. Non c’è niente di peggio per l’autorità dello Stato del moltiplicarsi di leggi e misure non applicate. Si può pensare che l’atteggiamento di François Fillon sul terrorismo, in particolare il suo dibattito con il giudice Trevidic su France-2, non sia estraneo alla sua spettacolare svolta nel primo turno delle primarie del centrodestra.
Allo stesso modo in politica estera Fillon intende riequilibrare la posizione della Francia, in particolare in Medio Oriente, e riaprire il dialogo con la Russia. Queste misure sono con ogni evidenza necessarie. Il fatto che nel suo viaggio di addio il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, non abbia avuto il desiderio di andare a Parigi, mentre ha fatto un viaggio dedicato sia a Berlino sia ad Atene (anche se non per le stesse ragioni) dovrebbe far riflettere tutti coloro che ritengono che la politica estera sia importante. La Francia è temporaneamente uscita della Storia a causa del suo allineamento incondizionato con Germania e Stati Uniti. Barack Obama, uomo impegnato, non aveva tempo da perdere e ha saltato Parigi e il suo insignificante presidente.
Ma qualche posizione corretta non è sufficiente. François Fillon si presenta ai nostri occhi come un uomo nuovo. Non dimentichiamo, però, che è stato per cinque anni il primo ministro di Nicolas Sarkozy e come tale deve condividerne il bilancio dei risultati. Non dimentichiamo che quando era primo ministro sono state prese misure disastrose, come il coinvolgimento della Francia nella tragedia libica e la conversione della politica francese all’atlantismo e all’ideologia “neoconservatrice”, o la famosa riforma Chatel, dal nome di questo ex HRD dell’Oréal trasferito all’educazione nazionale, che voleva eliminare l’insegnamento della Storia nelle ultime classi di scienze. È giunto il momento di dire che la politica estera della Francia è disastrosa e che bisogna ricostruire un racconto (e non un “romanzo”) nazionale. Ma che credibilità può esserci quando manca una profonda autocritica sulle azioni passate? E soprattutto, non possiamo dimenticare che Fillon è stato all’origine, con le sue politiche, del forte aumento della disoccupazione che la Francia ha conosciuto a partire dall’estate del 2011.
Grafico 1
La disoccupazione e la politica Fillon
(Numero di persone in cerca di lavoro nelle categorie A, B e D Dares)
Fonte: Dares (Direction de l’animation de la recherche, des études et de statistiques)
Il padre della disoccupazione?
È quindi sul fronte economico che il progetto politico di François Fillon è più carente. Non c’è alcuna autocritica sulle politiche che ha portato avanti come primo ministro, se non per esprimere il rammarico di non avere fatto più austerità. Peggio ancora, il programma annuncia un rafforzamento di queste misure nefaste. Prendiamone i primi cinque punti:
- 100 miliardi di euro in 5 anni di risparmio sulla spesa pubblica.
- 40 miliardi di tagli di costi per le imprese e 10 miliardi di sgravi sociali e fiscali per le famiglie.
- Fine delle 35 ore nel settore privato e ritorno alle 39 ore nel servizio pubblico.
- Abolizione dell’imposta sul patrimonio per aiutare il finanziamento delle imprese.
- Abbassamento dell’età pensionabile a 65 anni e unificazione di tutti i piani pensionistici per mantenere il potere d’acquisto delle pensioni
La prima di queste misure apre il problema della crescita. Simili tagli alla spesa pubblica, pari in media circa all’1% del PIL, avranno un impatto estremamente negativo sulla crescita, e quindi sull’occupazione, come è ormai accettato dalla maggioranza degli economisti, tra cui gli economisti del Fondo monetario internazionale [1]. Certamente non si chiede a un uomo politico di leggere gli studi degli economisti. Ma questo quantomeno dimostra che Fillon è molto mal consigliato, e soprattutto che non ha imparato dalla sua precedente esperienza di governo. Di fatto, il programma di François Fillon è allineato con ciò che viene proposto dai conservatori britannici di Theresa May, o a quello che promette Donald Trump. E questo, per una volta, è un buon motivo per biasimarlo. Non che non sia necessaria una revisione della spesa pubblica. Il bilancio dello Stato trascura gli investimenti per migliorare la competitività del territorio a vantaggio della spesa clientelare. Bisogna quindi riallocare – e non eliminare – una parte della spesa pubblica.
I “costi inferiori”, che è la seconda misura, non significa altro in realtà che diminuzione dei contributi. Sarà quindi necessario ridurre di pari misura le prestazioni sociali o far pagare ai lavoratori o ai contribuenti quello che non sarà più pagato dalle imprese. E questo, ancora una volta, eserciterà un effetto profondamente depressivo sulla crescita e sull’occupazione. L’effetto depressivo di questo shock fiscale, che François Fillon vuole far passare attraverso l’IVA, peserà di più degli aspetti positivi legati alla diminuzione dei contributi dovuti dalle imprese. Anche in questo caso, le prime vittime saranno gli investimenti, visto che le imprese, per fare previsioni di investimento, si basano sulle prospettive di consumo.
La terza misura è la fine delle 35 ore, uno dei “mostri sacri” della Destra in Francia. Ma portare l’orario di lavoro a 39 ore in tutte le professioni si tradurrà in una riduzione delle ore di lavoro straordinario e quindi in una diminuzione del reddito delle famiglie, con conseguente calo della crescita e dell’occupazione.
La quarta misura, l’abolizione dell’imposta sul patrimonio, è anche questa uno dei “mostri sacri” della Destra. Non che questa imposta sia perfetta. Ovviamente richiede alcune modifiche. Ma, anche in questo caso, Fillon butta via il bambino con l’acqua sporca.
La quinta misura comporta non solo il ritorno dell’età pensionabile a 65 anni, ma anche l’unificazione dei sistemi pensionistici, e quindi la fine dei regimi speciali. Quest’ultimo provvedimento di per sé ha l’apparenza della “giustizia”; ma solo l’apparenza. Infatti, nei regimi speciali è incluso personale le cui condizioni di lavoro si erano enomemente appesantite nel corso degli ultimi venti anni, e in particolare i dipendenti statali che sono “a contatto con il pubblico”, come si suol dire, e che sono costantemente costretti a confrontarsi con l’inciviltà, se non peggio. Cancellare i diritti speciali di cui godono oggi può solo portare ad una profonda demotivazione di questi dipendenti pubblici, sia polizia, operatori sanitari o insegnanti, proprio nel momento in cui danno preoccupanti segnali di stanchezza. O ci sarà un aumento molto significativo (almeno del 30%) della loro retribuzione, e l’impegno a maggiori assunzioni in questo settore, oppure dobbiamo aspettarci un crollo dei servizi di base, su cui si fondano lo Stato e la Repubblica. Queste misure, apparentemente dettate dalla “giustizia” in realtà contengono una ingiustizia talmente clamorosa che potrebbe portare a una grave crisi dello Stato. François Fillon – se è in grado di attuare il suo programma – corre il rischio, e stiamo pesando le parole, di essere l’uomo che ha distrutto la Repubblica e lo Stato.
Un europeismo primordiale
In sostanza, François Fillon è consapevole del divario di competitività che si è aperto tra la Francia e i suoi principali partner. Ma lui ragiona “come se” si potesse parlare di questo problema senza affrontare il problema dei tassi di cambio, vale a dire la questione dell’euro. La cecità che mostra in questo senso è sorprendente. Lo fa perché non vuole in nessun caso mettere in discussione la moneta unica. Ora, l’esistenza di uno squilibrio legato sia alla sottovalutazione della moneta tedesca nel contesto dell’euro sia alla sopravvalutazione della moneta francese è innegabile. Uno studio del FMI, ancora una volta, lo stima al 21% [2]: una valutazione che può essere considerata giusta o tendente a sottostimare la portata del problema.
Infatti, senza un riallineamento del tasso di cambio di almeno il 25% tra la Germania e la Francia (e probabilmente di più, dell’ordine del 30%), la Francia non è competitiva. Ma come possiamo ottenere un riallineamento, all’interno di un sistema che ha reso il cambio fisso, come ha fatto il gold standard negli anni Venti e Trenta anni del XX secolo?
Certo, il riequilibrio può ovviamente essere ottenuto anche riducendo i salari in Francia e sperando che questi aumentino in Germania. Ma, anche coltivando l’ illusoria speranza di un aumento dei salari reali del 10% in Germania, questo significherebbe comunque una diminuzione del 15% in Francia, con tutti gli effetti devastanti che una simile politica avrebbe sull’economia francese, a maggior ragione considerando che siamo, con le parole di François Fillon, in una situazione grave, con un altissimo tasso di disoccupazione e un calo degli investimenti.
L’alternativa, che sarebbe non solo senza dubbio più conveniente, ma avrebbe garanzie di successo notevolmente maggiori, sarebbe quella di uscire dall’euro, lasciando il “nuovo” franco svalutare di circa il 10%, mentre l’euro tedesco (anzi, sicuramente il nuovo marco tedesco, visto che l’uscita della Francia farebbe saltare la zona euro) si rivaluterebbe di circa il 20%. Questa soluzione è in realtà l’ unica che permette sia di assorbire parte della disoccupazione di massa che conosciamo (tra 1,5 e 2 milioni a breve termine), sia di riequilibrare i nostri conti sociali (meno disoccupazione significa più contributi e prestazioni inferiori), ma anche i nostri conti pubblici.
Quindi riteniamo che François Fillon prometta alla Francia una politica che si rivelerà estremamente dolorosa e questo senza alcuna garanzia di successo, mentre potrebbe proporre un’altra politica, il cui successo è garantito. Siamo in presenza di una cecità ideologica, un recinto autistico, che egli condivide – va detto – con i suoi avversari nelle primarie del centrodestra, ma anche con i potenziali candidati della sinistra tradizionale.
François Fillon, de Gaulle e Jean Monnet
Il motivo di questa cecità è che Fillon non riesce a tagliare i legami con l’europeismo, benché lo abbia criticato sia oggi sia in passato. Resta soggetto a questa ideologia e incapace di vedere che ha distrutto non solo la Francia, ma anche l’intera Europa. La cecità di François Fillon su questo punto ha conseguenze estremamente gravi e profonde per il resto del suo programma. Toglie qualsiasi consistenza allo sforzo che vuole fare per ripristinare la sovranità della Francia, e garantire le condizioni di una vera indipendenza. François Fillon sostiene di parlare come de Gaulle, ma pensa come Jean Monnet.
Dietro i discorsi gollisti che gli piacciono tanto e dietro la postura da suo erede di cui si ammanta, si deve riconoscere la realtà della sottomissione alle regole europee, una sottomissione che, in definitiva, distruggerà ciò di positivo che la cooperazione con le altre nazioni è stata in grado di costruire. Perché la cooperazione non si costruisce mai nella sottomissione. Una verità storica, che François Fillon sembra decisamente aver dimenticato.
[1] Blanchard O. e Daniel Leigh, Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers, IMF Working Paper, gennaio 2013, Washington DC. Vedi anche, A. Baum, Marcos Poplawski-Ribeiro, e Anke Weber, Fiscal Multipliers and the State of the Economy, IMF Working Paper, dicembre 2012, Washington DC.
[2] IMF , 2016 external sector report, Fondo monetario internazionale, luglio 2016, Washington DC, consultabile su: http://www.imf.org/external/pp/ppindex.aspx
fonte: http://vocidallestero.it/2016/11/22/francois-fillon-de-gaulle-e-jean-monnet/
Commenti recenti