La mitologia della purezza originale: la rivincita antilaburista tra Kalergi, Lippman e Spaak (parte 2)
qui la prima parte: https://appelloalpopolo.it/?p=26688
di ORIZZONTE48 (Luciano Barra Caracciolo)
(notare che nella medaglia commemorativa, sull’obverse side, nessuno ha proposto di inserire Spinelli)
Questa è la seconda parte del lavoro di Arturo sulla genesi dell’€uropa federalista. Un caso, se vogliamo unico, di coerenza e visibilità dei suoi scopi effettivi. Il “pieno impiego” e la “giustizia sociale” sono sempre, e senza alcuna esitazione, stati concepiti come obiettivi irrilevanti e sacrificabili a un futuro meraviglioso che non arriverà mai. Fino all’inevitabile catastrofe: come predissero i laburisti inglesi (quando esistevano ancora).
SECONDA PARTE
- Ecco quindi, a guerra conclusa, puntualmente rispuntare Kalergi, pronto ad approfittare del nuovo propizio contesto per riprendere il filo interrotto: era negli Usa dal ’43 a cercare appoggi per il suo progetto di unificazione europea (Aldrich, OSS, CIA and European Unity: The American Committee on United Europe, 1948-60, Diplomacy and Statecraft, vol 8, n. 1, March 1997, pagg. 189 e ss.), ospitando “bei nomi”, quali Charles Rist, Jacques Rueff(futuro giudice europeo) e il nostro amico Röpkenella commissione monetaria della sua Paneuropa (Denord, Schwartz, L’Europe social cit., pag. 54).
E infatti fonda quella che sarebbe diventata la principale organizzazione americana di “sostegno” al federalismo, ossia l’ACUE (American Committee on United Europe).
I sogni di gloria del povero Kalergi sarebbero, ahilui, durati poco: considerato dagli americani “a rather prickly and awkward character” (Aldrich, op. cit., pag. 190), e quindi non finanziato a vantaggio di altri gruppi federalisti, fu pure escluso, insieme ai suoi, dall’ACUE che, come ebbe a esprimersi uno dei suoi più autorevoli membri, Allen Dulles, doveva restare “wholly American” (in A. Cohen, “Constitutionalism Without Constitution: Transational Elites Between Political Mobilization and Legal Expertise in the Making of a Constitution for Europe” (1940s-1960s), Law & Social Inquiry, Vol. 32, Issue 1, Wiinter 2007, pag. 116).
3.1. Il principale beneficiario degli aiuti americani fu quindi il Movimento Europeo, fondato su iniziativa di Duncan Sandys, genero di Churchill, e Jozéf Retinger, futuro fondatore pure del Gruppo Bilderberg.
Se il Movimento poteva contare su nomi prestigiosi – questi i cinque presidenti onorari: Winston Churchill, Léon Blum, Adenauer, Paul-Henri Spaak e De Gasperi-, i fondi però scarseggiavano:
“Verrà qui sostenuto che il versamento discreto di più di tre milioni di dollari fra il 1949 e il 1960, per lo più da fonti del governo americano, fu centrale nello sforzo di sollecitare supporto di massa per il Piano Schuman, la Comunità Europea di Difesa e una Assemblea Europea con poteri sovrani. Questi contributi segreti non costituirono mai meno della metà del budget del Movimento e, dopo il 1952, probabilmente i due terzi. Contemporaneamente, si impegnò a minare la dura resistenza del governo laburista britannico alle idee federaliste” (Aldrich, op. cit., pag. 185).
I risultati in termini di coinvolgimento dell’opinione pubblica furono però assai modesti, anche dopo la nomina a presidente di “Mister Europe”, vale a dire Paul-Henri Spaak un’area di libero scambio con una moneta unica e libero movimento di lavoratori” (Ibid., pag. 198).
Questo con buona pace dei teorici dello “sviamento”.
3.2. Spaak è però una figura talmente rappresentativa dei curricula dei “padri nobili” che merita dirne ancora due parole.
Nonostante l’etichetta di “socialista” “Spaak aveva abbandonato le convinzioni che potevano inquietare l’establishment, prima di diventarne una colonna. Nominato primo ministro nel 1938, era stato sostenitore di una politica di appeasement e conciliazione con le potenze fasciste. Dopo la guerra, si trasforma in apostolo della costruzione europea e delle difesa dell’Occidente. Un antibolscevismo ossessivo lo induce a indicare alla pubblica collera l’insieme dei comunisti occidentali, accusati di “indebolire gli Stati in cui vivono” e di agire come “una quinta colonna a confronto della quale la quinta colonna hitleriana non era che un’organizzazione di boy scout”. (Denord, Schwarz, op. ult. cit., pag. 25).
Il coronamento della carriera atlantista di Spaak arriverà nel ’57, con la nomina a segretario della NATO, naturalmente dopo aver partecipato alle negoziazioni del Trattato di Roma.
- Sulla questione dell’anticomunismo bisogna però fare un poco di chiarezza: da parte dei circoli europeisti neoliberali l’ostilità non era certo confinata al bolscevismo: il bersaglio era *ogni forma* di politica economica alternativa al neoliberismo stesso, in primis il laburismo inglese, considerate tutte quali “strade” verso il totalitarismo.
4.1. Ci si dimentica spesso in effetti che il bersaglio polemico concreto di The Road to Serfdom di Hayek è il laburismo britannico.
Sulla stessa linea il buon Spinelli, che nel suo Politica marxista e politica federalista (1942-43 ora in A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto di Ventotene, RCS Quotidiani su licenza Mondadori, Milano, 2010, pp. 73 e ss.), così si esprimeva:
“L’ostinazione con cui i socialisti si attengono all’ideale collettivista, è l’espressione dell’inconscia dipendenza delle forze progressiste dall’idolo nazionale e militarista. Anche le forze che credono di combatterlo, in realtà lavorano per lui.” (pag. 106);
e, poi, a pag. 112: “Passando dal campo degli interessi economici a quello delle tendenze politiche, scorgiamo che le tendenze socialiste democratiche sono molto sensibili ad impostazioni di carattere antimilitarista, internazionalista e popolare, e potranno quindi fornire molte forze all’opera federalista. Ma tendono anche a deviare da questa direttiva, se si presenta loro la possibilità, magari illusoria, di realizzazioni più immediate, socialiste o democratiche su ridotta (ed avvelenata) scala nazionale.”
La prima citazione ha una nota, la numero 11 (pag. 121), presso la quale leggiamo:
“L’esempio del socialismo inglese è caratteristico. L’Inghilterra, paese poco militarista, è stata sempre un campo poco fruttuoso per le idee marxiste, quantunque abbia eseguito molte singole collettivazioni. [sic] Ma l’ideale della statizzazione vi ha preso piede parallelamente al crescere delle esigenze militariste. Oggi che il conflitto le impone un collettivismo di guerra, i laburisti, pur invocando per l’indomani una federazione di popoli, dichiarano che intendono mantenere e sviluppare l’economia pianificata.
Se faranno ciò, faranno senz’altro fallire la federazione, poiché la loro economia pianificata non potrà che essere inglese, autarchica, sezionale, nazionalista. Si potrà far aderire l’Inghilterra alla federazione pur nazionalizzando molte sue imprese. Non c’è contraddizione insuperabile. Ma non si potrà fare una federazione vitale ed una economia nazionale pianificata”.
Sia chiaro che qui per “economia nazionale pianificata” ci si riferisce non al bolscevismo, ma al piano Beveridge, a cui proprio in quegli anni Caffè tributava il proprio apprezzamento su Cronache Sociali e Giorgio La Pira, con la collaborazione dello stesso Caffè, avrebbe indicato come via per soddisfare l’“attesa della povera gente”.
Più in generale, parliamo di uno dei modelli fondamentali di riferimento per i costituenti(punto 9).
Medesimo refrain presso un altro architetto neoliberale, Walter Lippman (punto 6), che così scriveva sulla Gazzetta di Losanna (9 settembre 1948):
“Non bisogna cullarsi nell’illusione: l’unione politica delle nazioni libere d’Europa è incompatibile con il socialismo di Stato di tipo britannico”. (Denord, Schwarz, op. ult. cit., pag. 20).
4.2. Non è che gli stessi laburisti fossero ignari della minaccia rappresentata dall’europeismo neoliberale. Eloquente a questo proposito risulta il manifesto del comitato esecutivo del Partito Laburista del maggio 1950 sulla questione dell’unità europea.
Il documento conserva spunti di grande attualità, e meriterebbe pertanto lettura integrale; qui ve ne traduco alcuni dei passaggi più significativi, che dimostrano, tra l’altro, l’assoluta malafede di un attacco al laburismo in nome dell’anticomunismo:
“L’atteggiamento del Partito Laburista verso i problemi dell’unità europea, come verso ogni altro problema di politica interna o internazionale, è determinato dai principi del socialismo democratico e dagli interessi del popolo inglese come membro del Commonwealth e della comunità mondiale.
I principi del socialismo democratico
I socialisti credono che un’economica capitalista non controllata possa funzionare solo al costo di conflitti fra nazioni e classi che possono risultare fatali per la civiltà nell’epoca atomica. […] Giustizia sociale, pieno impiego e stabilità economica dovrebbero essere fra gli obiettivi di ogni governo democratico. Non possono essere mantenuti in un’economia deregolata [free market economy] senza deliberati interventi pubblici per correggere le tendenze dannose e stimolare quelle benefiche. Senza questi interventi, gli aggiustamenti avvengono a spese dei lavoratori e si crea una frattura sociale suscettibile di distruggere la democrazia.
Il disastro economico e la guerra hanno sempre punito l’incapacità di conseguire questi obiettivi. In questo momento tale incapacità risulta doppiamente pericolosa. Una gran parte del mondo è controllata da uomini che hanno rifiutato la libertà come principio del progresso umano.
Essi affermano che la giustizia sociale, il pieno impiego e la stabilità economica possono essere conseguiti solo al prezzo di una rigida tirannia sui corpi e le menti degli individui. Ovunque la democrazia non sia riuscita a soddisfare questi bisogni, la dottrina comunista ha trovato terreno fertile. Questa dottrina è oggi un’arma fondamentale nella politica espansionista dello Stato Sovietico. Quindi l’imperialismo russo minaccia il mondo libero sia con le armi che con la penetrazione ideologica.
Il socialismo è quindi un elemento fondamentale nella lotta della democrazia contro il totalitarismo. Il Partito Laburista non potrebbe mai accettare nessun impegno che limiti la propria o l’altrui libertà di realizzare il socialismo democratico e di applicare i controlli economici necessari per conseguirlo.”
Aperta parentesi: in effetti combattere il comunismo a colpi di liberismo (cioè di disoccupazione) non sembra proprio un’idea geniale.
Difficilmente può essere considerata casuale la relativa modestia, almeno in termini quantitativi, nell’avanzamento del processo di unificazione europeo a comunismo esistente, e la sua accelerazione galoppante a comunismo defunto. Chiusa parentesi.
“Benché l’interdipendenza politica imponga la cooperazione, non ci si può aspettare che tale cooperazione produca ulteriori vantaggi all’Europa nel suo insieme.
Le economie nazionali dell’Europa occidentale sono parallele e competitive più che complementari: gran parte della possibile specializzazione ha già avuto luogo.
[…]
Alcuni ritengono che la richiesta unità d’azione non possa essere ottenuto attraverso la cooperazione fra Stati sovrani, dev’essere imposta da un apparato sopranazionale con poteri esecutivi. Ritengono che i paesi europei debbano formare un’unione sia nella sfera politica che economica cedendo intere aree di intervento pubblico a un’autorità sopranazionale.
[…]
I popoli europei non vogliono un’autorità sopranazionale che imponga accordi. Hanno bisogno di un sistema di attuazione di accordi che sono stati raggiunti senza imposizioni.
Un’unione economica o politica?
Possono essere concepiti diversi tipi di unione. Di recente c’è stato grande entusiasmo per un’unione economica volta a rimuovere tutti gli ostacoli interni al commercio, come i dazi doganali, i controlli dei cambi e le quote.
Molti sostenitori di questa politica ritengono che il libero gioco delle forze economiche all’interno del mercato continentale così creato produca una migliore distribuzione della forza lavoro e delle risorse. Il Partito Laburista rifiuta recisamente questa teoria. Le forze economiche di per sé possono operare solo al prezzo di instabilità economica e tensioni politiche che aprirebbero la strada dell’Europa al comunismo.
L’improvvisa rimozione delle barriere interne al commercio condurrebbe a significativi squilibri, disoccupazione e perdita di produzione. Produrrebbe anche reazioni sociali molto pericolose. Interi rami e distretti industriali fallirebbero e sparirebbero. L’Europa non è abbastanza forte per sopportare una simile terapia shock, anche se fosse possibile dimostrare che alla fine potrebbe risultare benefica, il che è altamente discutibile.
[…]
I socialisti darebbero ovviamente il benvenuto a un’unione economica europea che fosse basata sulla pianificazione internazionale per il pieno impiego e la stabilità: ma la pianificazione internazionale può operare solo sulla base di quella nazionale e molti governi europei non hanno ancora dato prova della volontà o della capacità di pianificare le loro economie. […]
Il fatto è che un’unione economica richiederebbe un grado di uniformità nelle politiche interne dei paesi membri che al momento non esiste e che è improbabile esista nel futuro prossimo.
[…]
Una completa unione economica dell’Europa occidentale dev’essere quindi esclusa, dal momento che richiederebbe un impossibile grado di uniformità nelle politiche interne degli Stati membri.
Se essa fosse basata sul “laissez-faire” non solo impedirebbe di risolvere il problema della scarsità di dollari ma causerebbe anche pericolosissimi turbamenti sociali. Se una completa unione economica è impossibile, una completa unione politica è di conseguenza esclusa.”
4.2.1. Per apprezzare la linearità del ragionamento, si legga la contrapposta miope, o truffaldina (certo finanziata dalla CIA), posizione avanzata dai “socialisti” europeisti:
“In risposta agli argomenti dei laburisti inglesi, l’economista André Philip, delegato generale del Movimento Europeo incaricato della propaganda, denuncia il loro “isolazionismo nazionalista”, sostenendo che se la Gran Bretagna volesse veramente unirsi all’Europa, “si accontenterebbe di chiedere che fosse democratica”.
Per lui come per certe frange del socialismo parlamentare, la causa socialista si trova posta in secondo piano […]: prima l’Europa, poi il socialismo. “Non siamo d’accordo su tutti i punti” spiega André Philip, “ma io, socialista, preferirei un’Europa liberale che nessuna Europa, e penso che i miei amici liberali preferirebbero un’Europa socialista a nessuna Europa”. Questa reciprocità i suoi “amici liberali” non gliela resero mai.” (Denord, Schwarz, op. ult. cit., pagg. 21-22).
4.2.2. Naturalmente più si esaltano i presunti pregi del fine, o si enfatizzano le minacce di un suo abbandono o anche solo di una sua riconsiderazione – per esempio sostenendo chel’unificazione europea sarebbe l’unico antidoto alla guerra – più il ragionamento si presta a rilanci verso il basso: “prima l’Europa, poi la democrazia (formale)”, tanto per dire.
Il concetto di “deficit democratico” costituisce in effetti una eufemistica razionalizzazione di questo esito nefasto.
Ma che cosa impedisce ulteriori rilanci? Qual è il limite? (Chiaramente il riferimento alla Costituzione ha, fra i molti, il pregio di fornire una risposta chiara e sicura a questa domanda).
4.2.bis. Un momento, però: l’accusa di assolutizzare i fini e separarli dai mezzi non è stata ripetutamente rivolta ai comunisti dai tanti maestri di prudenza e realismo liberali?
In effetti, secondo Isaiah Berlin: “schiacciare gli individui in nome di una “vaga felicità futura che non può essere garantita, riguardo alla quale non sappiamo niente, che è semplicemente il prodotto di un qualche enorme costrutto metafisico” costituiva “prova sia di cecità, perché il futuro è incerto” sia “di malvagità perché calpesta i soli valori morali che conosciamo”.
In effetti “uno dei più gravi peccati che l’essere umano possa commettere è tentare di trasferire la responsabilità morale dalle proprie spalle a quelle di un imprevedibile ordine futuro”; tale subordinazione dei problemi odierni alle attese future era “una fatale dottrina diretta contro la vita umana”.” (J. Cherniss, A Mind and Its Time: The Development of Isaiah Berlin’s Political Thought, Oxford U. P., Oxford, 2013, pag. 121).
D’altra parte, se anche bonus Homerus quandoque dormitat, figuriamoci se pure il saggio realismo liberale non si farà qualche pisolino ogni tanto…
4.2.ter. Quel che mi pare vada ancora osservato è che tale separazione di mezzi e fini, ossia l’accettazione di un presente inaccettabile in nome di un meraviglioso ma molto teorico futuro, è ciò che i sostenitori della “deviazione” non fanno altro che riproporci oggi, con minime variazioni: è vero, ci dicono, l’UE e l’euro così come sono non vanno, ma continuiamo a tollerarne i difetti finché non siano attuabili le (di nuovo) molto teoriche correzioni, che ci schiuderanno il futuro radioso che l’Europa ha sempre avuto in serbo per noi o almeno ci eviteranno la catastrofe apocalittica che ci colpirebbe qualora volessimo intraprendere altre strade.
Quanto sia politicamente sensato e plausibile questo modo di ragionare, abbiamo ormai decenni alle spalle per valutarlo; sia chiaro però che applicarlo al piano costituzionale significa abolire il concetto stesso di costituzione rigida, che vieta questo genere di “lungimiranti” manifestazioni del “primato della politica”.
4.2.ter.1. Torniamo ai laburisti inglesi.
[…]
“La conferenza di Roma dei sindacati europei […] ha incluso la seguente dichiarazione nel suo comunicato finale: “L’importanza dell’unità è così vitale che debbono essere corsi alcuni rischi; ma dev’essere riconosciuto che, a meno che certe politiche, in particolare il pieno impiego delle risorse e una distribuzione più equa dei redditi nazionali, vengano seguite fin dall’inizio, l’unità non verrà costruita su fondamenta solide e, nel lungo periodo, verrà minata da instabilità sociale e politica.”
Ciò è senz’altro vero.
Non c’è nessun vantaggio a unire i popoli europei attraverso le frontiere nazionali se sono profondamente divisi entro ogni nazione dal conflitto di classe [class war]”.
Ecco, questa mi pare lungimiranza vera.
fonte: http://orizzonte48.blogspot.it/2016/12/la-mitologia-della-purezza-originale-la.html
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