5Stelle e un mare di problemi
di CARLO CLERICETTI
Togliere il simbolo dei 5Stelle a Virginia Raggi? Eh no, troppo facile cavarsela così. Se dovessero farlo, non è che con questo dividerebbero la loro responsabilità da quanto è successo e succederà in Campidoglio. Perché Virginia Raggi è stata candidata dai 5Stelle alla carica di sindaco, non è scesa da Venere. Ha avuto i voti di chi ha votato 5Stelle, non quelli di una sua lista civica che ha sbaragliato i concorrenti. Insomma, se la Raggi è lì è perché il Movimento 5Stelle ce l’ha voluta, e adesso sarebbe non solo troppo facile, ma ulteriormente irresponsabile dire semplicemente “ci siamo sbagliati, abbiamo visto che non ci rappresenta e quindi la cacciamo e noi non c’entriamo più niente”. Stiamo parlando del sindaco della capitale d’Italia, mica dell’allenatore di una squadra dell’oratorio.
Ci aspetteremmo che i 5Stelle analizzassero quello che è accaduto e facessero sapere ai cittadini che cosa secondo loro non ha funzionato. La guida di Roma era un test decisivo per una forza politica che potrebbe vincere le prossime elezioni e magari andare alla guida del paese. Il test per ora è una catastrofe: se il Movimento non è in grado nemmeno di analizzare il perché, vuol dire che non è nemmeno capace di imparare dai suoi errori, e allora più che di inesperienza si deve parlare di incoscienza.
Senza la pretesa di fare lezioni a nessuno, proviamo ad esprimere qui il punto di vista di un osservatore esterno.
1) Sconcertante improvvisazione. Da almeno sei mesi prima delle elezioni appariva tanto probabile da esserne praticamente certi che i 5Stelle avrebbero vinto a Roma. C’era insomma molto più del tempo necessario per mettere insieme una squadra di governo credibile e preparata, senza personaggi dubbi – come ad esempio è apparsa da subito l’assessore Muraro, per non parlare dei funzionari di vertice – e con un disegno preciso delle competenze, in modo da evitare quel che è accaduto immediatamente e cioè gli scontri interni su chi decide che cosa. In sei mesi questo “governo ombra”, che avrebbe potuto usufruire di tutte le informazioni necessarie grazie ai consiglieri in carica, avrebbe dovuto preparare i provvedimenti dei primi “cento giorni”, da attuare appena entrato in carica. Nulla di questo è stato fatto: abbiamo invece assistito a un incredibile balletto di nomine – neanche dell’ultimo minuto, persino un bel po’ di tempo dopo – seguite da una raffica di revoche e dimissioni come mai era stato dato di vedere in nessun tempo e in nessun luogo.
Vista l’importanza e le difficoltà del test, non poteva e non doveva essere la candidata sindaco da sola a preparare il governo della città. Se è andata così, è stato fatto un errore imperdonabile. Se invece i vertici del Movimento sono corresponsabili dell’accaduto, dovrebbero spiegare come pensano di poter evitare in futuro fallimenti così clamorosi.
2) Selezione della classe dirigente. Con tutto il rispetto per Virginia Raggi, possibile che non si potesse trovare di meglio per il compito – che si sapeva estremamente arduo – di sindaco di Roma? La conclusione che se ne trae è che i 5Stelle hanno un vuoto spaventoso di classe dirigente, oppure che i loro criteri di selezione – essere iscritti da un tot di tempo, non aver ricoperto altre cariche politiche – sono sbagliati, o più probabilmente le due cose insieme. Siccome questo è un aspetto cruciale del fare politica, il Movimento farebbe bene a riflettere profondamente su questo problema. E dopo averne tratte le conclusioni, annunciare cosa e come vuole cambiare.
3) L’uomo solo al comando. Partiti “personali” ce ne sono sempre stati, dall’Uomo qualunque di Giannini al Partito radicale di Pannella. L’apoteosi è stata raggiunta con il partito-azienda di Berlusconi, anche perché mai, fino a quel momento, una forza politica di questo genere era arrivata alla guida del paese. La scelta sciagurata del bipolarismo ha reso strutturale questa tendenza: raccogliere in soli due schieramenti la varietà delle tendenze politiche comporta la costruzione di agglomerati che non possono presentare una proposta politica precisa, ma solo proporre una prospettiva sufficientemente vaga da non scontentare nessuna delle componenti. In questo contesto, l’elemento unificante ( e il “prodotto da vendere” agli elettori) può essere solo il leader della coalizione, il cui nome non a caso comincia ad essere indicato sulla scheda elettorale, cosa di fatto incostituzionale perché contrasta con la prerogativa del presidente della Repubblica di scegliere la persona a cui affidare la formazione del governo.
Intendiamoci: specie per far nascere una nuova forza politica un leader carismatico ci vuole, come testimoniano gli esempi non solo dei 5Stelle, ma di Syriza in Grecia, Podemos in Spagna o – sul versante opposto – l’Ukip nel Regno Unito. Quello che fa la differenza tra un partito “normale” e uno personale è la struttura organizzativa e direttiva che la formazione si dà. Il Movimento non ha neanche uno Statuto e una decisione di Beppe Grillo può creare un “direttorio” e poi d’improvviso revocarlo. La “democrazia diretta” della rete è uno strumento che può essere una buona cosa – e gli altri partiti farebbero bene ad incominciare ad usarlo in modo adeguato – ma può far scivolare facilmente verso una “democrazia plebiscitaria”, non adatta alla gestione di problemi complessi e che possono richiedere soluzioni finali di compromesso che possono essere raggiunte solo se a decidere è un numero limitato di persone. L’esercizio della democrazia richiede procedure codificate e deleghe, che possono essere revocate – anche in questo caso in base a procedure stabilite – se il delegato non soddisfa i rappresentati. Diventare un partito “normale” non significa rinunciare al cambiamento, ma attivare quei meccanismi che la storia e l’esperienza hanno mostrato essere necessari a qualsiasi organizzazione che voglia essere davvero democratica.
Ecco, i 5Stelle dovrebbero dare queste risposte, a loro stessi prima che agli altri. E dopo – ma solo dopo – fare quello che non hanno fatto per Roma: costituire un “governo ombra”, con le persone che ne farebbero effettivamente parte in caso di vittoria alle prossime elezioni, e che spieghino che cosa farebbero nelle varie situazioni che si presentano. In Italia non è nella tradizione dei partiti l’iniziativa del governo ombra (è stato fatto una o due volte in passato, ma senza lasciare grandi ricordi). In questo caso, però, il Movimento dovrebbe garantire per tempo agli elettori che nell’eventualità di un loro ingresso al governo non si replicherebbe il marasma romano. Dovrebbe far sapere agli elettori quali sono le persone con cui intenderebbe governare, e per fare che cosa di preciso. Dar modo agli elettori di conoscere i suoi “ministri” e farsi un’idea delle loro capacità, anche se proporre in teoria è parecchio diverso che agire nella realtà.
Di alternative ai partiti attuali c’è sicuramente un gran bisogno. Ma dopo il disastro di Roma i 5Stelle dovranno impegnarsi davvero per cancellare l’immagine di un gruppo di dilettanti allo sbaraglio.
fonte: http://clericetti.blogautore.repubblica.it/2016/12/18/5stelle-e-un-mare-di-problemi/
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