Quanto vale l’Italia?
di NICOLA DI CESARE (FSI Cagliari)
Come molti sapranno, i criminali novellati articoli 81 e 97 della Costituzione prevedono che il bilancio dello Stato e delle Pubbliche Amministrazioni debbano mantenersi, al netto delle oscillazioni del ciclo economico, in pareggio tra entrate e uscite, in coerenza con quanto preteso dall’Unione Europea.
Questo principio incostituzionale introdotto forzatamente nella nostra costituzione, benché disattivi di fatto tutta l’originaria impostazione del progetto politico che essa rappresenta, definisce e parifica il bilancio dello Stato a quello di un’azienda privata nella quale, la sostenibilità economica è garantita, al netto delle oscillazioni di mercato, dalla sua capacità nella peggiore delle ipotesi di non incrementare l’indebitamento, mantenere inalterato il patrimonio e remunerare correttamente i fattori della produzione.
L’andamento economico d’esercizio di un’azienda è riscontrabile dall’analisi del suo bilancio che riunisce, alla data convenuta, da un lato lo stato dei profitti e delle perdite dell’attività economica svolta e dall’altro lo stato patrimoniale dell’impresa unitamente al rendiconto finanziario (analisi di fonti e impieghi).
Ipotizzando (per assurdo) dunque che uno Stato funzioni come un’impresa economica privata, la sua contabilità dovrebbe riflettere esattamente lo stesso suddetto schema contabile; da un lato le entrate e le uscite (profitti e perdite) e dall’altro lo stato patrimoniale dell’intera nazione.
Tuttavia, come sappiamo, per quanto attiene alla contabilizzazione ex post della sua attività d’esercizio, non esiste nella contabilità pubblica un vero stato patrimoniale, ma ciò che si definisce come Rendiconto generale dello Stato altro non è che un documento giuridico-contabile in cui sono riportate, nel Conto del Bilancio le entrate e le spese pubbliche relative all’attività finanziaria dello Stato, in un periodo di tempo determinato, nel confronto tra i prospetti dei bilanci previsionale e consuntivo, e nel Conto del Patrimonio, le attività e le passività finanziarie e non finanziarie prodotte; nulla è riferito contabilmente alla patrimonializzazione del capitale fisso (immobili, opere pubbliche, impianti di produzione di beni e servizi, reti) scaturita dall’azione pubblica. In altri termini non conosciamo il valore economico dell’Italia.
Ora realizziamo un’astrazione contabile (i puristi della scienza delle finanze e dell’economia aziendale mi perdoneranno) con l’obiettivo di capire il perché dell’affossamento dell’economia nazionale e il come del processo di liquidazione dello Stato Italiano.
Cosa dovrebbe contenere quindi un ipotetico stato patrimoniale della nazione se questa fosse un’impresa ?
Dal lato dell’attivo, l’intero valore immobiliare del paese, il valore suoi enti di produzione di servizi vendibili e non vendibili, scuole, università, ospedali, caserme, uffici; il valore di tutte le imprese di produzione di beni, il valore di mercato di tutte le opere d’arte, di tutte le infrastrutture pubbliche, strade, porti, aeroporti, reti di distribuzione, acque, terre, sottosuolo, foreste e infine, considerato che lo stato comprende anche i suoi cittadini, tutti i beni mobili e immobili da essi detenuti. Dal lato delle passività dovrebbero comparire il debito verso estero cumulato dalla bilancia dei pagamenti e l’intero debito pubblico.
Senza perderci in sofisticate analisi, facciamo i conti della serva (miliardo più, miliardo meno).
Il debito pubblico Italiano pari a circa 2220 miliardi, di cui il 70% in mano privata di cittadini e imprese Italiane (all’incirca 1550 miliardi, perlopiù istituzioni bancarie), consiste quindi in una passività netta di circa 670 miliardi.
Alla fine del secondo trimestre del 2016 la posizione patrimoniale netta sull’estero dell’Italia era negativa per 321,6 miliardi (19,4 per cento del PIL)
Mettiamo quindi pacificamente al passivo patrimoniale una cifra che oscilla intorno ai 1000 miliardi.
Ora vediamo l’attivo.
A quanto ammonta l’intero patrimonio della nazione di cui alle voci sopra indicate ? Non lo sappiamo, ma è ragionevole pensare che l’intero valore sopravanzi di gran lunga il passivo indicato nell’ordine delle svariate decine di migliaia di miliardi.
Il solo valore del patrimonio immobiliare del paese alla data del giugno 2016 si aggirava attorno a 9600 miliardi e, sempre nella stessa data, gli Italiani possedevano circa 1300 miliardi di liquidità tra depositi e conti correnti.
Se l’Italia fosse un’impresa e gli investitori leggessero i suoi bilanci scoprirebbero di trovarsi di fronte a una azienda finanziariamente molto solida; un’impresa che produce da vent’anni utili enormi (Avanzi primari. Dal 1996 a oggi l’Italia ha accumulato nel complesso un surplus primario medio del 2% l’anno, nel complesso pari al 43% del Pil o circa 700 miliardi di euro ai valori attuali) che vengono sequestrati sull’uscio dal pizzo del “patto di stabilità” (pena l’incendio del locale).
Ma lo Stato NON è un’impresa e l’articolo 81 è una ridicola sciocchezza imbevuta della stolida cultura neoliberale assurta al rango di teocrazia finanziaria. Esso rappresenta un vulnus pianificato e attuato per spogliare lo stato (e i suoi cittadini) delle sue ricchezze costringendolo a ridurre la sua attività per mancanza di finanziamento ed infine impedirne per sempre i suoi margini di operatività istituzionale.
Quindi la ricchezza del paese va mediaticamente nascosta e silenziata per poter essere infine depredata e privatizzata nel silenzio delle stanze di Bruxelles e di Francoforte, passando dapprima per la svendita del patrimonio privato nelle mani delle economie del nord Europa e poi alla liquidazione dell’intero Stato Italiano derubricato a ufficio periferico di rappresentanza, a Prefettura dell’Unione Europea.
Capiamo come.
Immaginiamo un’impresa con garanzie reali pari 50 volte (e oltre) il suo indebitamento netto e con un merito di credito enorme alla quale è stata tolta la possibilità di accedere al credito per innovarsi, fare ricerca, comprare nuovi macchinari, aumentare e innovare le proprie produzioni e renderle più competitive e svolgere la sua attività di produzione.
Immaginiamo un’impresa che prima di allora avesse la possibilità di finanziarsi illimitatamente a costo zero senza l’obbligo di restituzione del proprio debito in quanto erano i suoi stessi soci (i cittadini Italiani) a finanziarla con il loro denaro. Quegli stessi soci erano anche proprietari della banca che crea il denaro necessario per l’intera gestione aziendale.
Immaginiamo che il potere di erogare credito sia stato per legge ceduto a una banda di strozzini che creano moneta dal nulla e costringono l’azienda a indebitarsi per poter sopravvivere giorno dopo giorno pretendendo tassi assurdi e minacciando continuamente l’obbligo di restituzione del debito contratto.
Questa “impresa” dopo 35 anni ha accumulato un debito pari a circa 2200 miliardi (prima di allora era appena un terzo in termini percentuali del PIL e un quinto in termini reali), costituito interamente da interessi su interessi e nemmeno un solo euro di quei 2200 miliardi sia stato destinato alla spesa corrente o agli investimenti e nemmeno alla restituzione del debito ma solo al pagamento di interessi.
Questa è l’Italia, costretta dall’Unione Europea e dai vincoli esterni derivanti dall’Eurozona a morire di inedia.
E’ necessario che l’Italia riprenda in mano le redini del suo destino e metta a frutto il suo intero patrimonio materiale ed umano senza gli assurdi vincoli a cui oggi è sottoposta; che esca dai vincoli del mercantilismo e del monetarismo a guida Tedesca, che si doti di una moneta sovrana emessa da una banca centrale pubblica al servizio delle politiche economiche del ministero del tesoro, tale da finanziare lo stato evitando il ricorso ai mercati finanziari; una moneta per controllare i fondamentali economici del paese e realizzare l’obiettivo principale della costituzione Italiana del 1948, rappresentato dal regime di piena e stabile occupazione e dalla tutela dei diritti sociali.
Noi del Fronte Sovranista Italiano esistiamo per questo; per dare all’Italia una nuova classe dirigente e un nuovo partito di massa che sia garanzia di crescita economica e sociale del popolo Italiano, libero e sovrano, nel pieno rispetto del dettame costituzionale originario, mondato dai vincoli imposti illegittimamente al paese dalla sopraffacente geopolitica e dalla finanza speculativa apolide transnazionale. Ci libereremo.
Commenti recenti