Siria: l’accordo Russia-Turchia e il destino della guerra
di LOOKOUT NEWS (Alfredo Mantici)
L’intesa tra Mosca e Ankara potrebbe essere il passo decisivo verso la fine del conflitto siriano. Prossimi negoziati ad Astana in attesa di conoscere la prima mossa di Trump
Alla mezzanotte di giovedì 30 dicembre è entrato in vigore ad Aleppo il cessate il fuoco concordato nei giorni precedenti durante un incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, con il consenso a distanza del presidente siriano Bashar Al Assad e della leadership iraniana che fin dall’inizio della crisi nel 2011 non ha mai cessato di sostenere il regime di Damasco.
A seguito dei colloqui di Mosca è stato deciso che il 23 gennaio sarà organizzato ad Astana, capitale del Kazakhstan, un tavolo negoziale aperto a tutte le parti in causa – con l’esclusione dell’ISIS e dei qaedisti di Jabhat Fateh Al Sham (ex Jabhat Al Nusra) – e ai loro sponsor esterni per tentare di porre fine a una guerra civile che finora ha provocato oltre 470.000 vittime. I curdo-siriani dell’YPG (Unità di Protezione del Popolo) non sono invece neanche menzionati nell’intesa: un modo attraverso cui, di fatto, il Cremlino lascia momentaneamente mano libera ad Ankara per il proseguimento della sua campagna militare “Scudo sull’Eufrate” nel nord della Siria al confine con la Turchia.
Il punto sulla tregua
La tregua nei combattimenti nella più grande e antica città della Siria è scattata dopo che le forze governative erano riuscite, nelle ultime settimane del 2016, a riconquistare i quartieri orientali, occupati fin dal 2012 dalle forze ribelli del Free Syrian Army e da Jabhat Fateh Al Sham.
La svolta sul campo di battaglia è stata determinata non soltanto dal successo militare dell’offensiva dei lealisti sostenuti dall’aviazione russa, ma anche dal mutato atteggiamento della Turchia che, dopo aver sostenuto la rivolta anti-Assad fin dal 2011 con ingenti rifornimenti di armi e con finanziamenti, ha cambiato bandiera e ha accettato di associarsi a Mosca e Teheran in uno sforzo di stabilizzazione della regione che passa inevitabilmente per il mantenimento al potere di Bashar Al Assad.
Il ministro degli Esteri siriano, Walid Al Muallem, ha dichiarato che la tregua “offre una vera chance alla pace” e che il suo governo parteciperà ai colloqui di Astana “con mente aperta, pronto a discutere su tutto, con l’eccezione della sovranità nazionale e del diritto del popolo a scegliere la leadership”. Il ministro ha aggiunto che la tregua verrà estesa se possibile a tutto il Paese, con l’eccezione delle aree ancora occupate dall’ISIS e da Jabhat Fateh Al Sham. Secondo un portavoce dei 13 gruppi ribelli aderenti alla Free Syrian Army che hanno siglato l’accordo di tregua anche Jabhat Fateh Al Sham dovrebbe essere incluso nel cessate il fuoco visto che ribelli siriani e qaedisti continuano a occupare insieme la provincia di Idlib confinante con Aleppo.
A una settimana dalla firma dell’accordo per il cessate il fuoco la tregua sembra tenere. I portavoce dei ribelli hanno protestato per alcune presunte violazioni, accusando i miliziani di Hezbollah – il gruppo libanese sciita che appoggia Damasco – di essersi spinti nella valle di Wadi Barada, a nord ovest di Aleppo, nelle 24 ore successive alla mezzanotte del 30 dicembre. Secondo fonti locali citate dall’Osservatorio siriano per i diritti umanisi è trattato di un tentativo in extremis, parzialmente riuscito, di prendere il controllo del bacino idrico che rifornisce di acqua potabile tutta la città.
La mossa di Erdogan e il ruolo di Trump
Le Nazioni Unite, che con l’inviato speciale in Siria Staffan de Mistura avevano tentato con scarso successo per tutto il 2016 di avviare un accordo negoziale tra le parti in causa, hanno dovuto prendere atto (forse a malincuore) del successo del dialogo tra Putin ed Erdogan, e il 31 dicembre hanno sottoscritto l’accordo di Aleppo con una votazione unanime del Consiglio di Sicurezza.
Nel 2016 erano stati siglati in Siria diversi accordi di tregua, spesso con il sostegno attivo degli Stati Uniti. Tutti erano però rapidamente falliti, anche perché gli islamisti grazie al sostegno fondamentale di Ankara avevano sempre usato i giorni di tregua per riarmarsi e rifornirsi. L’accordo del 30 dicembre ha buone possibilità di reggere proprio grazie al voltafaccia di Erdogan che ha preso finalmente atto della tenuta del regime di Assad, il quale grazie al supporto di Mosca è riuscito a resistere.
Il mutato atteggiamento del governo di Ankara, che solo un anno fa era ai ferri corti con il Cremlino dopo l’abbattimento di un jet russo che aveva violato per pochi secondi lo spazio aereo turco, è stato sicuramente determinato dal progressivo isolamento internazionale nel quale si è trovato il presidente Erdogan quando sono emerse le prove del suo sostegno ai ribelli islamisti e non solo ai “moderati”. Ma il presidente turco probabilmente è stato spinto a fare questa mossa anche dal successo di Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca.
Il nuovo presidente americano durante la campagna elettorale non ha fatto mistero della sua intenzione di avviare una fase di distensione nei rapporti tra Stati Uniti e Russia e di aumentare l’impegno nella lotta contro l’ISIS e contro altre formazioni jihadiste. Dopo la vittoria di Trump, Erdogan ha evidentemente temuto di rimanere schiacciato da un nuovo accordo tra Washington e Mosca e ha deciso di riavvicinarsi al Cremlino giocando di anticipo rispetto alla nuova Amministrazione americana. Una mossa pragmatica di riallineamento strategico che parte proprio dalla Siria. Per questo, stavolta, la tregua di Aleppo forse reggerà.
Fonte: http://www.lookoutnews.it/siria-aleppo-tregua-russia-turchia/
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