Il grande bivio degli sconfitti
di ALESSANDRO GILIOLI
L’economia globale contemporanea che «consiste nel vendere a dei disoccupati prodotti fatti da schiavi» è sicuramente frase iperbolica, retorica e “populista”.
Tuttavia è difficile dire che non colpisca il cuore e la carne di alcuni milioni di persone: gli sconfitti dei grandi cambiamenti degli ultimi decenni, i famosi forgotten della globalizzazione, insomma quelli che in Occidente hanno visto peggiorare e non migliorare le proprie condizioni e, soprattutto, le proprie prospettive.
La frase in questione non l’ha detta un leader di sinistra, ma Marine Le Pen, ieri, a Lione, nel comizio con cui ha lanciato la sua campagna elettorale. Un discorso tutto centrato sulla questione della protezione: protezione dei confini, protezione dell’identità nazionale, protezione dal terrorismo islamico, protezione dagli effetti dei mercati, protezione delle classi sociali più basse, protezione delle pensioni.
Anche il discorso di Trump, il 20 gennaio scorso, era tutto centrato sulla parola “protection“.
Non interessa qui prevedere se e come Trump – e magari Le Pen – saranno in grado di dare realmente più protezione ai loro cittadini, ed eventualmente a discapito di chi, in cambio di che cosa.
Quello che invece salta agli occhi con ogni evidenza è la forza dirompente di questo meme, la protezione, che sta sostituendo quello prevalente degli ultimi decenni, cioè la competizione.
Quando caddero i regimi comunisti – che ai loro cittadini garantivano casa e lavoro, seppur sotto dittatura – ci fu spiegato non senza ragione che tra le cause di quel crollo c’era l’assenza di competizione. Che aveva portato le economie di quei paesi allo stallo, e a perdere la sfida con l’Occidente. Le scassate Trabant di Berlino est messe a confronto con le fiammanti Audi dell’Ovest erano la rappresentazione plastica di quel fallimento comunista. Da un lato le economie della competizione, che stimolavano inventiva, creatività, impresa e quindi produzione di valore; dall’altro le economie pianificate che soffocavano ogni impresa, ogni idea, ogni innovazione, e quindi si impaludavano nella redistribuzione della povertà.
Di qui, da quel confronto con un vincitore chiaro, l’illusione che non ci fosse più storia: che la competizione tra mercati sempre più liberi e intercomunicanti sarebbe stato l’ineluttabile, radioso e pacifico destino del genere umano.
Qualcosa, invece, è andato storto.
Qualcosa dev’esser andato molto storto se meno di trent’anni dopo è arrivata una retromarcia così clamorosa: e la Brexit, e Trump, e adesso la Le Pen unica candidata in Francia sicura di arrivare al ballottaggio.
E qualcosa dev’essere andato ancora più storto se il concetto di protezione è diventato trademark della destra (area che tradizionalmente puntava invece sulla competizione) mentre la competizione è rimasta bandiera delle Hillary Clinton, dei Renzi e dei Macron, che di queste neodestre sarebbero avversari o almeno competitor elettorali.
Si sa che la pulsione alla protezione è propria delle epoche in cui le cose non vanno bene (e allora si sente l’esigenza dell’intervento dello Stato) mentre quando tutti pensano di poter migliorare la propria condizione, ecco che lo Stato non lo si vuole più tra i piedi, “basta lacci e laccioli”.
Quindi questa prevalenza della protezione sulla competizione è anche dovuta a fattori contingenti, cioè la crisi iniziata nel 2008.
È tuttavia opinione abbastanza comune che gli effetti di questa recessione non saranno brevi, anzi dureranno molti anni, quindi è improbabile che la tendenza si inverta sul breve.
Quindi, al netto di ogni giudizio valoriale e/o ideologico sulla competizione, credo che una sinistra ancorata al dogma degli ultimi trent’anni – “viva la competizione perché crea più ricchezza” – sia destinata a perdere ancora molto a lungo. E a lasciare spazio ai Trump e alle Le Pen, se questi sono gli unici a rispondere al bisogno di protezione.
Ecco perché chi si sente lontano dalle ricette con cui i Trump e le Le Pen pensano di rispondere a questo bisogno – nazionaliste, militariste, autocratiche e xenofobe – farebbe oggi molto male ad arroccarsi nei dogmi competitivisti.
E dovrebbe caratterizzarsi invece per una radicale protezione solidale: welfare, casa, scuola, salute, diritti universali e continuità di reddito.
È questa, oggi, l’unica alternativa possibile alle estreme destre. È questa l’unica possibilità di offrire agli sconfitti un bivio, l’unica chance per non spedirli a milioni verso i nuovi fascismi.
Ed è, credo, l’unica issue su cui valga la pena discutere, invece di stare a fare i violinisti sul Titanic baloccandoci su Emiliano contro Renzi, Raggi contro Lombardi, Fratoianni contro Scotto – e altre simili inutilità.
fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/02/06/il-grande-bivio-degli-sconfitti/
Commenti recenti