Noi paghiamo, la famiglia Agnelli smonta l’Auto italiana e guadagna 6 miliardi.
da STILUM CURIAE, Blog PAPI E DINTORNI (Marco Tosatti)
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione questo articolo pubblicato da Today.it, che ringraziamo di cuore. Buona lettura e condivisione.
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Paghiamo noi la Fiat e la famiglia Agnelli incassa 6 miliardi
Il silenzio più assordante è quello di Maurizio Landini (foto sopra), segretario generale della Cgil e prima ancora leader della Fiom, il sindacato degli operai metalmeccanici. Non una parola, non una sola critica contro Stellantis, la holding franco-olandese che dopo aver assorbito il sogno italoamericano di Fiat, sta lentamente smontando l’ultimo patrimonio automobilistico italiano: quello lasciato in eredità da Sergio Marchionne e finanziato in parte da tutti noi, anche grazie a migliaia di ore di cassa integrazione pagate dallo Stato con le nostre tasse.
Serve sicuramente un breve riassunto delle puntate precedenti. Stellantis – la società con sede in Olanda di cui è presidente John Elkann, che ha ereditato l’impero Fiat dal nonno Giovanni Agnelli – ha appena messo in vendita lo stabilimento torinese della Maserati a Grugliasco su Immobiliare.it (foto sotto), il portale specializzato nelle offerte di case, appartamenti, uffici e negozi. Marchionne, l’amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles morto improvvisamente nel 2018, è invece il manager che stava rilanciando il gruppo con la fusione Italia-Stati Uniti e aveva voluto trasferire proprio a Grugliasco la produzione delle auto di lusso. Doveva essere il biglietto da visita della sua operazione, tanto che all’impianto di corso Allamano 44, quello ora in vendita, era stato addirittura assegnato il nome di Avvocato Giovanni Agnelli Plant.
Come guadagnare 4 miliardi in un solo anno
Senza troppo esagerare, data la celebrità internazionale della famiglia al tempo che fu, disfarsi della cittadella industriale di Grugliasco è un po’ come se papa Francesco mettesse su Immobiliare.it la basilica di San Pietro per far fronte alla crisi di fedeli. Ma per l’Italia è perfino peggio: perché dimostra l’esaurimento per eutanasia di quel filone di design e di ingegneria, anche se spesso sostenuto dai sussidi di Stato, che nei decenni ha dato lavoro a milioni di italiani, ha scritto parte della storia del costume e ci ha permesso di non essere ultimi nel panorama industriale mondiale. La regola infatti non è tenere aperte le industrie per metterci dentro i prodotti. Prima bisogna avere idee vincenti e trasformarle in modelli. Le industrie si mantengono di conseguenza. Senza idee, senza modelli – nonostante il periodo ricco di innovazione e opportunità per il passaggio a motori diversi da quelli a benzina e gasolio – il miracolo italiano è arrivato al capolinea.
Ecco, di tutto questo Maurizio Landini, il segretario della Cgil, non dice nulla. Qualcosa per la verità ha detto, come riferisce il nostro Gioele Urso sulle pagine di TorinoToday: “Abbiamo chiesto incontri a Stellantis per discutere delle scelte generali e a oggi non ci sono stati – sono le parole di Landini –. Il governo non sta facendo abbastanza. Avevamo avuto un incontro e ci avevano detto che c’era una trattativa in corso e che entro luglio e agosto avrebbero presentato un accordo per portare alla produzione di un milione di auto nel nostro Paese. Di questo non c’è traccia”. Come se i nuovi modelli di Maserati, Alfa Romeo e Fiat li dovesse disegnare Giorgia Meloni. Tutto qui?
Stato francese socio di Elkann, il governo italiano no
La storia però non può essere archiviata tra le classiche crisi industriali. Perché John Elkann, il presidente di Stellantis, non è affatto in crisi. Exor NV, la società holding della sua famiglia che ha trasferito la sede in Olanda per godere di benefici fiscali, secondo il quotidiano torinese La Stampa ha consolidato utili nel 2022 per 4,2 miliardi di euro e nel 2021 per 1,7 miliardi.
Stellantis è nata il 16 gennaio 2021 e ha come soci di maggioranza Exor NV con il 14,4 per cento, Peugeot con il 7,2 e lo Stato francese con il 6,2 per cento attraverso la banca pubblica di investimento Bpifrance. Quindi dopo la cessione dei marchi e degli stabilimenti italiani, la famiglia Elkann-Agnelli in due anni ha guadagnato la somma di ben 5,9 miliardi: quasi sei volte il miliardo investito da Sergio Marchionne nel 2013 per rilanciare con successo, proprio nell’impianto in vendita a Grugliasco, i modelli Maserati che oggi a Torino vengono prodotti nella fabbrica di Mirafiori. Ovviamente un imprenditore fa l’imprenditore. E se può guadagnare, guadagna. Il problema semmai è quando sindacati e governo vengono meno ai loro ruoli.
Il silenzio del segretario generale della Cgil è stato commentato dal leader di Azione, Carlo Calenda, già ministro dello Sviluppo economico, dalla sua pagina su X: “In un Paese normale sarebbe innanzitutto il sindacato a chiedere a Elkann di riferire in commissione parlamentare e a esigere risposte certe su una situazione grave come quella di Magneti Marelli – ha scritto il 13 ottobre quando si discuteva del futuro dell’industria di componentistica –. Ma l’Italia non è un Paese normale e quindi Landini fugge il confronto in favore di paginate di Repubblica dove parla della crisi dell’automotive senza mai nominare Stellantis”. Il fatto sottinteso è che John Elkann è oggi anche il proprietario ed editore del quotidiano La Repubblica, che domenica primo ottobre aveva dedicato un’intervista a tutta pagina al segretario della Cgil intitolata: “Salari fermi, pensioni dimenticate. Il governo vende la Fontana di Trevi”.
La storia di Stellantis che vende online lo stabilimento – di Marco Drogo
Sulla bontà del piano Stellantis avevano messo la faccia anche Luigi Di Maio, da ministro dello Sviluppo economico del primo governo di Giuseppe Conte, e Matteo Salvini (sopra, nella foto LaPresse), allora ministro dell’Interno e oggi delle Infrastrutture. Era il momento in cui i politici italiani, a differenza dei francesi con Peugeot, rinunciarono a intervenire sulla perdita di italianità di Fiat Chrysler Automotive (Fca).
E Matteo Salvini disse: “Gli operai Fiat in buone mani”
L’italianità è un tema oggi particolarmente caro a Salvini. Queste le sue parole allora: “Fca continuerà a essere in buone mani, non ci sarà nessun problema né per i lavoratori né per il futuro dell’azienda. Non hanno nulla da temere” (Il Sole 24 Ore, 23 luglio 2018). E questo, sempre dallo stesso articolo, è invece l’appoggio morale di Di Maio al patto franco-olandese: “Dobbiamo essere preoccupati e al tempo stesso voglio sincerare tutti che l’Italia è un Paese che investirà nell’automotive e soprattutto nell’elettrico”. Tre anni dopo, all’annuncio della nascita di Stellantis, ministro dello Sviluppo economico era il 5Stelle Stefano Patuanelli: in una dichiarazione congiunta con il collega francese fece sapere che i due governi “presteranno attenzione all’occupazione e accolgono con grande favore la fusione”. Dal 13 febbraio 2021, con l’arrivo al governo di Mario Draghi, lo stesso ministero passò al leghista Giancarlo Giorgetti, oggi ministro dell’Economa. Il silenzio di Maurizio Landini è insomma in buona compagnia.
Come promesso, il governo di Parigi ha prestato attenzione all’occupazione: quella degli operai francesi, ovviamente. La Francia nel 2022 è infatti il quarto produttore europeo di auto con poco più di un milione di modelli all’anno (grafico sopra, fonte statista.com). Prima è la Germania con 3 milioni 480 mila. Seconda la Spagna, con un milione 785 mila. Terza la Repubblica Ceca. L’Italia è precipitata al nono posto, dietro la Romania e di poco davanti alla produzione russa, con 473 mila veicoli. Nel 2000 eravamo al quinto posto in Europa con un milione e 422 mila auto fabbricate. Mentre la Cina, da inizio millennio a oggi, è passata da 604 mila a 21 milioni e 407 mila macchine prodotte. E nel mondo si è passati da 41,2 milioni a 57 milioni (dati Oica, International organization of motor vehicle manifacturers).
La minor produzione di auto inquinanti in Italia può essere un’ottima notizia. Il problema è che se non sostituiamo i vecchi motori con nuova ricerca e nuovi modelli, perderemo altre posizioni. E, di conseguenza, migliaia di posti di lavoro. Il futuro previsto dall’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, potrebbe essere traumatico, anche a causa della rapida transizione verso il motore elettrico e a idrogeno imposta dalla politica dell’Unione Europea. “Non va perso di vista il fatto che ci saranno conseguenze sociali e rischiamo di perdere la classe media, la quale non potrà più comprare auto”, sostiene Tavares nel 2022 in un’intervista al Corriere della Sera.
Stellantis ha già premiato i lavoratori francesi
Dopo meno di tre anni dalla fusione tra Fca e Peugeot, il confronto all’interno di Stellantis è già a favore della Francia. Tra il 2024 e il 2026 i nuovi modelli prodotti in Italia saranno 13 contro i 24 destinati agli stabilimenti francesi. I siti per assemblare auto ibride o elettriche sono uno in Italia (a Torino Mirafiori) e già cinque in Francia. Perdiamo anche la gara dei brevetti acquisiti da Stellantis: 166 quelli italiani, 1239 i francesi. Non è un caso che lo Stato francese abbia deciso di diventare il terzo socio del gruppo industriale: il governo italiano sta ancora pensandoci su. E poi c’è la drammatica crisi demografica che colpirà più l’Italia che la Francia, se non si formeranno e faranno arrivare legalmente nuovi lavoratori immigrati dall’estero. Ma su questo è improbabile che il governo di Giorgia Meloni cambi linea, prigioniero com’è della sua gabbia ideologica.
Così la città dell’auto è finita in vendita su Internet – di Gioele Urso
I 381 mila posti che Giorgia Meloni nasconde – di Fabrizio Gatti
Rischiamo così di rinunciare nei prossimi diciotto anni al 18 per cento di prodotto interno lordo. Lo ha detto il ministro dell’Economia Giorgetti. E se voi foste Elkann o Tavares, investireste i vostri soldi in un mercato che, oltre a non avere più abbastanza operai, tecnici, manager, è destinato a perdere il diciotto per cento del suo valore? Caro Landini, caro Salvini, smettetela di litigare sugli scioperi del venerdì. E occupatevi finalmente dell’industria italiana. Quel futuro, che il ministro Giorgetti definisce impressionante, è già qui.
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