Quel che non si dice sull’incontro Trump-Netanyahu e la pace in Palestina
di LOOKOUT NEWS (Alfredo Mantici)
Il riconoscimento di Israele mai avvenuto, la consuetudine diplomatica americana, le aperture dell’Autorità Palestinese e la chiusura di Hamas: i veri nodi della pace.
Ieri, 15 febbraio, dopo un lungo incontro a quattrocchi nello studio ovale della Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, hanno incontrato i giornalisti nel corso di una conferenza stampa dai contenuti per molti versi clamorosi. Trump, infatti, parlando del negoziato di pace – di fatto bloccato – tra israeliani e palestinesi, ha sostanzialmente abbandonato la tradizionale posizione della politica estera americana che prevede la “soluzione a due stati”, cioè la costituzione di uno stato palestinese che comprenda i territori di Gaza e della West Bank, lasciando a Israele le terre conquistate durante la guerra d’indipendenza del 1948 e parte di quelle occupate durante la guerra dei Sei Giorni del 1967, compresa la città di Gerusalemme.
Il New York Times, l’influente testata che capeggia l’opposizione della stampa liberal americana nei confronti della nuova amministrazione, stamattina tuonava contro il neo presidente con un articolo nel quale si afferma che «Donald Trump ha gettato a mare due decenni di diplomazia ortodossa […]dichiarando che gli Stati Uniti non insisteranno più sulla creazione di uno stato palestinese come parte di un accordo di pace». Il riferimento è alla prima presidenza Clinton (1991) che, dopo la firma degli Accordi di Oslo, ha inaugurato la strada perseguita da allora in avanti dalla diplomazia americana nel sostenere più intensamente l’ipotesi del “due stati” nella Palestina geografica.
In realtà, il presidente Trump è stato più cauto in quanto, accanto a un insolitamente silenzioso Netanyahu, non ha «gettato a mare» la proposta, ma ha semplicemente detto: «io non cerco una soluzione due stati o uno stato (cioè, Israele con al suo interno una buona fetta di palestinesi già residenti nei territori occupati, ndr), sarei soddisfatto di un risultato gradito a tutte e due le parti in causa. Accetterei qualsiasi delle due soluzioni». Poi, forse per mitigare l’effetto sorpresa su un clamoroso cambio di linea politica rispetto alle precedenti amministrazioni, il neo presidente ha aggiunto che vedrebbe con favore uno stop alla costruzione di nuovi insediamenti ebraici nei territori ancora contesi della Cisgiordania.
La posizione di Netanyahu e dei palestinesi
Il primo ministro israeliano, che pure finora sembrava aver accettato la prospettiva futura della costituzione di uno stato palestinese al fianco di Israele, ha immediatamente approfittato delle parole del collega americano per affermare di preferire il confronto sulla «sostanza» piuttosto che la discussione sulle «etichette». Netanyahu ha sottolineato che il prerequisito per accettare la costituzione di uno stato palestinese indipendente è il riconoscimento di Israele sia da parte dell’Autorità Palestinese che amministra la West Bank sia da parte degli estremisti islamisti di Hamas che governano la città di Gaza. Un prerequisito di difficile soddisfazione, visto che ambedue le fazioni palestinesi dichiarano nei rispettivi statuti di non riconoscere l’esistenza dello stato di Israele, definito semplicemente «entità sionista».
Ora, mentre il capo dell’Autorità Palestinese e leader della fazione moderata Al Fatah, Mahmoud Abbas, è disponibile a discutere di una pace con Tel Aviv e del relativo riconoscimento della stato di Israele, al contrario Hamas, che solo il 13 febbraio scorso ha eletto proprio responsabile politico un estremista come Yehyia Sinwar, difficilmente accetterà di riconoscere Israele e di siglare un trattato di pace con il «nemico sionista».
Con la sua presa di posizione forse Trump ha inteso non solo «gettare a mare due decenni di diplomazia ortodossa» come ha velenosamente commentato il New York Times, ma semplicemente prendere atto della fragilità di una formula che non prevede l’unico passo definitivo verso la pace: la presa d’atto irreversibile del fatto che, piaccia o non piaccia ai palestinesi e ai loro potenti sponsor arabi, Israele è una realtà politica e nazionale che va riconosciuta e accettata.
Il falso mito della consuetudine clintoniana
D’altronde, vale la pena ricordare la soluzione dei due stati non è una novità degli anni Novanta, né una trovata di Bill Clinton. Già nel 1947 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò una risoluzione che decideva la spartizione della Palestina in due stati, uno arabo e uno ebraico. Questa risoluzione di settant’anni fa prevedeva quindi in largo anticipo sugli anni Novanta la “soluzione dei due stati”, ma fu rifiutata dai palestinesi e da tutti gli stati arabi, che nel maggio del 1948 preferirono muovere guerra tutti insieme contro il neonato Stato di Israele, in un conflitto disastroso che li vide sconfitti e che provocò la Nabqa, la “catastrofe”, ovvero il primo esodo massiccio di profughi palestinesi dalle terre conquistate con le armi dagli israeliani. Non sono state sufficienti altre tre guerre – nel 1956, nel 1967 e nel 1973 – per convincere il mondo arabo dell’irreversibile realtà di uno stato ebraico all’interno dei confini di parte della Palestina geografica.
Finora, i negoziati si sono incentrati sulla ricerca di formule diplomatiche che si sono tutte disciolte di fronte al sostanziale rifiuto del mondo arabo-palestinese di riconoscere l’esistenza (e la forza militare) di Israele. La formula dei due stati, dai tempi di Bill Clinton a oggi, anche se “politicamente corretta”, finora si è nella sostanza arenata proprio sul rifiuto di ammettere l’esistenza di quella che non è una semplice «entità sionista» ma uno stato sovrano riconosciuto da tutti i paesi del mondo, compresi alcuni stati musulmani come Turchia, Egitto e Giordania. Forse, l’uscita – molto “trumpiana” – del presidente degli Stati Uniti sul tema dei due stati, servirà quantomeno a riportare il processo di pace nei confini della realtà.
Fonte: http://www.lookoutnews.it/incontro-trump-netanyahu-pace-palestina-gaza-cisgiordania/
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