Siamo davvero a una svolta?
di FRANCO CARDINI
Insomma, pare che Donald Trump faccia sul serio. Confessiamocelo: molti fra noi pensavano fino a qualche giorno fa che in fondo “bluffasse”. E magari lo speravano. Esercitazioni muscolari di uno straricco dai buffi capelli e dalla moglie-Barbie esibita in tutti i modi. Promesse di marinaio prima delle elezioni, cose che si dicono per far bottino di voti facili: e poi, fra il dire e il fare…
E, intendiamoci, non è detto che in fondo le cose non stiano poi davvero proprio così. Molte dichiarazioni, molte minacce. Ma la partita è ancora aperta: certo, c’è il tradizionale periodo di honey moon con gli elettori, quello in cui qualunque neopresidente è quasi il Padreterno. Ma poi il teatrino si smonta, riemergono i poteri messi in sordina, si fanno sentire il parlamento e magari anche il Pentagono e i servizi: e il prode Trump che porta – l’avete notato? – lo stesso nome che negli States distingue il vecchio caro Paperino (Donald Duck) sarà magari condotto a più miti consigli. Anche se, più che a Paperino, lui somiglia a Oncle Scroogle, Zio Paperone.
Comunque, la lista delle cose fatte e/o decise in pochi giorni è impressionante: muro al confine col Messico e rifiuto di conferire col presidente messicano, Enrique Peña Nieto, che di concorso alle spese di costruzione della barriera da lui non voluta non vuol ovviamente nemmeno sentir parlare; dazi elevati all’astronomico 20% sull’import/export; drastica chiusura sulla politica di accoglienza, specie nei confronti dei paesi a maggioranza musulmana, con molte incongruenze (perché impedire che arrivino degli irakeni, che da un quarto di secolo sono semmai solo delle vittime degli USA, e non far cenno alcuno, ad esempio, al Qatar e alal suapolitica?); espulsioni più facili e stop alle politiche di attenuamento repressione e di tortura (si rassegni chi per otto anni ha sperato di veder smantellare il Lager di Guantanamo); rifiuto di prender sul serio l’impegno per la riqualificazione ecologica e quello contro il cambiamento climatico, a tutto vantaggio d’industriali e di petrolieri contro il rispetto dell’ambiente (i fondi per la ricerca sul clima sono stati bloccati); disimpegno annunziato, invece, nella politica vicino-orientale salvo il riconfermato appoggio senza condizioni a Netanyahu (nemmeno una parola sul fatto che il premier israeliano sta rischiano in questi giorni l’impeachement, per quanto su ciò i nostri media appiano singolarmente “distratti”); ma promessa al tempo stesso – in parziale contraddizione col punto precedente – di risolvere una buona volta con la forza il problema Daesh, ovviamente d’accordo con Putin (ma anche con l’Iran e con la Siria di Assad, che Putin non ha alcuna intenzione di mollare?); infine, alleanza di ferro con la Gran Bretagna antieuropeista del Brexit, conferma di voler ridimensionare – come? – la questione della NATO e in una parola di voler assumere un atteggiamento esplicitamente anche se non dichiaratamente antieuropeo; e perfino minacce di tagli di fondi all’ONU e, anche nei confronti di essa, riaffermazione di un orgoglioso primato statunitense (America first).
Nihil sub sole novi. Rassicuriamoci: non siamo a un rivolgimento epocale, a una sconvolgente novità nelle nobili tradizioni americane di pace, di fratellanza e di libertà. Per la verità, difatti, la storia degli States – quasi ignorata dalle nostre parti – ha parecchi volti. C’è quello pacifico e “buonista”, ma anche duro quando occorre in difesa della libertà e dell’umanità: quello che la gente s’immagina ancora col ciuffo e il sorriso di John F. Kennedy. Ma c’è anche Monroe col suo “L’America agli americani!”, che significata “Il continente americano a noialtri statunitensi, e gli altri fuori!”; c’è il ceffo di Grant, l’alcolista presidente/cow-boy sterminatore dei pellerossa e idolatrato un secolo dopo dal pistoluto e sciaboluto generale Patton dall’elmetto d’argento; c’è il muso da grizzly di “Teddy” Roosevelt e la sua politica del “nodoso bastone”. Non temete: quanto a bestioni che hanno occupato la Casa Bianca, Donald Duck/Trump (che più che a Paperino somiglia a suo zio Paperone) è in folta, eccellente compagnia. Il suo modello non è semplicemente quello “neoisolazionistico” delle buone tradizioni repubblicane, contrapposte al cosmopolitismo democratico: è quello isolazionistico-americocentrico, di un paese che vuol esser solo perché sa, o ritiene, di essere anche il Primo, il più forte.
Ma quello di Paperone Trump è oltretutto un americocentrismo straccione. Donald sa bene che ad averlo votato in massa è la white trush, che vive negli slums di periferia dai fatiscenti tetti di lamiera (ma con la bandiera stars and strips orgogliosamente issata al sommo di ciascuno di essi) e si nutre di junk food, il cibo-spazzatura dei market di quart’ordine pieno di ormoni e di additivi. Obama aveva tentato di fornire quella miserabile paccottiglia umana quanto meno di uno straccio di social security; Donald la cancella, e quella banda di miserabili dei suoi sudditi (altro che poorly educated!…) giù ad applaudire. Donald ruba ai poveri per dare ai ricchi: e i poveri scoppiano di miseria e di contentezza. God save Amerika!
Portate pazienza. Lasciate che gli effetti dei dazi aggravati e dei posti di lavoro ulteriormente perduti di faccia sentire. Lasciate che perfino i fans di Paperone Ciuffodoro si accorgano che contro questa crisi montante l’aver chiuso le frontiere col Messico (cosa che in fondo aveva già cominciato a fare Clinton a colpi di guardie armate e di filo spinato) non serve a niente. Lasciate che i primi cadaveri dei nuovi caduti americani nel Vicino Oriente – scagliati contro quel Daesh ch’è sostenuto dagli alleati stessi degli USA – tornino in patria e che l’incanto di spezzi. Poi ne riparleremo.
Intanto, semmai, ricominciamo a pensare ai casi nostri. Che faremo, ad esempio noialtri, poveri orfanelli della NATO, se veramente il nuovo inquilino della Casa Bianca deciderà di smobilitarla o di cacciarne i membri morosi? Certo, orfani di tanto ombrello militare (e nucleare), dovremo alzare l’asticella delle nostre spese militari. Ma se finissimo con l’accorgersi che la Parigi della ritrovata libertà (e dignità) della sovranità militare – che vuol dire anche politica e diplomatica– val bene la messa di un aggravio nelle spese per la difesa e la sicurezza, e se ciò aprisse un nuovo capitolo anche nella storia d’Europa? Se da questo “male” (se l’uscita nostra dalla NATO; o quella della NATO da casa nostra) scaturisse un Bene?
Pensiamoci. E aspettiamo. La svolta, pur ammesso che tale sia, è appena cominciata.
fonte: http://www.francocardini.it/minima-cardiniana-159/#more-582
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