Vincent Brousseau: la confessione di Mario Draghi (sui debiti da saldare) ci segnala l’urgenza di uscire dall’euro
di VOCI DALL’ESTERO (Vincent Brousseau)
Vincent Brousseau, ex economista alla BCE per 15 anni ed ora responsabile per le questioni monetarie e il passaggio al franco dell’Union Populaire Républicaine francese, analizza la spinosa questione dei debiti Target2, tornata alla ribalta dopo l’affermazione di Draghi secondo cui i paesi che decidono di uscire dall’euro dovranno regolare integralmente i loro debiti relativi al sistema di pagamenti bancari adottato nell’eurozona. Brousseau sottolinea la portata di queste affermazioni – che segnalano come ormai anche i tecnocrati più arroccati sulle loro posizioni siano costretti ad affrontare la concretezza dei fatti – e riporta anche un analogo documento della Bundesbank del 2011, in cui la banca centrale tedesca prospetta nei dettagli lo scenario dell’uscita. I debiti netti che si sono accumulati a causa della disfunzionale moneta unica sulle banche centrali dei paesi periferici, e in particolare dell’Italia, sono debiti reali – dice Brousseau – ma è sicuro che non potranno essere pagati, e si tradurranno in perdite per i paesi che rimangono. A questo punto, Brousseau auspica che la Francia esca prima dell’Italia, per non doversi sobbarcare la pesante perdita che le deriverebbe da un Italexit
Un simpatizzante mi ha inviato un comunicato di Reuters [1], che è molto interessante, e che si riferisce ad una lettera inviata da Draghi a due parlamentari europei del suo paese.
La lettera, disponibile in inglese sul sito Internet della BCE [2] , dopo l’apertura formale si divide in sostanza in tre paragrafi più una frase conclusiva. I tre paragrafi ripercorrono e commentano l’evoluzione dei saldi Target2. La frase conclusiva, che è la parte veramente importante della lettera, si concentra sui debiti e crediti verso la BCE di una banca centrale che voglia uscire dall’euro, parlando di debiti e crediti in generale, non solo di quelli derivanti da Target2. Questa frase finale si può tradurre: “Se un paese dovesse lasciare l’Eurosistema, la posizione di credito o debito della sua banca centrale nei confronti della BCE dovrebbe essere regolata integralmente.“
Qui il testo del comunicato di Reuters:
“Il Presidente della Banca centrale europea Mario Draghi ha detto che prima* di uscire dall’euro ogni paese dovrebbe liquidare i suoi crediti o debiti con il sistema dei pagamenti dell’unione. [*il riferimento alla necessità di regolare i conti PRIMA di uscire è contenuto nel comunicato di Reuters ma non nella lettera di Draghi, che non fa riferimento ai tempi, ndt]
Il commento – un raro riferimento da parte di Draghi alla possibilità che l’area monetaria perda dei paesi membri – è contenuto nella risposta a una lettera di due deputati italiani al Parlamento europeo pubblicata venerdì.
[…] ‘Se un paese dovesse lasciare l’Eurosistema, le attività o passività della sua banca centrale nazionale nei confronti della BCE dovrebbero essere regolate integralmente’ ha detto Draghi nella lettera “.
E, infine, ecco la sostanza espressa in parole povere:
“Se il nostro paese, l’Italia, vuole uscire dall’euro, deve liberarsi dai suoi debiti versando alla BCE mezzo trilione di euro. E in moneta di banca centrale.” Per inquadrare meglio la questione, stiamo parlando di una bagatella come un miliardo di banconote da 500 euro, o circa la metà di tutte le banconote in euro in circolazione su questo pianeta. Conto da regolare prima di perfezionare il procedimento di uscita.
Si tratta, naturalmente, del premio di uscita sul quale ho dato spiegazioni complete sia per iscritto [3] che in una conferenza [4].
Come i miei lettori sanno, ci sono due componenti del premio di uscita, i conti Target2 e le banconote. Il riferimento di Mario Draghi al sistema di pagamenti dell’eurozona ha portato i giornalisti a concentrarsi sulla prima componente, così che continuano con le spiegazioni sui debiti relativi al Target2. Ma Draghi, che conosce la materia, ha in mente il totale, come indicato dalle parole “le attività o le passività nei confronti della BCE“, in cui comprende anche le banconote. In realtà, le banconote rappresentano un debito solidale di tutte le BCN e della BCE verso il portatore. Ora, lasciando l’unione, una banca centrale cessa di essere co-debitrice delle banconote in euro e di conseguenza ogni biglietto che ha messo in circolazione, al netto, cessando di rappresentare un suo debito verso il portatore del biglietto, diventa un debito verso gli altri debitori: la BCE e le banche centrali nazionali dei paesi che sono ancora nell’unione monetaria. Altrimenti, sarebbe un dono. Ora, la componente Target del premio è di circa 350 miliardi mentre la componente banconote è di circa 150 miliardi. Ne consegue che 350 più 150 fanno 500. Se i nostri due parlamentari europei italiani hanno ben capito ciò che hanno letto, devono essersi impensieriti parecchio.
Qui si richiede qualche commento.
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In primo luogo, è opportuno ricordare tutte le bellicose dichiarazioni di Draghi circa l’irreversibilità dell’euro, e il non meno bellicoso «whatever it takes», che restano il suo momento di gloria. Si dice una cosa, se ne pensa un’altra, e in ultima analisi, il tempo rivela tutto.
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Inoltre, notiamo che siamo entrati nella fase in cui Draghi riceve domande concrete da parte dei politici del suo paese. Non è più il tempo della riflessione teorica o della discussione sulla semplice possibilità di un’uscita. Cominciamo a riflettere sui dettagli. Sviluppo interessante.
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Infine, dobbiamo sottolineare che l’enormità della cifra è un problema. È vero, la Banca d’Italia ne potrebbe recuperare una parte facendo circolare delle banconote in lire, ma penso che non recuperebbe tutto. Da un lato, gli italiani tenderebbero a mantenere delle banconote in euro per fini di tesaurizzazione. Inoltre, il cambio delle banconote in lire contro le banconote in euro sarebbe influenzato dal deprezzamento della lira contro l’euro, e se la Banca d’Italia vuole aggirare questo punto facendo il cambio uno a uno, tutto ciò che otterrà sarà di ridurre (significativamente) la quantità di banconote in euro che verranno presentate allo scambio.
Se la dichiarazione di Draghi è la prima del genere, la Bundesbank aveva già affrontato la questione nella sua relazione annuale del 2011. [5] Essa contiene un passaggio molto dettagliato e forte costruito in dettaglio sull’eventualità di un’uscita, che segue immediatamente una frase retorica (e che non voglio ripetere) in cui si dice che, naturalmente, la Bundesbank non crede che un’uscita dall’euro potrà mai verificarsi.
“Tuttavia, se un paese con una posizione debitoria nel sistema dei pagamenti Target dovesse uscire dall’euro, tutti i crediti che la BCE potrebbe avere nei confronti della sua banca centrale perdurerebbero, e nello stesso ammontare. Se la banca centrale in uscita non fosse in grado di pagare il netto risultante da tutti i suoi debiti e crediti, e questo nonostante le garanzie a sua disposizione, bisognerebbe trovare una soluzione per il rimborso del totale. Nel caso, e solo in questo caso, che tale importo venisse considerato impossibile da coprire, la BCE riconoscerebbe la sua perdita classificando questo debito come credito inesigibile. La compensazione per la perdita subita dalla BCE sarebbe decisa in seno al Consiglio direttivo della BCE da parte delle banche centrali rimanenti nella loro qualità di co-titolari della BCE, sulla base di un voto ponderato in base alla partecipazione al capitale della BCE. Qualsiasi partecipazione alla perdita sarebbe a carico dei profitti realizzati dalle banche centrali e, nel caso della Germania, per esempio, varrebbe a ridurre i suoi crediti Target verso la BCE.”
Questo notevole passaggio richiede diversi commenti.
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In primo luogo, per un evento sul quale forniva rassicurazioni che non si sarebbe verificato, la Bundesbank ha dato prova di una riflessione piuttosto estesa.
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Inoltre, la Bundesbank non dimentica di ricordare che i debiti Target devono essere combinati con i debiti o crediti derivanti da altre cause, e che solo il netto è importante. Le banconote non sono nominate, ma è sicuramente una parte notevole. Si noti che la Bundesbank raccomanda un voto basato sulla partecipazione al capitale (sapendo che detiene la quota più grande) e non, come normalmente avviene per le decisioni di politica monetaria, il metodo “una testa, un voto”. Questo piccolo dettaglio mostra con quale precisione abbia previsto cosa fare in caso di disastro.
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Infine, la Bundesbank prevede chiaramente che le banche centrali nazionali che rimangono nell’euro non si fanno carico di tutta la perdita, imputandola alla sola BCE. Ciò significa che preferirebbe far fallire la BCE, cosa che non dimostra intenzioni molto eurofile – e non è fattibile, a meno che la Buba non esca anche lei subito dopo e si prepari a resistere a tutte le azioni legali dirette a ottenere il pagamento. Già nel 2012 – data in cui il rapporto 2011 è stato pubblicato – l’atmosfera era inquietante. Detto questo, non è la Buba che decide un Dexit, ma il governo di Berlino, e se il governo si rifiuta, allora la Buba non può evitare di stornare, in due fasi, tutta la sua parte della perdita comune: in un primo momento la parte su cui acconsente, e in un secondo tempo la richiesta di ricapitalizzazione da parte della BCE ai suoi co-proprietari, tra cui la Bundesbank. Senza Dexit, non può sfuggire.
Vediamo di fare un raffronto con la situazione francese (corrente). Ci sono grosso modo 100 miliardi di € in Francia, contro 140 o 150 in Italia. L’Italia ha un PIL leggermente più piccolo, che perciò dovrebbe corrispondere, diciamo, a 90 miliardi: in Italia c’è una tesaurizzazione che deve avvicinarsi ai 50 miliardi, contro una tesaurizzazione trascurabile in Francia. Inoltre, la lira si deprezzerebbe più del franco nei confronti dell’euro. Nel complesso, una volta fatto il cambio delle banconote, l’Italia vedrebbe ridotto il suo premio da circa 500 a circa 400 miliardi, che è sempre una cifra spaventosa, mentre la Francia avrebbe da regolare solo poche decine di miliardi (e probabilmente meno perché i suoi saldi Target sono dovuti agli investimenti di liquidità a Francoforte da parte delle banche francesi, contro i quali la Banca di Francia può agire, invece di essere dovuti a una fuga di capitali.) Non siamo più “nello stesso mondo”. Quindi penso che i cervelli italiani di Via Nazionale, del Ministero delle Finanze, delle Camere e del governo abbiano cominciato a scaldarsi su un problema piuttosto difficile, e sono curioso di vedere quali soluzioni saranno proposte. C’è in particolare un cervello italiano, considerato molto brillante, che dovrebbe essere coinvolto in questa difficile riflessione – e questo è, ovviamente, quello dello stesso Mario Draghi.
Da un punto di vista puramente francese, questo avvertimento di Draghi non è privo di impatto, come ha sottolineato François Asselineau durante un dibattito su Sud Radio.[6]
Esaminiamo come si svolge il meccanismo. L’Italia esce, la Banca d’Italia si ritrova immediatamente mezzo trilione di debito alle sue ex-consociate. Tuttavia, non pagherà, perché non c’è alcun modo di trovare una somma simile per un regolamento immediato, e questo, anche se lo Stato italiano pensasse di sostituirsi alla sua banca centrale. Non si tratta di un debito a lungo termine, ma di un debito a vista, immediatamente esigibile. E, come dice Draghi, da pagare “integralmente”, nella sua totalità: non c’è scampo. Niente a che vedere con il debito dello Stato. C’è la stessa differenza che passa, per un privato, tra le due situazioni seguenti: dover pagare il prezzo della propria casa a scadenza futura o doverlo regolare all’improvviso il giorno stesso.
Forse potrebbe essere trovato un accordo che converta questo debito immediato con debito a lungo termine (questo significherebbe che l’Eurosistema presta mezzo trilione alla Banca d’Italia per un periodo di X anni), ma ne dubito. Come accordarsi sul tasso, sulla scadenza, della maturità, come ottenere l’unanimità… e come pensare che il prestito potrebbe essere rimborsato integralmente alle scadenze previste nell’accordo?
Ora, se l’Eurosistema si risolve a subire la sua perdita, e questo è, penso, che ciò che potrebbe accadere, alla Banca di Francia sarà imputata una quota di circa il 20% del totale, una volta uscita l’Italia – oltre 100 miliardi, in denaro contante, vale a dire in base monetaria, in moneta legale.
Non vogliamo, ovviamente, che la Banca di Francia subisca un debito di 100 miliardi, tutto d’un colpo. Questo tipo di rischio non è accettabile. Tuttavia, sembra inevitabile, se la Francia sarà ancora nell’euro quando l’Italia uscirà.
Questo è il motivo per cui diventa estremamente urgente uscire, noi francesi, dall’euro prima che lo faccia l’Italia. Se l’Italia uscisse dall’euro prima delle elezioni francesi, la Francia si troverebbe in una situazione più difficile.
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