Le basi economiche di un “new deal” italiano
di ALBERTO MICALIZZI
(Integrazione al “Programma urgente per l’attuazione della Costituzione” del Prof. Paolo Maddalena)
Mentre il sistema di pagamenti interbancario europeo noto come “Target 2” rivela che ogni Paese aderente all’unione monetaria conserva il proprio Euro e, quindi, alcune realtà – come l’Italia – si trovano pesantemente indebitate, un fittizio quantitative easing sta indebitando il Paese ad ogni livello (Stato, imprese e famiglie) sottraendo oltre €150 miliardi di interessi passivi all’anno, e gli effetti del fiscal compact inducono una recessione artificiale che sta distruggendo la domanda interna, impedendo al tempo stesso qualsiasi politica espansiva basata sulla spesa pubblica. Tutto ciò crea disoccupazione strutturale, svalutazione dei beni privati e pubblici e decrescita del PIL che ha perso il -9% nell’ultimo decennio (dopo una crescita media del +2,5% all’anno nei decenni precedenti.
La capacità produttiva è sottoutilizzata del 30%, ci sono giovani e meno giovani pronti a lavorare ed un grande patrimonio imprenditoriale da mettere a frutto, ma il Paese è ingessato, avvitato in una spirale deflattiva e recessiva e oggetto di minacce ancor più gravi: La privatizzazione degli ultimi brandelli di patrimonio pubblico rimasto, gli interventi del MES finalizzati ad imporre la governance della Troika agli esecutivi nazionali, i diktat delle agenzie di rating e le speculazioni delle grandi banche d’affari che stanno acquistando a forte sconto i migliori marchi del made in Italy. Solo negli ultimi 5 anni marchi storici come Valentino, Gancia, Pernigotti, Peroni, Perugina, Ducati, Parmalat, Algida, Star, Carapelli, Indesit, Bulgari, Fendi, Gucci, Pomellato, club calcistici storici e tanti altri esempi dell’eccellenza italiana sono caduti in mano a soggetti transnazionali.
Di fronte a questa situazione, il panorama politico di opposizione sta appiattendosi sui bassifondi del populismo, caratterizzati dal pensiero primitivo e da boutade elettorali come lo sono i proclami di uscita tout-court dall’Euro, di elargizione di redditi a pioggia, di presunte moratorie sui debiti o di panacee fiscali. Neofiti dell’ultima ora si improvvisano economisti, giuristi, politologi che fondando partiti e movimenti e aizzano i sostenitori contro il nemico di turno, sia esso la Troika, la Germania, la Nato, gli usurai, le scie chimiche, il nord-Europa, gli immigrati, la Boldrini e via di seguito.
Questo modo scomposto e privo di qualsiasi metodo e strategia d’azione non rende conto della complessità del problema, dei vincoli che sussistono alla soluzione dello stesso, e di un’autentica vocazione europea (quella della civiltà) e internazionale cui l’Italia deve ambire.
Aderendo al progetto “Attuare la Costituzione” promosso dal Prof. Paolo Maddalena il nostro team di ricercatori ha elaborato proposte concrete, attuabili nonostante gli attuali Trattati europei, proposte che rappresenterebbero la scintilla per innescare una ripresa di vigore dell’economia ed al tempo stesso per gettare le basi per una più ampia e ragionata revisione dei Trattati europei che riportino i popoli europei nel pieno controllo della sovranità politica ed economica.
Dobbiamo anzitutto lanciare una battaglia per l’occupazione e per la ricostruzione della domanda interna, sostituendo importazioni dove è logico e possibile, ricreando fiducia e voglia di fare attraverso interventi decisi e graduali, capaci di minimizzare i costi sociali.
Senza entrare nel merito politico, Trump ha vinto le elezioni USA non per le idee sulla moneta, sulle riforme, e in fondo neanche per il tema dell’immigrazione in sé, bensì perché ha parlato dalle fabbriche abbandonate di Detroit e San Diego, promettendo di riaprirle e, soprattutto, proponendo un piano di sostituzione delle importazioni. La Le Pen in Francia sta crescendo nei distretti dove è maggiore la disoccupazione. Persino negli anni ’30 Roosevelt ed i fascismi europei partirono dal lavoro, e non dall’inflazione come erroneamente si crede, e restituirono milioni di posti di lavoro in pochi anni attraverso quel new deal fatto di spesa pubblica mirata, di stimolo al settore privato e di recupero di fiducia da parte della popolazione.
E’ in quest’ottica che abbiamo elaborato il mix di proposte che seguono, che integrano ed espandono il “Piano urgente di attuazione della Costituzione”:
1) Conversione della Cassa Depositi e Prestiti (CDP) in banca e attuazione di un piano triennale di €200 miliardi di finanziamento alla piccole e medie imprese, con priorità sulle aziende che assumono gli under-35 a tempo indeterminato. Le banche commerciali crea moneta all’atto della concessione dei crediti; Questa evidenza va cavalcata con intelligenza per il bene comune. Tale evoluzione della CDP potrà anche rivitalizzare la propria funzione di holding pubblica dato che già possiede colossi quali Eni, Poste Italiane, Terna, Snam, Fincantieri, etc.
2) Costituzione di una Bad Bank pubblica che raccolga i circa €250 miliardi di crediti incagliati delle banche italiane, li gestisca secondo ottiche sociali e ne estragga €35-40 miliardi da dedicare al finanziamento di cooperative di lavoro. Ciò eviterebbe di lasciare questo ingente patrimonio nelle mani dei fondi speculativi anglosassoni e di valutare la cancellazione di micro-crediti verso famiglie e persone che versano in condizioni di povertà.
3) Introduzione di Certificati di Credito Fiscali (CCF) emessi dallo Stato attraverso assegnazioni gratuite a famiglie e imprese e finanziamenti di spesa pubblica per investimenti e fini sociali. I CCF sono una quasi-moneta accettabile come strumento di pagamento tra privati in quanto riconosciuti dallo Stato come titoli che concedono al portatore il diritto a ottenere riduzioni delle obbligazioni fiscali di pari valore.
4) Emissione di biglietti di Stato e monete metalliche denominate in Euro, ma aventi corso legale solo in Italia, non previsti nè proibiti dagli Articoli 123 a) e 123 b) del Trattato di Lisbona. Tali titoli, unitamente ad altri strumenti (vedi punto precedente) sono utilizzabili dallo Stato per riprendere il controllo delle politiche fiscali.
5) Costituzione di un circuito nazionale di imprese che adottino la compensazione multilaterale dei crediti come meccanismo di regolamento parziale o totale dei beni e servizi scambiati. Si tratta di espandere esperienze locali già esistenti in Italia che stanno consentendo, pur nei limiti della ridotta dimensione dei circuiti, di diminuire l’impiego degli Euro ed il ricorso al credito bancario per la gestione del capitale circolante delle imprese.
6) Definizione di un pacchetto di incentivi alla rilocalizzazione industriale in Italia degli impianti e delle produzioni delocalizzate all’estero, assumendo forza lavoro locale con contratti a tempo indeterminato. Tale pacchetto si compone di un mix di detassazione temporanea, di attribuzione di certificati di credito fiscali e di finanziamenti pubblici.
Per ciascuno di questi punti abbiamo elaborato una soluzione dettagliata per passare dai propositi alle azioni concrete. Alcune azioni necessitano di forze parlamentari, altre di iniziative popolari sul territorio. Per questo occorre coagulare una larga forza popolare.
Nell’elaborazione di questo piano, lo IASSEM collabora con il gruppo Moneta Fiscale (Marco Cattaneo, Stefano Sylos Labini, Biagio Bossone e Massimo Costa), autore del progetto “Certificati di Credito Fiscali” e si avvale del contributo di Marco Saba, Nino Galloni, Alberto Micalizzi e di altri economisti e ricercatori che da anni affrontano il tema degli strumenti di uscita dalla gabbia dell’Euro-sistema per il pieno recupero della sovranità politica ed economica.
Basta fantasticare, è ora di muoversi.
fonte: https://albertomicalizzi1.wordpress.com/2017/03/01/le-basi-economiche-di-un-new-deal-italiano/
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