Lessico famigliare sovranista
di LUCA RUSSI (FSI Arezzo)
Ovvero: perchè il rispetto delle “regole” è doveroso per chi sa che l’esercizio effettivo della sovranità popolare coincide con la democrazia rappresentativa (cioè con i partiti)
Domanda: ma siete sicuri che siamo noi del Fronte Sovranista Italiano ad essere dei settari trinariciuti irrimediabilmente refrattari ad ogni tipo di confronto, oppure sarà che oggi a volte su alcuni argomenti è come se non si parlasse nemmeno più la stessa lingua?
Antefatto: non più di tre settimane fa, sulla nostra pagina Facebook abbiamo avuto una specie di piccola “discussione in famiglia”. Argomento, quale fosse la maniera più opportuna per definire il campo di un partito come il nostro, che fa del riferimento alla Costituzione il faro per illuminare il senso stesso del significato del termine “sovranista”.
Ne scrivo solo oggi perché lì per lì alla cosa non avevo dato granchè importanza; poi, però, nei giorni successivi mi sono ritrovato a ripensare alla questione per due motivi: il primo ha a che fare con le vicende della ormai ex-candidata del M5S per le amministrative di Genova, mentre il secondo riguarda il fatto che a poco a poco mi son reso conto che sono state più le modalità della discussione ad indurmi a fare qualche riflessione che non l’episodio particolare, di cui francamente mi sembra inutile riferire i dettagli per filo e per segno.
Dirò allora solamente che:
la discussione è stata innescata da qualcuno che era entrato a far parte del nostro partito da poco (e che poi evidentemente anche in seguito ad essa ha deciso di uscirne);
l’argomento di cui si è dibattuto riguardava per l’appunto l’opportunità o meno di definire il nostro partito diversamente da quel che è scritto nello Statuto;
il tutto ha poi dato vita ad una coda fin troppo polemica con un’altra persona che, intervenendo “dall’ esterno” (cioè in qualità non di iscritto ma di semplice simpatizzante), si è ben presto rivelata come facente parte della nutrita schiera di chi “è sempre pronto a dar buoni consigli/sentendosi come Gesù nel tempio” (tanto per citare un cantautore al quale sono da sempre molto affezionato).
Il tutto di per sè non rappresenterebbe a prima vista nulla di eccezionale, veramente (e neppure di particolarmente interessante). E’ inevitabile che avvengano discussioni in un partito politico, soprattutto se “giovane” come il nostro (in senso letterale, essendo nato solo nel giugno dello scorso anno, anche se dopo cinque anni di vita come associazione nazionale), tanto più se si considera che siamo portatori di idee piuttosto “radicali”. Naturalmente, poi, ci saranno sempre anche coloro per i quali queste idee non saranno mai abbastanza radicali, e pure questo è da mettere nel conto…
Ma non è nemmeno questo, il punto.
“Inevitabile”, ho scritto. Però, a pensarci bene, non sarebbe poi così “inevitabile” se le persone si iscrivessero ad un partito solo dopo aver letto a dovere non solo il programma ma magari anche il suddetto Statuto (se non altro per non dare la sgradevole impressione di aver fatto una scelta così importante in un modo un po’ superficiale, a dir poco)…
E quindi, a parte che la cosa fornisce un motivo in più per apprezzare coloro che prima leggono, approfondiscono, valutano il tipo di impegno, e solo dopo magari si associano, spiace dirlo, ma la questione che è stata posta è rivelatrice anche di altro, e cioè di una concezione della “democrazia” un po’ ingenua posseduta da alcune persone, le quali poi spesso (anzi, a questo punto non a caso, direi) sono le stesse presso le quali ci siamo fatti la nomina di essere ottusamente “duri e puri”.
Io sono solo uno tra gli ultimi arrivati, eppure sono talmente numerose le volte che mi sono sentito rivolgere accuse di questo tenore che ho perso il conto e, anzi, quasi quasi mi son convinto che ormai i bambini non li mangino più i comunisti (che oramai sono pressoché estinti) ma i sovranisti…
Però, superato il momento di scoramento iniziale che ti prende quando ti trovi costretto a constatare per l’ennesima volta che non importa quanto tu ritenga di parlare di argomenti sui quali tutti dovrebbero essere d’ accordo “senza se e senza ma” (cioè la sovranità popolare e la Costituzione) o che ci si continui pervicacemente a dividere più su questioni di forma che di sostanza, poi ogni tanto sbotto lo stesso. Quel che trovo veramente insopportabile non è il fatto che si possano avere idee diverse, ovviamente, quanto che si possa essere accusati di essere “settari” per il semplice fatto di averne di ben precise!
E non tanto (o non solo) su come concepire il sovranismo (che per noi o è costituzionale, e dunque anti-liberista, o non è), ma perfino su come abbiamo deciso di immaginare noi stessi e il percorso che abbiamo intrapreso!
Valori questi ultimi (il riferimento costante alla Costituzione e l’idea che la militanza, nel particolare momento storico che stiamo vivendo in cui sarebbe più che mai necessario un ricambio totale di classe dirigente, non possa che essere vissuta come partecipazione effettiva alla costruzione e al radicamento del partito sul territorio) che proprio perchè costituiscono il nostro DNA e ci caratterizzano in maniera molto specifica, dovrebbero molto attentamente essere valutati prima di decidere se aderire o meno al nostro progetto.
Ed invece a volte bisogna constatare che, nonostante tutto, c’è ancora qualcuno che non solo non va oltre un approccio molto superficiale, ma che, nell’ ordine:
prima si associa (evidentemente senza aver letto con attenzione un bel niente),
poi dà “consigli” (peraltro non richiesti) su come dovrebbe presentarsi il partito all’esterno per risultare “più appetibile” (a suo insindacabile giudizio, naturalmente),
ed infine, quando gli si fa notare che le questioni che sta ponendo non solo sono assolutamente velleitarie ma perfino “anti-statutarie” (dal momento che attraverso di esse si pretende di definire il partito secondo i propri gusti in modo totalmente arbitrario), passa immancabilmente alle accuse di “anti-democraticità” e poi incomincia perfino ad insultarti, dandoti del “settario” (l’insulto non essendo tanto costituito, nelle intenzioni, dall’accusa in sè e per sè quanto dall’esplicito paragone con il M5S, formazione politica che notoriamente non brilla per i suoi canoni di democrazia interna…)
Siccome però – ed arrivo al punto – sono arrivato a credere che alla base di questo tipo di critiche ci sia più che altro un problema di “semantica lessicale”, o meglio, forse, di campo semantico differente, il che sottintende una maniera completamente diversa di intendere la democrazia attraverso quelle particolari associazioni che sono i partiti politici (e perfino il modo di concepire il loro stesso “funzionamento”), proverò a cambiare punto di vista.
Mettiamola così: se alla base di un’autentica e compiuta democrazia c’è la sovranità popolare e se l’ unico modo per esercitarla effettivamente è quello di partecipare alla vita politica del Paese organizzandosi (cioè militando) in partiti politici (ex art. 49 Cost.), allora sarà cosa buona e giusta, soprattutto per coloro che si definiscono “sovranisti”, che si parli la stessa lingua nel riferirsi, oltre che ai valori che si condividono e agli obiettivi che ci si propone di realizzare, anche alle regole e ai princìpi di organizzazione interna del proprio partito, perchè anche questo ultimo punto costituirà un elemento di chiarezza e quindi di forza.
Lasciamo perdere per un attimo il FSI e parliamo allora dei princìpi di organizzazione interna ai partiti, princìpi che evidentemente non sono intesi da tutti alla stessa maniera. In questo senso è da intendersi anche il richiamo che ho fatto all’inizio dell’articolo alle vicende genovesi del M5S, vicende che chiariscono una volta di più che nel partito dei seguaci di Grillo non ci siano né un vero Statuto né un programma chiaro. Questo per una ragione di fondo: l’idea di democrazia “diretta” che hanno i Cinque Stelle, non limitandosi ai referendum, pretende di sostituire in tutto e per tutto il modello costituzionale della democrazia rappresentativa che individua nella possibilità per i cittadini di associarsi liberamente in partiti l’unico modo “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. La cosa non può non riflettersi anche nel modo di concepire i partiti stessi, con conseguenze pesanti anche sul fronte della democrazia interna, cioè anche sulle regole in base alle quali si pensa che essi debbano funzionare.
Un partito è innanzitutto una comunità di persone, e questa comunità, questa associazione o come vorrete chiamarla voi, naturalmente nasce con degli scopi, anzi è proprio l’intendimento, la volontà di raggiungere quegli scopi che darà vita al partito, che quindi, molto banalmente, verrà costituito per realizzare una serie di cose. Per far sì che questo insieme di proposte non sia una sorta di “lista della spesa” senza alcuna organicità o coerenza interna, però (ancora una volta, come nel caso dei Cinque Stelle, cosa che porta spesso e volentieri ad idee diverse sul che fare, a frequenti rimbrotti del Capo e a disconoscimenti di linee e candidature “non sufficientemente allineate” – come nel caso di quella della Cassimatis – quando non ad espulsioni vere e proprie, con tanto di ordalia sul Blog), è evidente che alla base del programma dovrà esserci stato un lavoro di analisi, a sua volta elaborata a partire da una serie di valori di riferimento. Essi ovviamente saranno condivisi non solo da tutti coloro che hanno dato vita al partito ma anche da coloro che decideranno di associarsi in seguito.
Tutto ciò suona perfino ovvio, non è vero?
Eppure, ad esempio, nessuno fra coloro che ci rivolgono le accuse di cui sopra sembra capire che servono delle regole, perché quell’associazione strada facendo non devii dagli scopi che al momento della decisione di fondarla ci si era prefissati di conseguire.
Di quali regole stiamo parlando? Beh, certamente tutti concorderanno con me sul fatto che innanzitutto bisognerà salvaguardare la presenza degli spazi di “agibilità democratica” (con una vecchia espressione in “politichese”), e quindi sarà importante avere regole che:
1) assicurino la possibilità che più avanti nel tempo, mutate le condizioni, si possano eventualmente adottare linee strategiche anche significativamente diverse, che privilegino una serie di considerazioni o di elementi a scapito di altri;
2) assicurino un certo ricambio delle persone che rivestono ruoli e responsabilità negli organi direttivi (che sono organismi eletti anche quelli in base a regole ben definite);
3) assicurino che ci sia la necessaria “osmosi” tra quegli organi e la “base”, senza la quale qualcuno potrebbe a buon diritto sentirsi autorizzato a parlare più di fede cieca in direttive impartite dall’alto che non di princìpi di “centralismo democratico” (altra espressione ignota ai più giovani, che stava ad indicare un metodo organizzativo consistente nella libertà dei membri del partito di discutere e dibattere democraticamente sulla direzione da prendere, ma una volta che la decisione del partito fosse stata presa a maggioranza, tutti si sarebbero dovuti impegnare a sostenerla, pena la eventualità di innescare non solo divisioni e lacerazioni nel gruppo dirigente, ma anche spinte centrifughe nella base).
Tutto perfetto, tutto molto “democratico”. Ma… c’è un “ma“: le regole di solito servono a fissare non solo i “diritti”, ma anche i doveri, e tra questi ultimi c’è il dovere di salvaguardare i valori fondanti di cui parlavamo più su.
Ne consegue che il “nocciolo duro” di essi non può essere rimesso in discussione da capo, tutte le volte che una persona nuova entra a far parte di quella comunità! Una pretesa del genere non ha nulla a che spartire con la democrazia, e chi afferma che poichè “siamo in democrazia” le cose in un partito non possano che funzionare in questa maniera, o è un ingenuo oppure è un gran furbo…
“Democrazia” infatti, non vuol dire che in un’associazione come quella che sto cercando di descrivere (un partito politico, appunto, non un club o un circolo dopolavoristico dove si va lì tanto per passare un po’ di tempo facendo quattro chiacchiere tra amici) ciascuno possa legittimamente dire quello che gli passa per la testa senza tener conto delle possibili conseguenze, pretendendo che tutti quanti smettano di occuparsi di quel che stavano facendo, si fermino per prendere in considerazione quello che dice l’ultimo arrivato e rimettano in discussione tutto ciò per cui si erano dati da fare fino a quel momento…!
Si vuole essere ascoltati? Certamente, e sempre che si stiano dicendo cose utili e condivisibili, prima o poi lo si farà; ma, dal momento che si è appena arrivati, forse sarà bene osservare almeno le “regole di buona educazione”, le quali consiglierebbero almeno di “presentarsi” prima. E quindi: si entri in punta di piedi e con una buona dose di umiltà (vale a dire con il rispetto per il cammino che è stato fatto finora grazie ad altri e senza il proprio apporto), si assumano come proprie le idee e i valori più importanti (almeno l’ 80% di essi), e si lavori lealmente per portarli avanti (se li si condivide, almeno; perché se così non fosse, beh, ci saranno altri gruppi e altri partiti ai quali iscriversi, o no?).
Solo dopo aver fatto tutto ciò, si potrà eventualmente “dire la propria” su questo o su quell’ altro argomento considerato dirimente e ricevere la giusta attenzione e considerazione dagli altri (e comunque, la cosa andrà fatta sempre con le giuste modalità)…
Non si pretende mica, si badi bene, che si debba rinunciare a pensarla diversamente in assoluto su ogni cosa, naturalmente; non sarebbe nemmeno normale che la si pensasse tutti assieme alla stessa maniera su tutto!
L’unica cosa che viene richiesta, trattandosi di un partito e non dell’ intera società, è che lo si faccia tenendo conto di non essere al bar (o su un social), cioè che lo si faccia con modalità opportune e soprattutto non divisive, e facendo sempre attenzione a non provocare fratture, perché questa cosa, potenzialmente, potrebbe mettere a rischio l’intero progetto (sempre che lo si abbia veramente a cuore quel progetto).
Insomma, alla fine si tratta solo di comportarsi in maniera responsabile, cosa che in una organizzazione politica seria è normale che avvenga sempre; e non solo tra i militanti, peraltro, ma anche in seno agli stessi organi direttivi, dove le decisioni saranno prese (ove possibile e tendenzialmente almeno) sempre all’unanimità.
Alla fine, quindi, per ricapitolare: quando si parla di “progetto politico”, di cosa si parla esattamente?
Si parla sì di PROGRAMMI, cioè di una serie di provvedimenti che ci si ripropone di realizzare in questo o quello specifico campo e che saranno stati elaborati in base ai VALORI di cui ci si sente portatori, ma si parla anche di STATUTO, cioè di regole. Senza il costante riferimento a tutti quanti questi elementi presi assieme, nessun partito potrà nascere e crescere al riparo da personalismi e spaccature, non solo di natura tattica, ma perfino strategica o ideologica (ed ecco perchè nel M5S volano gli stracci un giorno sì e l’altro pure).
Del resto le regole, al pari dei valori, sono necessarie ai partiti così come l’aria è necessaria agli esseri viventi; anzi, non credo di affermare nulla di particolarmente originale se dico che in ogni àmbito della vita comune ci vogliono regole in grado di definire i doveri e i diritti di ciascuno di noi, in quanto individui inseriti in una comunità sociale.
Nel caso specifico, poi, a volte perfino l'”etichetta” (cioè le regole di “buona educazione”) sarà da preferire alle “etichette”, cioè alle questioni superficiali che in genere nascono dall’ansia di definirsi per mezzo di formule spesso vuote. Queste ultime, infatti, sovente tendono ad essere divisive perché in genere sono vaghe e puntano più alla forma degli slogan che non alla sostanza dei programmi e degli statuti, i quali invece di solito sono delineati attraverso ben ponderati documenti “ufficiali” (anche se questi ultimi, ahimè, potrà capitare che vengano schifati da qualcuno davvero poco utile alla causa, nella sciocca convinzione che si tratti di noiosi “tecnicismi”, definizione che si pretenderebbe onnicomprensiva di qualsiasi cosa possa essere ritenuta per qualche oscura ragione troppo “impegnativa” per l’intelletto, e dunque per ciò stesso “lontana dal popolo”, evidentemente considerato ignorante di default).
E’ per tutti questi motivi che sarà importante che quello che continueremo a chiamare il “progetto” (cioè l’insieme di valori, regole e programmi) venga compreso a dovere prima di associarsi e non dopo; non fosse altro perché qualcuno prima di noi ha impiegato tempo ed energie per definirlo, ed è quindi doveroso da parte nostra presumere che ogni singola parola sia stata pesata a dovere, dopo averla debitamente discussa.
Solo tramite il continuo riferimento a programmi, valori e alle regole, infatti (regole, che è bene ribadirlo, ci si è liberamente dati (*), si potrà sperare di “tenere la barra dritta” (specie in fase di veloce crescita come è quella che auspicabilmente attraverserà una parte dei partiti autenticamente sovranisti nei prossimi anni) e si riuscirà a proseguire il cammino intrapreso.
Sempre che non ci piaccia rimanere in eterno a parlarci addosso, naturalmente, o, peggio ancora, che non si preferiscano i “Non-statuti” fondati sui “fidatevi di me” (cioè, in buona sostanza, che non si preferiscano gli “uomini soli al comando”).
Altro che “democrazia”…
(*) Nota a margine:
chi ha letto con la dovuta attenzione lo Statuto del nostro partito avrà capito di cosa sto parlando, anche se magari non avrà avuto modo di seguire la discussione che ne ha preceduto la redazione e la presentazione, avvenute il 5 Giugno dello scorso anno.
Discussione che peraltro è stata anch’ essa pubblica (almeno tra gli iscritti al partito, naturalmente), e come tale assolutamente aperta ad eventuali miglioramenti e/o modifiche, per le quali si è dato tutto il tempo perché fossero a loro volta messe nero su bianco ed eventualmente inserite nel testo prima della sua redazione finale (o anche in proposte da presentare contestualmente al Documento in questione, e sulle quali gli iscritti avrebbero potuto votare in Assemblea).
Caro Luca,
quando prendemmo l’iniziativa, sapevamo che, di lì a qualche tempo, molti ci avrebbero seguiti nei contenuti, ossia nella proposta politica: una parte dei liberali (quasi tutti erano divenuti liberali) avrebbero via via accolto proposte del socialismo costituzionale, prima una poi un’altra e così via, fino ad aver maturato un pensiero nuovo; una parte dei figli di socialisti, democristiani, comunisti, socialdemocratici e persino di ex missini, non attiva politicamente nella seconda repubblica, e quindi meno impregnata dei principi liberali che hanno caratterizzato questa fase politica, ma rimasta per cultura familiare agganciata al principio sociale, avrebbe ri-trovato la linea della quale a casa aveva sentito tessere le lodi; una parte dei residui comunisti avrebbe accettato la fase e quindi accolto, sia pure come contingente e di fase, il nostro programma.
Tuttavia, non ci interessava attrarre (allora nell’ARS) tutti coloro che avrebbero fatto propria la nostra proposta politica o avessero avuto proposte politiche simili. Costruire un partito ci sembrava un obiettivo nobile ma difficilissimo da portare a termine, senza dubbio ambiziosissimo, qualcosa di molto più difficile che metter su una multinazionale con 5000 dipendenti. Sarebbe stato necessario, dunque, che per lungo tempo fossimo riusciti ad attrarre soltanto persone consapevoli della enorme difficoltà dell’obiettivo, che quindi non intendessero chiacchierare (la polemica contro i chiacchieroni l’abbiamo ripetuta mille volte) ma marciare disciplinatamente (concetto espresso anche esso migliaia di volte). Insomma persone ingenue ma disciplinate si,perché con il tempo avrebbero potuto perdere la ingenuità, geni della teoria indisciplinati no, perché senza disciplina si è sfascisti: costruissero la loro frazione e poi ci alleeremo, dicevamo!
Infatti, per giustificare agli occhi degli estranei questa nostra rigidità, che credevamo necessaria, dicemmo fin a principio che noi saremmo stati soltanto una frazione di una futura alleanza. Diveniva facile, con questo accorgimento, dire agli altri: se le regole organizzative, i tempi e il progetto che ci siamo dati non vi convincono, create un’altra frazione, noi vogliamo essere soltanto una frazione di una futura alleanza. Insomma non volevamo con noi tutti coloro che si avvicinavano alle nostre idee ma soltanto coloro che accettavano il nostro progetto, i tempi, i modi e l’organizzazione. In tutte le relazioni assembleari ho ribadito che un partito si caratterizza per le idee e per l’organizzazione, le quali hanno la medesima importanza.
Avevamo poi al nostro fianco piccoli gruppi che ci chiedevano di allearci. Si formavano, creavano un blog o un gruppo facebook e volevano allearsi :) Per liberarci da queste fastidiose proposte, che ovviamente provenivano spesso da persone per bene ma estremamente deboli (nel campo ella organizzazione politica ovviamente; magari erano giganti del pensiero e certamente persone onestissime), dicemmo fin da principio che noi non esistevamo fino a quando non saremmo riusciti a radunare in una assemblea nazionale 500 persone e che soltanto a quel punto, ormai esistenti, avremmo dialogato con altri soggetti esistenti, che quindi avessero già dimostrato di essere capaci di radunare 500 persone, appartenenti ad un’unica associazione, in una assemblea nazionale. Questa regola mostrava la nostra umiltà (non esistiamo) e pretendeva dai nostri interlocutori umiltà (voi non esistete). Inoltre serviva a selezionare i capaci dagli incapaci.
Lo statuto dell’ARS ci aveva dato qualche problema, perché, sebbene fosse quasi tutto scritto, alcune cose si erano affermate nella prassi o erano state sempre ribadite in assemblea senza trovare contestazioni o erano in realtà affermate nel progetto, che non tutti conoscevano.
Lo Statuto del FSI, invece, è perfetto e completo. Lo è a tal punto che quest’anno si è verificata una sola discussione, quella dalla quale hai preso le mosse, in cui neo-iscritti pretendevano di mettere in discussione molti caratteri del FSI. Quando ammisi il post sul gruppo pubblico, lo feci per fare in modo che questo gruppetto di ex (ex?) comunisti che era entrato trovasse l’opposizione spontanea di molti soci, come è puntualmente accaduto e che i neo-iscritti, entrati senza conoscere il progetto, andassero via, come pure è accaduto (incidentalmente osservo che la persona che dava ad essi ragione e che dall’esterno impartiva suggerimenti era un fascista, ennesima prova che oggi comunisti e fascisti non servono a nulla e sono identici nel loro fanatismo irragionevole).
Aggiungo che lo Statuto che abbiamo è tanto completo che nemmeno il Comitato Direttivo ha granché da discutere. Quest’anno ci siamo riuniti pochissime volte e un paio di volte tanto per riunirci: il comitato direttivo dirige l’esecuzione di un progetto già scritto e non ha nulla di definitivo da deliberare: delibera soltanto le modalità esecutive. Abbiamo il pilota automatico e quel pilota è lo Statuto, immodificabile per quattro anni. Abbiamo a lungo discusso e l’esito della discussione si è incarnato nello Statuto. Ora dobbiamo soltanto marciare applicandolo, fino al 2020, quando in assemblea saremo certamente un migliaio. Allora sarà a tutti chiaro che il nostro metodo “settario” avrà aggregato 2000 persone e ne avrà radunate 1000 in assemblea. A quel punto avremo a fianco un’altro paio di frazioni, più o meno significative, numerosi gruppi non organizzati, alcuni divulgatori di qualità, talora di grande qualità, e di successo e, infine, innumerevoli individui, sicché ci toccherà porci alla testa dell’alleanza e mettere assieme tutti i pezzi e pezzetti. Ma l’alleanza sarà possibile soltanto perché esisterà una forza di 2000 iscritti, con alto tasso di militanza, l’unica o quasi l’unica non settaria (se noi saremo settari, i gruppetti rimasti tali per anni e le persone rimaste isolate anch’esse per anni cosa saranno?) :)
Caro Stefano, ti ringrazio del commento perchè chiarisce una volta di più l’ importanza del progetto complessivo (e anche del percorso fatto sino ad ora). Anche il sottoscritto, che faceva parte a pieno titolo della categoria degli ingenui (e non me ne vergogno affatto, perchè come ho scritto non avevo mai fatto militanza in un partito politico fino ad oggi) è cresciuto un po’ durante questo tempo, e ha avuto modo di capire che costruire un partito politico nuovo non è una passeggiata ed implica una buona dose di umiltà, chiarezza di intenti e moltissima determinazione. Chiacchierare di improbabili rivoluzioni è facile, costruire un’ alternativa vera molto meno. Purtroppo, molte persone a volte si fermano ad una lettura perfino più ingenua di quella avevo io, ma ovviamente non tutti rientrano nella categoria dei narcisi e dei chiacchieroni, e hanno solo bisogno di altro tempo capire. Per cui, ripetendo tutta questa serie di considerazioni che ho imparato a fare mia, molto immodestamente, ho pensato di contribuire a chiarire qualcuno dei loro dubbi, ed è quindi a queste persone che intendevo rivolgermi :-)