La tensione che si respira in attesa della cruciale giornata del 23 aprile è percepibile proprio a causa della sostanziale impossibilità di decifrazione delle future linee di sviluppo della politica francese, frutto delle rocambolesche evoluzioni della corsa all’Eliseo che da sfida tripartita si è dapprima tramutata in volata di coppia per poi scoprirsi, in dirittura d’arrivo, apertissima gara a quattro. Tale contesto ha fatto sì che le votazioni per il primo turno assumessero un’importanza similare a quella che da tempo rivestiva il fatidico appuntamento col ballottaggio del 7 maggio, facendo fare un salto di qualità al voto francese rispetto agli altri, cruciali appuntamenti elettorali caratterizzanti Paesi ad elevata importanza strategica tra la metà di aprile e la metà di maggio (16 aprile, referendum costituzionale in Turchia; 9 maggio, presidenziali in Corea del Sud; 19 maggio, presidenziali in Iran). Per raccontare i nervosismi vissuti da autorevoli osservatori interessati, e le motivazioni della loro insorgenza, è sufficiente riferire l’improvviso e sensibile aumento dello spread tra i titoli di Stato decennali francesi e i Bund tedeschi sino a 75 punti, il massimo dall’agosto 2012, a seguito dell’annuncio del soprasso di Jean-Luc Mélenchon su François Fillon nei sondaggi sulle intenzioni di voto per il primo turno.
Se in precedenza infatti i timori del tradizionale establishment politico-economico, dei media del circuito mainstream e delle istituzioni di Bruxelles erano circoscritti al possibile successo di Marine Le Pen nella sfida, esistenziale prima ancora che politica, con Emmanuel Macron, da tempo ritenuta l’unica combinazione per il ballottaggio, ora si fa sempre più probabile l’ipotesi che il terremoto possa prodursi, amplificato nei suoi effetti, con due settimane d’anticipo. Gli scarti minimi e le fisiologiche distorsioni intrinseche degli opinion polls inducono infatti a non ritenere più improbabile l’eventualità di un’esclusione di Macron, “presidio” dell’establishment nella corsa all’Eliseo, dal ballottaggio decisivo e a render attuale la prospettiva di un epilogo coinvolgente proprio la candidata sovranista del Front National e il “bolivariano di Francia” della coalizione La France Insoumise. Mélenchon ha guadagnato terreno sfruttando le sue forti abilità oratorie, palesatesi in maniera decisa in occasione del discorso del 9 aprile al porto di Marsiglia, assiepato da 70.000 persone, ma anche a seguito del deciso arretramento del candidato del Parti Socialiste Benoit Hamon e di una repentina messa in discussione della natura “alternativa” della piattaforma elettorale di Macron. Il sostegno offerto da Manuel Valls e François Hollande ha infatti portato ai risultati prevedibili: un ridimensionamento della quota di consenso attribuiti all’ex Ministro dell’Economia, che ha visto le contraddizioni intrinseche nella sua candidatura, in primis la sua tacita accettazione della contestatissima Loi Travail, emergere inesorabilmente.
François Hollande tenta di concludere la sua fallimentare esperienza quinquennale all’Eliseo operando da gatekeeper del sistema, denunciando la presunta “pericolosità intrinseca” dei programmi politici di Mélenchon dopo aver da tempo fatto sentire la sua voce contro Marine Le Pen. Un istantaneo meccanismo di azione-reazione sembrerebbe, in contrasto, aver prodotto la reazione opposta: per un candidato come Macron, in fondo, l’appoggio della formazione da cui volutamente ha scelto di discostarsi a metà del 2016 per virare su posizioni centriste rappresenta un regalo indesiderato. Macron rischia infatti di vedere la sua corsa pregiudicata dall’assimilazione alla leadership di quel Parti Socialiste da cui volutamente ha scelto di distaccarsi e che ora, in una situazione che lo vedrebbe battuto anche in caso di candidatura di un redivivo François Mitterrand, conosce un nuovo tracollo di credibilità. La corsa al “si salvi chi può” dei rappresentanti dell’amministrazione socialista iniziata nel 2012 e l’abbandono alla deriva di Hamon, che al netto dei limiti oggettivi della sua candidatura ha avuto il merito di segnare “discontinuità cruciali” all’interno della Sinistra d’Oltralpe, come ricordato dal sito di analisi finanziaria I Diavoli, si sono infatti contrapposti al granitico supporto accordato da Les Republicains a Fillon che, nonostante la tempesta giudiziaria del Penelopegate, coltiva ancora delle residue possibilità di approdo al ballottaggio.
In questo contesto frammentato si è consumata l’ascesa di Jean-Luc Mélenchon, fautore di un programma improntato su un forte rilancio della spesa pubblica francese legato a politiche sociali ed ambientali, su nuovi investimenti infrastrutturali, sulla rinegoziazione dei trattati europei e su un “protezionismo solidale”, legato alla valorizzazione del fair trade a scapito del free trade. Posizioni che hanno portato a un deciso ritorno in auge della commistione tra sentimento ideologico, critica antisistema e volontà di una rottura radicale con il recente passato della politica francese che nel 2012 era stata soprannominato Mélancholie, e che hanno portato alla qualifica del candidato de La France Insoumise come “nemico numero uno” mano a mano che le sue possibilità di vittoria si sono fatte più concrete. Al tiro al bersaglio contro Mélenchon, e più in generale contro l’ipotesi di una sua battaglia decisiva contro la Le Pen, hanno voluto partecipare tutti: da François Hollande, che ha definito l’ex socialista un “tribuno”, a Le Figaro, lesto nella strumentalizzazione della simpatia provata da Mélenchon per il “socialismo del XXI secolo” al fine di squalificare le “deliranti proposte del Chavez francese” senza constatare come, piuttosto che con il Venezuela bolivariano, le principali analogie programmatiche di La France Insoumise siano piuttosto riferibili alla Revolucion Ciudadana di Rafael Correa in Ecuador.
Il voto del 23 aprile, in definitiva, potrebbero trasformarsi nella Notte di Valpurga di ciò che resta del sistema politico della Quinta Repubblica se l’ipotesi, tutt’altro che irreale, di un ballottaggio Le Pen-Mélenchon divenisse concreta: in quel caso, infatti, verrebbe completamente sdoganata la reale portata della contestazione politica antisistema e, elemento da non sottolineare, si produrrebbe al tempo stesso un completo collasso del castello di demonizzazioni e bersagliamenti di cui sono state oggetto, negli ultimi mesi, le piattaforme elettorali di due candidati che, per quanto sostanzialmente e dichiaratamente alternativi l’uno all’altro, hanno attinto sotto molti punti di vista a fonti comuni, beneficiando al contempo di bacini elettorali sovrapponibili. Al netto di tutte le possibili difficoltà future che entrambi potrebbero incontrare in caso di accesso all’Eliseo, alla Francia e al resto d’Europa sarebbe inviato un messaggio di discontinuità che potrebbe inesorabilmente produrre un effetto cascata sui Paesi del continente; per questo, ora più che mai, l’importanza del voto del 23 aprile si è palesata in tutta la sua ampiezza, rendendo le apprensioni per il voto del ballottaggio una derivazione di quelle, ben più immanenti, che animeranno la giornata di domenica.
fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/la-france-indecis/
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