Il teatrino della politica italiana è strano. La mattina un delinquente spara a vista su ogni nero che incontra per strada, il pomeriggio i partiti dei buoni danno la colpa ai cattivi che, la sera, tentano di smarcarsi e rilanciano: Se noi siamo la causa dell’attentato di Macerata, allora Saviano è responsabile per le baby gang fomentate dalle sue serie tv. Basta una frase per far virare improvvisamente il dibattito su una questione in apparenza estranea al fatto di cronaca oggetto della discussione. A parte che Saviano non scrive né dirige serie tv – e ci mancherebbe altro, dirà qualcuno – e tralasciando anche il fatto che al massimo il suo romanzo ha rappresentato la base non della serie ma del capolavoro di Garrone – film che i tredicenni pistoleri non avranno neanche visto – il collegamento è sembrato bene o male funzionare, almeno nel contesto di un botta e risposta televisivo. Ma la questione infinita riaperta dalle ultime baruffe politiche è soltanto l’ennesimo tassello di una storia vecchia come i mezzi d’intrattenimento sotto accusa, e chi volesse davvero chiedersi quanto questi siano causa di certe nefandezze dovrebbe guardare ai lontani primi anni del Novecento per farsene un’idea generale.
È proprio in quegli anni che si assiste in Francia e negli Stati Uniti ad una complessiva democratizzazione del cinema grazie alle sale nickelodeon, stanzette in cui si proiettano film seriali – antenati delle odierne serie tv – a orario continuato e principalmente per quel nuovo pubblico operaio che inizia a consumare il proprio tempo libero. Questa tipologia di film a episodi non è che la riproposizione cinematografica dei romanzi d’appendice e dei feuilleton che riempiono i giornali del periodo, vengono massacrati dalla critica (negli stessi anni Griffith getta le basi per il canone classico Hollywoodiano) e si distinguono per l’uso insistente di protagonisti banditi, ladri gentiluomini e moderni Robin Hood che sfidano lo strapotere finanziario del banchiere di turno, nemico numero uno di numerose produzioni. La scaltrezza e la violenza, talvolta addirittura gratuita e sproporzionata, mostrate da tali produzioni di serie b, divengono presto oggetto di censura da parte di politici, giornalisti e pedagoghi preoccupati che i giovani possano imitare le gesta dei loro eroi.
Iniziano già nel 1912 i primi sequestri motivati dalla crudeltà non filtrata che trasuda dalle pellicole, dal buio e dal silenzio della sala che potrebbero eccitare le voglie più scabrose, dalla dipendenza per la narrazione interrotta con la sospensione dell’episodio (associata a quella per la droga) e ancora da problemi di ansia, tachicardia e di vista che la fruizione cinematografica causerebbe allo spettatore, senza contare i casi in cui si ricollegano al grande schermo episodi di vertigini, aritmie cardiache e incubi notturni. Ma l’apice del fenomeno viene toccato nel momento in cui il cinema viene chiamato in causa in sede giudiziaria: accade infatti che gli avvocati, ben consapevoli della pessima reputazione dei film seriali, tentino sistematicamente di attenuare la posizione dei loro clienti scaricando le colpe sui banditi di finzione.
A Troyes, gli ispettori della Polizia mobile hanno arrestato tre monellacci che si sono resi colpevoli di furti a negozi e dei peggiori vandalismi notturni […] Quest’accolita di precoci mascalzoni si è data anche il nome di “Banda degli Z”, dal nome di Zigomar, il celebre delinquente di cui hanno gustato le avventure sullo schermo.
(Da “Contre le cinéma, école du vice et du crime…”, citato in “Trame spezzate” di Monica Dall’Asta)
Alle serie cinematografiche che mitizzano i piccoli criminali si aggiunge una stampa che dà ampio spazio alla cronaca nera con toni scandalistici, sostituendola a quella politica che rischierebbe di alimentare il disordine sociale. Ne risulta paradossalmente un clima di illegalismo generale che coinvolge per lo più gli adolescenti e i bambini, principali fruitori dei film incriminati insieme alle donne, che però preferiscono le produzioni sull’emancipazione e i temi legati al femminismo. Non sono tuttavia immuni dalle critiche neppure questi ultimi, colpevoli di creare realtà parallele che generano euforia e false illusioni nelle spettatrici. Si tratta, in maniera più potente e ingenua, dello stesso dibattito e delle stesse accuse che la surreale polemica citata in precedenza ha riaperto come effetto collaterale di un teatrino prettamente politico. Non troppi anni più tardi rispetto all’isteria collettiva descritta si interverrà infatti in maniera drastica con il codice Hays, mentre avvicinandoci ai giorni nostri si osserva un progressivo allontanamento dei censori dal grande schermo in favore di un attento monitoraggio sui videogiochi, tutt’oggi ritenuti responsabili di certe mattanze scolastiche.
Basterebbe allora una banale osservazione per mettere fuori gioco tutte le scaramucce politiche di cui sopra: nel momento in cui si afferma un sistema di intrattenimento giovane, questo diviene oggetto di meticolosa osservazione in termini di controllo dei contenuti, mentre si abbandona l’operazione moralizzante su quello precedente, ormai istituzionalizzato, pulito e incravattato. Sembra proprio il caso del mondo videoludico e di quello cinematografico. I signori che si lamentano dei film e delle serie tv di genere crime, precisamente, dove e quando hanno visto produzioni pericolose, fuori dal coro, non allineate o sovversive? Che ce lo dicano, perché piacerebbe vederle anche a noi. Negli anni ’70 il poliziottesco esaltava la giustizia privata, oggi Don Matteo fa più di sei milioni di ascolti; negli ’80 Deodato provocava col filone dei cannibali, oggi siamo circondati da remake di commedie francesi; negli spaghetti western colavano litri di sangue, mentre ora non vediamo una pistola al cinema da anni (salvo rare eccezioni). E allora ancora ci chiediamo, a mo’ di preghiera, dove siano questi film che rischiano di spingere bambini e adolescenti a pericolosi atteggiamenti imitativi.
Più che prodotti potenzialmente dannosi per l’educazione dei nostri giovani, abbiamo allora l’impressione che film e serie tv siano piuttosto lo strumento per amplificare qualsiasi filastrocca politicamente corretta, mentre si fanno passare per scorrette certe pellicole più innocue di Cappuccetto rosso (emblematico è il caso di Three billboards outside Ebbing, Missouri, ultimo lavoro del talentuoso sceneggiatore Martin Mcdonagh. Due battutine sui preti pedofili sono bastate per pubblicizzarlo come un film scorretto e spinoso simile ai suoi due precedenti). Insomma, l’impressione è che il cinema non possa più essere causa di comportamenti criminali per la pura e semplice mancanza di film di particolare slancio eversivo, mentre in parallelo scatta ormai automaticamente l’associazione tra videogames e psicopatico stragista di turno, dal momento che per adesso non si osserva un totale asservimento dei videogiochi alle logiche del buonsenso, forse proprio in virtù della loro recente approvazione nel mondo dell’intrattenimento.
Fu vittima più o meno del medesimo meccanismo il Wrestling, che veniva trasmesso in chiaro e divenne in poco tempo il nuovo spettacolo più seguito dai nostri ragazzini. Qualche personaggio-atleta si suicidò, qualcun altro morì in circostanze poco chiare, e subito la tv commerciale scelse di fermarne la trasmissione. In quel caso c’era il pericolo che i bambini provassero a ripetere certe acrobazie in casa, così il baraccone fu trasferito sulla tv a pagamento. Probabilmente il provvedimento era da ritenersi necessario o quantomeno assennato, ma di certo chi oggi vede un pericolo nel cinema o ci va poco o guarda male; mentre l’unico elemento diseducativo delle serie tv ci pare risiedere soltanto nell’approssimazione tecnica di alcune di esse. Prendete i film candidati agli Oscar negli ultimi anni e troverete conferma dell’asservimento alla compostezza delle pellicole realizzate con grossi budget e con velleità di vittoria. E giusto che ci siete chiedete a Clint Eastwood come mai sembra che da due o tre anni sia stato rimosso dall’olimpo dell’industria cinematografica. Che ci sia lo zampino del nuovo cinema moralizzante? Lasciamo dunque stare il povero Saviano, che di fatti per cui essere criticato ne ha già in abbondanza senza forzature come questa. Seguendo la logica del nuovo medium come causa di ogni male, allora qualcuno potrà chiamarlo in causa quando realizzeranno il videogioco di Gomorra.
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